Renzo Cresti: “La musica contemporanea non è morta”

Musicologo, musicista, insegnante, ma anche scrittore di monografie, saggi e romanzi, nonché collaboratore d’importanti riviste: Renzo Cresti, figura d’eccellenza nell’attuale panorama musicale, per l’inaugurazione del Cluster music festival 2019 ha presentato il suo ultimo libro, Musica presente, tendenze e compositori di Oggi.
È solo l’ultimo lavoro di una intera vita spesa in favore della musica contemporanea, che a partire da Lucca, nei prossimi mesi lo porterà in tutta Italia: Napoli, Roma, Trento, Genova, Treviso, un calendario ricco di date: “Tutto questo mi riempie di gioia. Significa che la gente ha fiducia in me, nel mio pensiero ed è un segnale positivo visto il mio obiettivo. Voglio infatti riattivare l’attenzione sulla musica contemporanea, per far capire che questa arte non è morta con Puccini, ma va avanti ancora oggi”. Lo scenario attuale è infatti molto sconfortante: “Quando le si chiede cosa ne pensa della musica contemporanea, la gente risponde che non le piace. Ma quale? Penso io. È un mondo così ricco e sfaccettato. Con tantissime tipologie e tendenze, ignorate dai più. Si tratta di un fenomeno visibile in ogni ambito ed estremamente preoccupante, perché senza conoscenza non c’è consapevolezza, né un approccio critico alla realtà. Stiamo diventando spettatori passivi, manipolabili e in balia degli altri”.
Lucchese d’adozione – attualmente docente di storia della musica al Boccherini -, Renzo Cresti nasce il 2 febbraio 1953 a Firenze, dove comincia il suo percorso artistico. Prima studia chitarra classica con Fernando Scarselli, poi quella elettrica e il basso: travolto dall’onda rock and roll, suona in vari gruppi fra cui I Sogni, toccando le vette delle classifiche toscane. “Sono cresciuto in un ambiente già imbevuto di musica – racconta -: entrambi i miei nonni suonavano in banda, un mondo che non mi abbandonerà mai. Inoltre mio padre un po’ la musica la conosceva, soprattutto gli piaceva quella romantica e l’opera lirica. Il mio primo disco fu infatti sui poemi sinfonici di Liszt, Mazzeppa e I preludi: ma da adolescente mi attraeva soprattutto la musica giovanile degli anni ’60”. Se da un lato si allontanava dalla tradizione, sognando i Beatles e i Rolling Stones – “amo ancora i Rolling Stones, mi tengo sempre aggiornato su di loro” – dall’altro entrava al conservatorio, nella classe di contrabbasso del professor Brandi. “In realtà volevo frequentare chitarra con Alvaro Company, ma nonostante l’idoneità non c’erano posti disponibili” racconta. “Io e Alvaro siamo comunque diventati cari amici e non rimpiango affatto questa strada”.
Dalla musica classica alle rivoluzioni rock progressive, dalla svolta elettrica de Il Sogno al conservatorio Cherubini: tradizione e modernità, due strade convenzionalmente non conciliabili, nel suo percorso artistico s’intrecciano fin da subito. “La mia idea di musica – sottolinea – non si basa su una scala di valori: non esistono musiche di maggiore o minor pregio, né migliori o peggiori artisti. Tutti i generi hanno pari dignità, se vi è qualità e partecipazione. Ho sempre promosso una ‘musica inclusiva’ – continua – molto aperta: non credo infatti nei confini tra generi, che servono certo a capirsi, ma non per rinnovarsi e creare. L’opera d’arte nasce dall’intreccio di linguaggi differenti, non dalla staticità”. Non si tratta però di un processo semplice: mescolare stili e suoni sfocia spesso nell’accatastamento sconnesso e scoordinato, spiega Renzo. “Pochi artisti sono capaci di organizzare la materia, estraendo un senso dalla molteplicità indisciplinata: il mio ultimo lavoro è dedicato a loro”. Perché il titolo Musica ‘Presente’? “Parlo di musica contemporanea, ma anche presente a sé stessa, consapevole. La divulgazione delle moderne sonorità si lega a un secondo, importante obiettivo: proporre melodie che facciano pensare, attivando l’intelligenza e le emozioni a un livello meno superficiale”. Un’arte che stimoli il pensiero critico: “Ci sono sempre più spettatori passivi di canzonette da sottofondo, mentre io voglio mostrare che esiste anche un suono pieno, profondo. Una musica che, stimolando domande – sulla sua genesi, i suoi obiettivi – la si può sviscerare e capire, ascoltare ma anche, e soprattutto, sentire”.
900 musicisti analizzati e quasi altrettanti citati, 996 pagine di riflessioni sulle tendenze compositive, estetiche e poetiche della contemporaneità, 21 fogli solo per l’indice e una conclusione sul rock progressive: l’ultimo lavoro di Renzo Cresti corona un complesso percorso intellettuale iniziato con l’ingresso al Dams di Bologna. Il Sogno si scioglie, lascia la sua città e abbandona il conservatorio: sono gli anni della svolta teorica, “uno studio matto e disperatissimo” – così lo ricorda -, che lo inchioda alla scrivania per molte ore al giorno. “E poi, sarebbe stato impossibile proseguire il contrabbasso”, osserva. Non si è trattata di una scelta infatti, quanto di una strada obbligatoria, “anche se solo chi suona nell’accademia, può capire. L’accavallamento degli studi tra Firenze e Bologna era molto pesante. Inizialmente cercai di non abbandonare lo strumento, ma ben presto mi sono reso conto della quasi impossibilità di questo proposito, immergendomi completamente nella musicologia. Lo strumento è qualcosa di molto esclusivo, i musicisti delle specie di monaci, oserei dire. Servono almeno 3 o 4 ore giornaliere di esercizio, indipendentemente da esami o concerti: uno stile di vita sacrificante, difficilmente conciliabile con studi storiografici di alto livello. Il professionista della musica somiglia all’agonista: deve esercitarsi sempre, con costanza, ogni giorno”.
