Guido Malfatti, ricordo d’artista a 100 anni dalla nascita

Nasceva esattamente cento anni fa nel centro storico di Lucca Guido Malfatti, un protagonista indiscusso della scena lirica nazionale e internazionale.
Apprezzato dai più prestigiosi palcoscenici teatrali italiani e mondiali, il celebre baritono, scomparso quattro anni fa, cresce e si forma in un contesto sociale e storico a dir poco complesso. Il 24 ottobre 1919 era passato appena un anno dall’armistizio che pose fine alla grande guerra: un conflitto che fece sprofondare l’Italia in una disastrosa condizione economica, politica e sociale, spazzando via le speranze e la fiducia della belle époque e instaurando quel clima di profonda crisi che portò a maturazione gli ideali fascisti. Quando nel 1935 la Germania nazista invase la Polonia, avviando una guerra che mise nuovamente l’Italia in ginocchio, Guido, neanche ventenne, si trasferì a Napoli per lavorare come infermiere, dove rimase fino al ‘45. Due importanti lutti ne segnarono profondamente l’infanzia e l’adolescenza: quello della madre e del padre, che lo lasciarono appena quattordicenne nelle mani premurose ma comprensibilmente inesperte delle sorelle maggiori.
Partecipando al coro lirico amatoriale della sua città insieme al caro amico Antonio Berti, Guido iniziò ad avvicinarsi alla lirica: tuttavia fu solo nel 1954, vincendo come primo baritono il concorso Puccini di Lucca, che gli si aprirono le porte di un successo lungo oltre quarant’anni, nei quali rivestì i panni di molti personaggi nati dal talento dei maggiori compositori lirici di tutti i tempi. Dopo l’esordio al teatro del Giglio nelle vesti di Enrico, nella Lucia di Lammermour di Donizzetti, seguirono l’interpretazione di Germont nella Traviata di Verdi e quelle del console nella Madama Butterfly e del barone di Scarpia nella Tosca: sarà quest’ultima la figura più amata da Guido, nonché suo autentico cavallo di battaglia negli anni d’oro della sua carriera. Si contano infatti con tre cifre le occasioni in cui ricoprì i panni del barone Scarpia, l’agente di polizia sulle tracce del fuggiasco Cesare Angelotti evaso da Castel Sant’Angelo con l’aiuto della sorella.
Da ricordare sono ovviamente anche le importanti interpretazioni di Escamillo nella Carmen di Bizet e di Amonasto nell’Aida di Verdi, nella storica edizione del settembre 1956 presentata a Villa Bottini. Fino all’età di 63 anni Guido Malfatti calca costantemente i palcoscenici italiani, contribuendo al più grande periodo di fioritura della lirica internazionale al fianco di artisti che ne hanno segnato la storia, fra cui Giuseppe Di Stegano, Mario Del Monaco e Antonietta Stella. I suoi lavori si concentrarono soprattutto in tre dei teatri italiani più importanti: il teatro Massimo di Palermo, il San Carlo di Napoli e l’Eliseo di Roma, dove nel 1958 partecipa all’importante manifestazione Cento giorni di lirica, un ciclo di incontri interamente dedicati alle opere pucciniane, ognuna delle quali anticipata da un apposito approfondimento teorico.
Parallelamente alle iniziative sul nostro territorio, innumerevoli sono state inoltre le collaborazioni con produzioni straniere, di cui ricordiamo in particolare quelle in Inghilterra, Galles, Scozia, Brasile, Oslo e Sofia: una carriera complessa e ramificata, che proietta l’artista lucchese verso celebri contesti lirici italiani e mondiali, coronata il 27 dicembre 1975 con l’assegnazione delle onorificenze di Cavaliere della Repubblica Italiana e di commendatore.
Non solo eccellente baritono ma anche insegnante di canto ai conservatori Pierluigi Palestrina di Cagliari e Luigi Canapea di Sassari, nel periodo della sua maturità artistica Guido Malfatti, dato l’intensificarsi della sua attività al teatro Massimo, si trasferisce a Palermo dove muore nel luglio del 2015, lasciando un’immensa eredità artistica agli amanti della lirica e, più in generale, a tutti gli appassionati d’arte.
