Lavoro e precariato, bilancio ok per gli incontri alla biblioteca popolare di San Concordio

7 novembre 2018 | 15:44
Share0
Lavoro e precariato, bilancio ok per gli incontri alla biblioteca popolare di San Concordio

A settembre, alla biblioteca popolare di San Concordio, si è tenuta una serie di iniziative sulle tematiche del lavoro articolata in tre sabati pomeriggio. La prima giornata, organizzata assieme alla Società di mutuo soccorso operaio, ha visto la presentazione, con la presenza dell’autore, dell’ultimo libro di Alberto Prunetti. Un agile e spassoso racconto dal punto di vista working class: 108 metri – the new working class hero, appunto. Partendo dal libro che prende spunto dall’esperienza di emigrato in Gran Bretagna di Prunetti, il dibattito – come spiegano i membri del Cip, il collettivo di iniziativa popolare – “ha evidenziato come i processi di precarizzazione e frammentazione del mondo del lavoro siano gli stessi anche in paesi dalla forte tradizione operaia e che ancora oggi agli occhi di molti rappresentano un riferimento per tentare un’uscita dall’incertezza e dall’emarginazione sociale”.

“Si è visto – continua il Cip – come il falso mito della ‘fuga dei cervelli’ si infrange con i dati reali che ci dicono che nonostante il numero dei laureati sia in aumento il 70 per cento della nuova emigrazione (oltre i due terzi) è costituita da persone con titolo di studio inferiore alla laurea. Inoltre molti laureati che emigrano si ritrovano a fare lavori non qualificati nei paesi di approdo, lavori molto simili a quelli precari o in nero che facevano in patria”.
“Riguardo all’immigrazione che arriva in Italia, presentata come invasione – scrive il Cip – i dati Istat ci dicono che nel 2016 a fronte di un incremento di 10mila unità il saldo migratorio netto (differenza tra gli italiani che emigrano ed gli immigrati che arrivano in Italia ogni anno) raggiunge quota 144mila (+ 8 per cento rispetto al 2015) per effetto del maggiore aumento delle immigrazioni rispetto alle emigrazioni. Quindi a prescindere da quello che si può pensare su come sia organizzata l’accoglienza, siamo su numeri che, se raffrontati ad una popolazione residente di circa 60 milioni, dà con chiarezza la misura di quanta speculazione politica venga fatta sul fenomeno dell’immigrazione”.
“La seconda giornata incentrata sulla sicurezza sui posti di lavoro – continua il collettivo – è nata dalla nostra insofferenza e rifiuto ad accettare il fatalismo con cui si assiste periodicamente alla sequenza incessante di infortuni e morti sul lavoro. Rifiutiamo anche la retorica istituzionale che alimenta la rassegnazione di fronte a questi eventi, come appunto fatalità o errori individuali, mentre dall’altra parte si mettono in essere le condizioni generali oggettive perché queste cose continuino ad accadere. Il dibattito, organizzato insieme a Medicina democratica ed alla Cassa di solidarietà tra ferrovieri, ha portato alla luce che la tendenza costante, a partire dal 1990, ad una diminuzione degli infortuni sul lavoro, ha subito un’inversione negli ultimi anni nei quali si registra un continuo aumento di morti bianche. Il motivo principale è la precarietà del lavoro che rende i lavoratori ricattabili. Non solo i lavoratori a tempo determinato, a contratto, interinali, sono esclusi dalla possibilità di rivendicare i propri diritti di sicurezza ma anche quelli stabilizzati risentono della precarizzazione del lavoro a causa dello smantellamento dello Statuto dei lavoratori che permette un più facile licenziamento. Si ricordi il caso del rappresentante dei lavoratori alla sicurezza di Massa, Johnatan Dilani, da parte di Esselunga che è rimasto più di un anno senza stipendio in attesa della conclusione favorevole del processo. Ci sono però anche processi che non si concludono in maniera positiva, come quello di Riccardo Antonini di Viareggio licenziato dalle Ferrovie dello stato, in quanto il giudice ha ritenuto più importante la fedeltà all’azienda che la ricerca della verità sulle responsabilità della strage di Viareggio. Le leggi che tutelano i lavoratori in materia di sicurezza ci sono e sarebbero efficaci a contrastare gli infortuni, il decreto legislativo 81/08 ha oltre 300 articoli, suddivi piccole imprese, e in alcune aziende nemmeno ci sono. Là dove esistono Rls che rappresentano realmente i lavoratori spesso non hanno gli strumenti di conoscenza per operare, perché la cultura della sicurezza non è più sviluppata nella discussione tra operai, ma è quella interpretata dal padrone, così come la formazione che gli Rls ricevono. In questo quadro si sviluppa l’esperienza portata avanti da Marco Spezia, ingegnere consulente sulla sicurezza, con Know your rights‘ una newsletter che raggiunge migliaia di lavoratori e che raccoglie i quesiti che molti operai ed Rls pongono a Marco”. 
