Hannya, il corto ‘maledetto’ sul demone della gelosia

Si intitola Hannya il cortometraggio presentato oggi (2 novembre) in cappella Guinigi per Lucca Comics & Games, alla presenza del suo regista e produttore Daniel Mine e dell’attrice protagonista, Annc Pacunayen. Una produzione indipendente del collettivo Rami Factory, costata circa 15mila euro, che prende le mosse da una nota leggenda giapponese: quella di Hannya, appunto, divenuta iconica maschera del sol levante. Una giovane molto bella, che trascorre i suoi giorni prestando servizio al tempio di un indefinito medioevo nipponico, finché la sua vita non viene sconvolta dall’incontro con un samurai.
La ragazza se ne innamora, non ricambiata, e grande è il suo dolore quando lo scopre tra le braccia di un’altra donna. È quello il momento in cui invoca un demone maligno, che immediatamente le si presenta di fronte, con aspetto animalesco, la solleva e le concede l’immortalità in cambio dell’anima: Hannya sarà così liberata dal dolore divenendo lei stessa l’essenza del dolore. Un personaggio non facile da interpretare per Annc Pacunayen, che racconta: “Ho instaurato immediatamente, con Hannya, un rapporto di empatia. Per quanto sia stato anche complicato restituire, con pochi sguardi, le sfumature del suo sentire. Tuttavia – conclude l’attrice – mi sono trovata nei panni di questa ragazza perché anch’io ho provato, nella vita, la sofferenza della gelosia e del tradimento”. Le riprese, effettuate per lo più in ambienti naturali, tra boschi e caverne dei territori di Bergamo e Brescia, sono state piuttosto sfortunate e, in un certo senso, inquietanti. Racconta il regista Daniel Mine: “È come se chiamare in causa i demoni giapponesi avesse attirato una serie di energie catastrofiche e soprannaturali. Il primo giorno siamo stati derubati, perdendo così telefoni e chiavi delle macchine. Nei giorni seguenti, a causa del freddo, abbiamo acceso dei fuochi nel bosco: peccato – continua Mine – che due di noi siano incorsi in spiacevoli incidenti, episodi che ci hanno spaventato molto perché non è certo usuale vedere un compagno prendere fuoco. Per fortuna le ustioni riportate non sono state gravi. Ma non è finita qua: a un certo punto la maschera del demone è scomparsa e l’abbiamo ritrovata solo due giorni dopo, in un posto lontano da dove avevamo fatto le riprese. Un’altra volta l’abbiamo inspiegabilmente ritrovata rotta in due. Infine, quando già eravamo a buon punto, abbiamo perso tutti i dati sul computer e abbiamo dovuto ripetere le riprese”. Insomma, tutto lasciava pensare veramente che un’energia negativa si fosse accanita contro il corto: se non fosse che, nella cultura giapponese, gli spiriti e i demoni non hanno un’accezione necessariamente malvagia: “La nostra generazione è cresciuta a pane e Giappone – ha detto Mine – e sappiamo che i demoni hanno funzioni totemiche e possono essere anche spiriti che assistono. Prevale comunque l’ambiguità, anche nella storia di Hannya: non si capisce fino in fondo se il demone la libera o la condanna per sempre”. Molte le contaminazioni occintali che hanno influenzato il corto di Mine: “Abbiamo scelto la musica classica europea come colonna sonora, così come di aprire con una citazione dall’Otello di Shakespeare. Questo perché – conclude il regista – volevamo creare un ponte ideale tra oriente e occidente attraverso la gelosia, sentimento universale capace di uccidere e annientare”.