Esperto musicologo, tuttavia lo appassiona ogni forma d’arte. In particolar modo la pittura, la letteratura e la poesia: la cultura è per Renzo Cresti un mondo unico e la creatività, il pensiero, la storia un intreccio di forme espressive diverse, ma indissolubilmente legate. Tante sono infatti le sue collaborazioni con riviste culturali e musicali – importante quella con Prisma, su cui discute problematiche culturali o l’Antologia di Vieusseux dove scrive recensioni – molte le biografie, è inoltre autore di saggi – il primo a soli 24 anni, Un’opera per tutti e per nessuno (1977) -, di racconti, libretti e romanzi – fra cui La terra che canta e Nella notte, la fiamma. Vivendo la cultura in modo universale, Cresti frequenta pittori, scrittori, compositori, interessandosi molto anche di filosofia. Con una tesi sulla genesi degli scritti wagneriani in rapporto alla storia e il pensiero del tempo – cui segue la pubblicazione sulla rivista Ricerche musicali del saggio Berlioz e Liszt guidano Wagner (1981), oggi parte del libro Richard Wagner, la poetica del puro umano (2012) -, conclude il Dams: “Cresti è stato il migliore studente di quegli anni”, racconta Mario Borlotto, suo insegnate. Il difficile rapporto fra Nietzsche e Wagner è invece oggetto della tesi specialistica in musicologia – cui deriva in parte il libro Wagner oggi, Padova (1982): “Sono state due pietre miliari del ‘900, – spiega Cresti – un secolo fortemente debitore sia a Wagner che a Nietzsche. Affascinato dagli echi del teatro greco nella musica wagneriana, il filosofo se ne allontana con l’adesione del musicista al nazismo. Friedrich al contrario non fu antisemita, anche se per molto tempo la sua filosofia è stata, purtroppo, male interpretata”.
Non ha nessun rimorso per la svolta intellettuale della sua carriera. “Sono contento del mio percorso di studi, l’università mi ha dato davvero tanto e le sono profondamente debitore – riconosce con nostalgia. – Proprio qui ho conosciuto importanti personalità, tra cui Diego Bertocchi, docente di drammaturgia musicale cui ho curato il libro Wagneriana – avevo solo 26 anni, è stata la mia prima esperienza! Ricordo inoltre con affetto il direttore del Dams musicale Luigi Rognoni, mio caro amico e unico, grandissimo maestro”. Adesso docente lui stesso – insegna storia della musica al Boccherini, di cui è stato direttore dal 2006 al 2009 – Renzo non risparmia critiche al mondo accademico. “Un ambiente ancora troppo ancorato alla tradizione, dove la musica contemporanea non trova spazio: molti giovani – denuncia – hanno serie difficoltà conclusi gli studi, perché la carriera concertistica è avvicinabile solo dai migliori, in un panorama densamente popolato ed estremamente competitivo. La vera sfida è introdurre a esperienze professionali più attuali: perché non si formano accordatori professionisti? Perché non si guarda al panorama musicale contemporaneo? Perché non ci sono spazi per l’esibizione dei giovani compositori? Perché l’Italia abbandona i suoi laureati nel limbo della disoccupazione? Spaesamento, difficoltà, sospensione, profonda solitudine: questi gli stati d’animo delle nuove generazioni, che scivolano silenziosamente nella voragine del nichilismo. “Proprio per loro nasce Cluster, di cui sono il direttore artistico. Per dare una possibilità alle loro aspirazioni e ai loro sogni”. Dal 2009 tantissimi compositori lucchesi, italiani e internazionali, aderiscono al progetto dell’associazione: promuovere la conoscenza della musica contemporanea, valorizzando i giovani talenti. Numerose sono le attività organizzate in questa direzione: la pubblicizzazione di cd e libri in cui i soci hanno svolto un ruolo di rilievo, la collaborazione con altre associazioni e scuole di musica dentro e fuori il territorio lucchese, la realizzazione di eventi in cui musica ed altre forme d’arte s’intersecano. Ma infine e soprattutto, gli scambi multiculturali: “L’apertura è il suo fondamento: Cluster appartiene al mondo, intreccia costantemente rapporti con l’estero in un’ottica estremamente aperta. Arricchimento reciproco, ma soprattutto mezzo per acquisire consapevolezza di sé e delle proprie capacità: questo è il valore del dialogo e del confronto, un meccanismo che fa crescere come compositore ma prima ancora umanamente” afferma Cresti. Esattamente l’opposto del nostro presente, in cui la globalizzazione impoverisce l’arte, declassandola a superficiale decoro. L’associazione Cluster e Musica Presente si attivano fortemente contro questa tendenza, promuovendo una musica che faccia pensare, non solo intrattenere: “L’arte è uno specchio del mondo e prezioso strumento di autoanalisi: scava nel nostro profondo e sradica la superficie della realtà. Una lente di ingrandimento molto potente sulle nostre tragedie sociali e interiori”, conclude.
Martina Del Grosso