“Le sue risposte – continua il Cip – sono uno strumento utile di conoscenza concreta dei diritti in materia di sicurezza per i lavoratori. Nonostante il ruolo che la legge assegna agli Rls, questi sono spesso deboli e isolati dagli altri lavoratori. Ci sono invece casi dove non sono isolati, lavoratrici e lavoratori sono consapevoli che le rivendicazioni sulla sicurezza sono strettamente legate a quelle salariali e non accettano che si faccia profitto a costo della loro pelle. Qui la scure della repressione padronale si abbatte senza esclusione di colpi. Nel caso dei ferrovieri licenziati per questioni legate alla sicurezza i lavoratori hanno risposto con la solidarietà, istituendo una cassa per sostenere i licenziati, che è riuscita ad andare oltre l’appartenenza alle diverse sigle sindacali. Un risultato frutto di un lungo lavoro organizzato capillarmente, di opposizione e di lotta. La cassa, finanziata a livello nazionale con una piccola quota fissa dello stipendio mensile, permette di sostenere le spese legali dei lavoratori e supporta le vertenze degli stessi nei confronti della controparte padronale. Un esempio di unità e di ricomposizione che dimostra come solo la lotta organizzata dei lavoratori è capace di porre un argine all’erosione dei diritti in materia di condizioni di lavoro e sicurezza”.
“La terza giornata – continuano i membri del collettivo di San Concordio – abbiamo affrontato il tema delle pensioni. Poter andare in pensione ad un’età ragionevole con una pensione dignitosa è un aspetto non secondario della sicurezza che deve essere garantita dal lavoro. Una prospettiva che si allontana per molti e che è quasi una chimera per i più giovani. Secondo la narrazione dominante ciò è dovuto principalmente all’innalzamento dell’età media della popolazione. In realtà il deficit di contribuzione alle casse Inps è dovuto in gran parte alla precarizzazione del lavoro attuata dai governi di centro-destra-sinistra degli ultimi 25 anni. Le nuove forme di contratto prevedono livelli contributivi molto bassi o inesistenti. Abbassare il costo del lavoro vuol dire anche questo, pochi contributi e pensioni da fame. Perfino lo Stato e gli enti pubblici in molti casi non hanno versato tutti i contributi ai propri dipendenti per far quadrare i bilanci, mentre si aumentano le spese militari, per esempio. Il dibattito ha illustrato i cambiamenti avvenuti con il passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo e ci siamo interrogati sui cambiamenti che si prospettano nel prossimo futuro. Grazie al contributo del patronato Inca – spiegano – è stato possibile entrare tecnicamente nel merito dei passaggi avvenuti in questi anni e fornire chiarimenti su posizioni contributive individuali degli intervenuti. Possiamo dire che le tre giornate hanno seguito il filo della contrapposizione tra sicurezza e precarietà. La continua precarizzazione della classe lavoratrice ha prodotto un peggioramento sia in termini salariali, diretti e indiretti (welfare e prospettive pensionistiche) sia ovviamente in tema di diritti e sicurezza sui luoghi di lavoro. Questo è il frutto di un arretramento trentennale progressivo delle nostre posizioni nel conflitto con le classi dominanti. La lotta di classe esiste e i padroni la conducono coscientemente, non lasciando indietro l’aspetto della propaganda come in tutte le guerre. Mentre ci fanno la guerra ci dicono che il conflitto non esiste, che abbiamo gli
stessi interessi, che dobbiamo fare squadra con loro”. 
“Il risultato – conclude il Cip – è che oggi si muore di più sul lavoro, i salari sono più bassi, i ritmi più alti e le pensioni più lontane e più misere. I lavoratori non possono delegare ad altri la tutela dei loro interessi. Solo la solidarietà di classe, l’organizzazione e la lotta sono in grado di ottenere risultati. Lavoriamo perché questa iniziativa sia stata un passaggio di ricomposizione, mettendo in rete le energie sul nostro territorio in questa prospettiva”.