Ultimo Chisciotte, al Giglio un avamposto di resistenza






Sarebbe dovuto arrivare, per il Teatro del Carretto, il momento di confrontarsi con Don Chisciotte. E raggiunti i 35 anni di storia, i tempi erano maturi. Sì, perché il cavaliere errante della Mancia è il personaggio della letteratura che meglio di chiunque altro sembra combaciare la vocazione della compagnia di Maria Grazia Cipriani: portare in scena il sogno nudo, il delirio, l’utopia fantastica e terribile. E la prima assoluta di ieri sera (23 novembre) al teatro del Giglio di Lucca, con il suo tutto esaurito da tempo, ha confermato la riuscita dell’esperimento. Un unico atto per tre attori capaci di creare, col loro corpo prima che con la parola, il patto narrativo col proprio pubblico: Chisciotte (Stefano Scherini) soffre ma non si arrende, cade e si rialza, zoppica, ansima, piange, ma tiene con sé, fino all’ultimo, il suo “sogno impossibile”.
È il non senso di questa tenacia che lo spettatore è chiamato ad accogliere, senza resistergli, senza anteporre giudizio alcuno. Come fa Sancho (Matteo De Mojana), che accompagna Chisciotte senza tradirlo – sebbene consapevole della sua follia. Ma è una coscienza claudicante: nell’incedere dello spettacolo entra in scena il dubbio e l’iniziale centratura di Sancho si sgretola, lascia il posto all’ipotesi che Dulcinea esista e che valga la pena combattere la falange di nemici che abitano l’immaginazione di Chisciotte per incontrarla. Antagonisti che si sublimano nello scontro finale, estenuante, al ritmo ossessivo e seduttivo del Bolero di Ravel, contro i mulini a vento. A interpretare i fantasmi della mente del cavaliere, il bravissimo Ian Gualdani. Il suo corpo si è fatto, in scena, materia grezza in grado di plasmare le sembianze di ogni delirio, trattenendo ora la forza del toro, ora la sensualità della donna, ora la rabbia del gigante. E l’essenzialità della scena ha risposto, concedendo allo spettatore la libertà di proiettarvi quello che la fantasia genera ma la parola non pronuncia. Perché Chisciotte è l’inconscio liberato e non vi è luogo più autentico del teatro per permettere ai desideri rimossi, agli incantamenti negati, di farsi respiro e forma.
Ultimo Chisciotte è, in questo senso, un avamposto di resistenza. Estremo, disperato forse ma non senza speranza. Una sorta di ultima campanella per riappropriarsi di quella verità, singolare eppure universale, che dia un senso alla propria presenza.
Lo spettacolo andrà in scena in replica questa sera (24 novembre) e domani pomeriggio.
Le foto di Andrea Simi
Elisa Tambellini