Non si può certo mancare di riconoscere con notevole orgoglio e ammirazione i meriti e il prestigio mondiale di questo nostro concittadino, che nutriva, ci tiene a sottolineare la figlia Laura, “un amore sviscerato per la sua città natale: amava Lucca e la portava ovunque con sé”. Proprio in questo centro toscano il baritono ha trovato il terreno fertile per coltivare il suo talento: basta infatti ricordare il nome di Puccini per comprendere il ruolo di eccellenza che Lucca ha avuto e tuttora ricopre nel teatro lirico, come in altri settori artistici. Al contrario della casa nativa di Giacomo però, la palazzina in cui Guido ha trascorso alcuni importanti anni della sua vita in Italia, sulla via Pesciatina, non può essere destinata alla creazione di un suo museo. L’edificio venne espropriato e distrutto verso gli anni settanta, rimpiazzato subito dopo da una delle numerose fabbriche presenti sul nostro territorio, oggi tristemente inutilizzata: lo scheletro senz’anima di una ex cartiera.
Lo ricordiamo come il baritono lucchese rinomato in tutto il mondo, se non per le prestigiose onorificenze di cavaliere della Repubblica italiana e commendatore, ma Guido fu anche un insegnante di canto in importanti conservatori. Lui stesso studente al conservatorio Boccherini, prosegue gli studi con ol maestro Contini che lo dota di una solida base tecnica. Inizia a dedicarsi agli alunni dei conservatori Pierluigi Palestrina di Cagliari e Luigi Canepa di Sassari nell’ultima fase della sua carriera, “svolgendo questa attività con passione e dedizione non minore di quella riservata al teatro”, dice la figlia Laura.
“Mi raccontò quanto amasse insegnare – aggiunge Graziano Polidori, cantante lirico di fama mondiale – perché gli offriva la possibilità di mettere a disposizione dei giovani non solo la sua conoscenza, ma anche l’immensa esperienza accumulata nel tempo. Poteva offrire preziosissimi consigli per stare sul palcoscenico, dove si muoveva con grande espressività”. Lo sottolinea con fermezza anche la figlia Laura: Guido non era solo un buon baritono, ma anche un grande attore, come si poteva osservare in particolar modo nelle sue interpretazioni di Scarpia. Tre sbirri, una carrozza, presto…: sono esattamente 389 le volte che Guido Malfatti, nei panni dell’agente Scarpia, esorta con queste parole all’inseguimento della povera Tosca, preda di un astuto, malvagio inganno: farle credere in una fugace liaison sentimentale fra il suo amante Mario Cavaradossi e la marchesa Giulia Attavanti, per trovare finalmente Cesare, ucciderlo e rubagli la donna. Come si evolve il pedinamento e quale sia la conclusione della vicenda, è cosa nota data la celebrità della Tosca pucciniana. Sconosciute sono invece le ragioni della predilezione di Guido verso questo personaggio.
Perché amava particolarmente interpretare il ruolo di Scarpia? “Mio padre era un uomo di teatro – prosegue Laura – talmente innamorato della sua professione che se la portava anche a casa, dimenticandosi a volte di esser sceso dal palcoscenico: il confine fra l’artista e l’uomo era pressocché inesistente nel suo modo di essere. Adorava Scarpia perché, credo, Scarpia era Scarpia: un uomo che dominava, che faceva tutto quel che voleva e otteneva tutto ciò che desiderava, oltre che una figura di alto livello in quanto barone. Gli sarebbe piaciuto essere quest’uomo anche nella vita, e forse un po’ lo era. Ne possedeva senz’altro qualche tratto della personalità, ammirandolo a tal punto da confessarmi di voler essere salutato per l’ultima volta con addosso il costume del barone, tanto lo amava. Ne amava il modo di agire, la furbizia, la sua grande astuzia, intraprendenza e scaltrezza”.
“Guido possedeva tutte le qualità e le componenti artistiche fondamentali di un baritono, perciò gli si addiceva molto questo personaggio: una voce possente e scura, voluminosa e imponente come imponente e forte era la sua fisicità – aggiunge Graziano Polidori, parlando di Guido come un uomo disponibile e cordiale, un gran signore nella vita e nel canto – Una persona perbene dall’animo buono e altruista: mentre parlava si intravedeva nel suo sguardo tutta la sua passione per il canto, lontana dall’arrivismo che connota gli ambienti lirici odierni’.
Illustre lirico, ottimo insegnante e grande attore, questo grande artista era anche e prima di tutto un padre che ha saputo conciliare la sua carriera con la dimensione familiare, non mancando mai di coltivare, nei limiti imposti dal un lavoro dinamico come il suo, i rapporti con i figli e la moglie. Venne alla luce in una casa del corso Garibaldi, ma visse prima in via Galli Tassi, poi in piazza Grande, per trasferirsi successivamente a Lunata e in un appartamento a San Filippo. Non esitò a portare con sé la famiglia quando fu costretto, per motivi legati alla sua attività artistica, a trasferirsi a Palermo: una città ricca di storia e cultura con cui coltivò sempre un ottimo rapporto, senza tuttavia riuscire mai considerarla casa sua.
Martina Del Grosso