Damilano a Lucca: “Ho liberato Moro dal ‘caso’ Moro”

21 luglio 2018 | 14:59
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Damilano a Lucca: “Ho liberato Moro dal ‘caso’ Moro”

Un incontro molto partecipato quello di ieri pomeriggio (20 luglio) alla biblioteca Agorà, dove il direttore de L’Espresso Marco Damilano ha presentato il suo ultimo libro Un atomo di verità. Aldo Moro e la fine della politica in Italia. Presenti all’incontro anche l’assessore alla cultura Stefano Ragghianti e come moderatore Demetrio Brandi.

L’incontro si è aperto con i saluti dell’assessore alla cultura Ragghianti che si è detto entusiasta per questa importante iniziativa e conscio dell’importanza che Aldo Moro e il caso Moro riveste ancora oggi a distanza di più di 40 anni. Demetrio Brandi ha quindi aggiunto i suoi ringraziamenti per la presenza a Lucca del direttore de L’Espresso e esprimendo anche profonda soddisfazione per essere riuscito dopo mesi di organizzazione a realizzare la presentazione.
Il celebre giornalista romano ha parlato della genesi di questo testo ma soprattutto delle sue finalità. “Quando ho parlato all’editore di questo libro – ha esordito il giornalista – neanche io sapevo bene di cosa avrei scritto, quel che è certo però è che non volevo scrivere un libro su caso Moro. Dal 1978, anno del rapimento e della scomparsa di Moro, di libri se ne sono già scritti tantissimi sia di ottima che di pessima qualità. Il mio intento non era quello di allungare semplicemente la lista”.
“La verità si può nascondere in tanti modi, nascondendo lettere, foto o documenti – ha continuato il direttore de L’Espresso – da un certo momento si è però cercato di nascondere la verità con il frastuono con un flusso interrotto di quelle che oggi sono anche chiamate fake news”. Damilano ha quindi esplicato la principale finalità di Un atomo di verità: “Volevo liberare Aldo Moro dal caso Moro. Soprattutto – ha continuato il giornalista – liberarlo da 3 tre fotografie emblematiche: le due foto scattate dalle Brigate Rosse durante il sequestro e l’immagine del suo corpo esanime dentro la bauliera di una Renault R4 rossa in via Caetani”. “La foto di quell’acciambellato corpo in una sconcia stiva – ricorda ancora il giornalista citando le parole del poeta Mario Luzi che descrisse così il ritrovamento – Ho cercato di liberare Moro dal caso Moro per recuperare la dignità dell’uomo Aldo Moro dal caso Moro; in quell’incrocio di via Fani dove fu rapito ci siamo tutti noi. Mentre venivano pronunciate quelle quattro parole “Hanno rapito Aldo Moro” (a cui poi si aggiunsero hanno ucciso tutti gli uomini della scorta) tutti si ricordano dove erano in quel momento”. “Cesare Palandri del Gr2 – continua il giornalista – alle 9,25 (23 minuti dopo la strage) descrisse come “incredibile e inaudito” quanto accaduto questi due aggettivi danno subito idea di quel che era successo, l’importanza dell’evento. Quel 16 marzo 1978 ci siamo tutti noi perché le nostre Twin Towers sono state il rapimento Moro. L’uomo politico più importante del paese rapito. Chi avrebbe mai potuto escludere che di lì a poco non si sarebbe potuto ripetere un altro rapimento, o magari un attentato o ancora quella giornata avrebbe potuto concludersi con un colpo di stato?”.
Damilano si è poi soffermato sulla descrizione dello statista della Democrazia cristiana: “Aldo Moro era un uomo politico che rappresentava un certo tipo di politica. Berlinguer e Moro in quel marzo 1978 stavano infatti cercando di fare governo insieme e di riportare quindi in maggioranza il Partito Comunista 31 anni dopo il governo De Gasperi III”. “Andando a ricercare nell’archivio parlamentare – ha raccontato il direttore de L’Espresso – ho ritrovato le corrispondenze di Moro con i giornalisti che dimostrano umanità e profonda cortesia sempre e in tutti i rapporti. Al punto da scrivere una lettera di suo pugno al settimanale Oggi in cui cordialmente chiedeva che non si occupassero della sua vita privata poiché questa senz’altro non avrebbe interessato gli italiani. Questo è la testimonianza tangibile di quanto eravamo a quel tempo molto distanti dalla personalizzazione politica che invece impera oggi”.
“Eletto a 29 anni – ha continuato ancora a raccontare Damilano – alla assemblea costituente, essendo già un brillante docente universitario. Ma la cifra che di differenza che divide Moro dagli attori della politica odierna era la presenza di un qualcosa al di là della politica, al di là della politica c’è un residuo ma che è in realtà fondamentale, al di là della politica c’è ad esempio cultura (Aldo Moro aveva infatti un incredibile spessore culturale) aldilà della politica Aldo Moro possedeva infatti quel patrimonio di sensibilità che è in realtà fondamentale perché senza la politica rischio di diventare puro esercizio di potere”.
“La vita di un cittadino è la ragione dello Stato democratico senza la vita dei cittadini lo Stato non ha ragion d’essere – ha ricordato ancora il direttore de L’Espresso citando una frase del politico democristiano – Oggi abbiamo perso sia la politica che l’aldilà della politica. Io credo che in tutto l’occidente ma in particolar maniera il 16 marzo 1978 in Italia si sia persa la visione politica come prospettiva di speranza e di cambiamento. Cambiamento oggi infatti é paura, è in realtà mantenimento del presente. Ma anche si è perso quello che era al di là della politica, non vi sono più infatti personalità politiche che coltivano valori e sensibilità, valori e sensibilità che invece poi influiscono sempre positivamente sull’azione politica”.
“Pur non esistendo una riforma Moro – ha continuato ancora il direttore Damilano – Aldo Moro era parte interante di quell’equilibrio, di quel filo sottile che permetteva di far camminare riforme che senza il suo contributo non si sarebbero potute fare. Aldo Moro apparteneva a quella rara schiera di politici che riusciva a tener unite capacità ideale a spietato realismo e fu rapito forse per delegittimare la sua persona, per delegittimare la sua mentalità; di lì a poco finì la Democrazia Cristiana, morì Berlinguer e il Partito Comunista”. “Per questo liberare Aldo Moro dal caso Moro significa liberare la sua voce riascoltarla – ha quindi concludo Marco Damilano – perché ritornare all’incrocio di via Fani significa capire le sliding doors, buchi neri e incroci mancati d’Italia e questo è un esercizio utile per capire il nostro presente e anche il nostro futuro”.

Matteo Petri