Summer, piazza in delirio per i Tears for Fears






Lacrime di gioie. Quelle che i Tears for Fears distribuiscono ai 10mila accorsi al Lucca Summer Festival per assistere, anche in piazza Napoleone dopo l’esibizione di ieri a Roma, al grande ritorno in Italia del duo britannico che ha segnato una fetta importante della storia musicale mondiale, a partire dai primissimi anni ’80.
Il loro Rule the world tour prende spunto dal titolo della recente raccolta di successi pubblicata da Roland Orzabal – che nella band è cantante, chitarrista e compositore – e da Curt Smith, voce e basso. Precursori del New wave del New romantic, Orzabal e Smith hanno vissuto una carriera fatta di montagne russe: salite nello spazio a tratti, alternate a precipitose discese e periodi di oblio assoluto. Eppure eccoli qua: le espressioni, oggi distese davanti alla piazza piena (anche qualche fila all’ingresso), non raccontano l’ascesa ottenuta irrompendo nel main stream, quel passaggio al pop commerciale che Smith non riuscì mai a deglutire davvero, fino alla rottura definitiva, per poi riavvicinarsi. Sul palco dimostrano di sapere ancora come si fa, anche se sono passati quasi quarant’anni da quell’incontro adolescenziale a Bath, quando la prima band si chiamava Graduate e le influenze avevano il nome e cognome di Elvis Costello e dei The Jam. All’epoca sarebbe stato semplicemente impensabile, per loro, credere che avrebbero venduto qualcosa come 30 milioni di dischi nel mondo, anche e soprattutto grazie all’irresistibile successo di alcuni singoli letteralmente inarrestabili come Shout, bissata anche stasera, ed Everybody wants to rule the world.
Movenze disinvolte, sorrisi accennati, qualche parolina in italiano, i Tears for Fears disegnano un concerto che ha il sapore antico dei tempi andati ed il profumo nostalgico di quello che poteva essere. L’esibizione lucchese è una full immersion nei ricordi, una british invasion, esattamente come negli anni d’oro della band, con giochi di luce e video suggestivi che scandiscono lo sfondo di un‘esibizione senza soste. In scaletta ci sono i maggiori successi raccolti a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, con qualche recente aggiunta. Ci sono le hit, ma anche le canzoni dell’impegno, come quelle tratte da Song from the big chair, manifesto delle aspre critiche ai governi Reagan e Thatcher, oltre che momento cruciale di passaggio con l’abbandono del Synth pop, per andare alla ricerca di melodie più sofisticate. C’è il singolo d’esordio, The hurting, e c’è anche spazio per raccontare quella fase degli anni novanta in cui Orzabal decise di portare avanti la band da solo. Una quindicina di brani accuratamente selezionati per risplendere nuovamente, come una volta, anche al Lucca Summer Festival. Il pubblico intona la trasversale Mad world, pezzo frutto di decine di cover dopo il 1983, ma anche Orzabal e Smith – degnamente affiancati da Jamie Wollam alla batteria, Doug Petty alle tastiere, l’intensa Carina Round ai cori e Charles Pettus alle chitarre – dimostrano a loro volta di amare le incursioni nella musica altrui, con una penetrante versione di Creep, dei Radiohead. Il concerto sfila via liscio e potente allo stesso tempo, condito da qualche pezzo di bravura in chiave solistica, retaggio di epoche passate che oggi stupisce molto più di quanto possa apparire un vezzo vintage. Chiudono la scaletta Badman’s song e Head over heal, unite al bis di Shout. Il pubblico – molti gli anglosassoni presenti – balla per tutto il tempo, canta ed alla fine sfila via ordinatamente dopo un’ora e mezza di concerto, la mente intrisa di ricordi che riaffiorano per chi ha la carta d’identità sgualcita, il cuore colmo di vibrazioni positive per chi conosce soltanto oggi un duo che ha saputo attraversare indenne quarant’anni di storia della musica mondiale, uscendone a testa alta.
Le foto di Andrea Simi