“Restiamo umani”: il Passaglia ad Auschwitz

2 giugno 2019 | 14:29
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“Restiamo umani”: il Passaglia ad Auschwitz
“Restiamo umani”: il Passaglia ad Auschwitz
“Restiamo umani”: il Passaglia ad Auschwitz

“Di Auschwitz ricordiamo il silenzio, senza riscatto, e il rumore dei nostri passi che calpestavano la terra o la ghiaia. Per sei ore nessuno di noi ha detto una parola. Le lacrime, quelle sì, scendevano senza che nessuna consolazione potesse fermarle. Sono state ore che hanno segnato uno spartiacque nelle nostre vite. Oggi portiamo con noi l’urgenza di fare il possibile perché ciò che è stato non sia mai più”. Un compito che i 16 studenti della IV M del liceo musicale Passaglia di Lucca hanno onorato anche ieri (1 giugno), con un concerto nel chiostro di Sant’Agostino per restituire suggestioni, memorie, immagini e note dell’esperienza di inizio aprile in Polonia.

Hanno suonato portando ciascuno al polso un nastro di colore diverso, uno per ogni triangolo cucito sulle divise dei deportati nei campi di sterminio a identificarne il ‘reato’: essere omossessuale, essere rom, essere oppositore politico, essere testimone di Geova, essere asociale, essere emigrato. Essere ebreo. Con loro, una bandiera arcobaleno. Il viaggio ad Auschwitz, in parte finanziato dal basso attraverso il crowdfunding (leggi), voleva portare l’energia della musica nei luoghi dell’Olocausto: un messaggio di pace espresso col linguaggio che prima e più di ogni altro sa arrivare lì, al cuore delle coscienze. “Abbiamo suonato lungo le strade di quello che fu il ghetto di Cracovia e anche vicino alla Judenrampe, la diramazione ferroviaria dove venivano fatte scendere le persone, dopo giorni interi in piedi nei vagoni merci di un treno. È lì che avveniva la prima selezione: è lì che i nazisti – spiegano gli studenti della IV M – decidevano se eri adatto al lavoro o se mandarti direttamente nelle camere a gas”. Utilizzano il tu, una forma personale di coinvolgimento verso le sorti di un’umanità diversa e uguale. Non c’è distanza, è come se la nudità e la vastità di quello che gli occhi hanno visto in Polonia avesse lasciato loro una vertigine che non se ne andrà. Continuerà a riguardarli, dovranno farci i conti a ogni passo.

“Il peso di quello che oggi possiamo testimoniare ci accompagna – commentano gli studenti – e si è fatto strada, dentro noi, perché imparassimo ad accorgerci della bellezza. Siamo entrati ad Auschwitz e ne siamo usciti con il nostro nome e cognome, con i nostri sogni e i nostri affetti. Per 6 milioni di esseri umani non è stato così. Rendersene conto significa mettere la realtà di ogni giorno su un’altra bilancia: noi siamo dei privilegiati perché siamo liberi, abbiamo in mano la nostra vita e possiamo farne ciò che vogliamo”.

Il percorso lungo gli assi della memoria ha condotto la IV M al presente, agli sbarchi negati, alle morti nel Mediterraneo: “Si possono chiudere i porti, ma non gli occhi. Quello che succede a poca distanza dalle nostre coste è disumano. Impedire a delle persone stipate in un barcone, provate da viaggi estenuanti, in condizioni precarie, di toccare terra ferma è come lasciare che un nuovo campo di concentramento si ‘costruisca’ da solo, in mare. È come se quella scritta agghiacciante, ‘arbeit macht frei’, oggi galleggiasse sulle acque. Non c’è motivazione che tenga: è una barbarie. Dietro refrain come ‘prima l’Italia’ – spiegano gli studenti della IV M – c’è un individualismo selvaggio: in realtà quello che si vuol dire è ‘prima io’. Tra le persone serpeggia la diffidenza, e la diffidenza diviene prima paura e poi odio. A questo servono i nazionalismi, ad accentuare le diversità tra persone e a metterle le une contro le altre. L’antidoto a questa deriva, che ammala e disgrega la società, è la cultura. Ci sentiamo spaesati e impotenti – ammettono – di fronte all’utilizzo di termini forti come ‘invasione’, di fronte alla volontà di etichettare le persone anche in base alla vita privata, al proprio modo di sentire la famiglia”.

“Quelli che di noi hanno potuto votare per la prima volta per il rinnovo del parlamento europeo – continuano – lo hanno fatto con la consapevolezza di una responsabilità nuova. Viviamo la politica come un pungolo a fare bene, a fare sempre meglio, perché dipende anche da noi. Come un invito ad agire il pensiero, al di là della ‘pancia’. Ci amareggia – proseguono – che il tema di storia non sia più tra le possibili tracce dell’esame di maturità. Perché? Forse dobbiamo dimenticare? Noi che abbiamo visto, noi che siamo stati in quello che si fatica a credere un luogo di questa terra, non lo faremo. In noi vive il tarlo che ci manterrà inquieti e con la guardia alzata perché sappiamo di quanto male sia capace l’uomo. Il 27 gennaio – concludono gli studenti – è una data che ci appartiene come famiglia universale, una data di liberazione e verità”.

Elisa Tambellini