“Every letter is a love letter”, successo per la mostra – Foto

22 novembre 2019 | 11:10
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Si chiama Every letter is a love letter la mostra inaugurata con successo lo scorso 16 novembre nello spazio Terzopiano in piazza dei Servi a Lucca: un percorso declinato al femminile che affronta tematiche rimaste ai margini delle narrative ufficiali, ridiscutendo gli stereotipi di genere. Protagoniste sono tre donne di età e culture differenti: Anna Oberto, Clarissa Falco e Marcela Morgana.

Liberiamo il linguaggio e libereremo la donna“, scriveva Ana Oberto nel 1971, sull’ultimo numero di Ana Eccetera. Erano gli anni delle rivoluzioni musicali, letterarie, sociali e femministe, che riconsideravano la donna anche da una prospettiva linguistica. Sulla parola e la scrittura riflette l’arte visuale di Ana Oberto, in un percorso artistico dedicato alla materialità del linguaggio. Nata ad Ajaccio nel 1934, ancora bambina si trasferisce a Genova dove dopo gli studi lavora per una ditta di cosmetici. L’incontro con Martino Oberto, che sposerà nel ’56, segna un punto di svolta nella sua vita: intellettuale a tutto tondo – poeta, pittore, filosofo – le insegna l’arte del restauro – lavorano per la Sovrintendenza di Genova, il museo Capodimonte a Napoli, la pinacoteca di Siena, la galleria internazionale di Urbino fino all’86 – e insieme a Gabriele Stocchi fondano Ana Eccetera, rivista di analisi interlinguistica. Anna aveva solo 24 anni: “L’entusiasmo era tanto. Volevamo diffondere la visual poetry, allora una vera e propria novità, e fu un successo. La rivista diventò un riferimento per poeti e artisti come Ezra Pound, Orazio Bagnasco, Corrado d’Ottavi, Vincenzo Accame solo per citarne alcuni. Ana è stato un momento fondamentale per me dal punto di vista formativo, grazie a cui ho acquisito un approccio all’arte senza distinzioni settoriali. Tutto il mio lavoro si fonda su questo, una commistione sperimentale di linguaggi artistici diversi, il poetico, il filmico, il tipografico”, racconta Anna.
Del suo articolato percorso sperimentale, Every Letter is a Love Letter ripercorre in particolare la fase calligrafica e femminista, proponendo una serie di opere che vanno dal 1969 al 1980: sono lavori di contestazione alla società patriarcale a partire dalle strutture del linguaggio, coniugandone l’analisi con l’energia poetica della scrittura a mano. “Ho iniziato con la ricerca sul linguaggio, alla fine degli anni ’50: la nostra rivista s’interessava al rapporto fra la parola, il segno e l’immagine. Martino approfondiva la parte analitica e filosofica, mentre io il rapporto fra parola e segno – spiega Anna – All’inizio presentavo lavori grafici dalla rivista, poi mi sono concentrata sul linguaggio al femminile e il femminismo, come mostrano i miei primi collages, qui esposti”: Reflex e L’italiana, del ’69 e Situazione. Giornale dei giornali, pubblicato nel ’71 sull’ultimo numero di Ana Eccetera, insieme al Manifesto femminista anaculturale e un testo programmatico per la prima mostra internazionale di operatrici visuali, curata da Mirella Bentivoglio – Milano, centro Tool. “Mi chiesero di fare un testo teorico, non critico, sulle opere in mostra: ed io ne ho fatto uno politico, da cui nacque la definizione di arte femminista”.
La mostra ripercorre la vita di Anna, snodandosi fra gli avvenimenti più significativi. C’è la lettera di ringraziamento scritta a mano per una camelia, che testimonia il suo amore per la lingua francese: “Ricordo sempre le canzoni di mia nonna: in famiglia eravamo pronti ad apprendere le lingue, e questo interesse mi è rimasto. Adoro i dialetti, in particolare quello toscano: metà dei miei parenti sono di Viareggio e Lucca, e ancora ammiro il loro linguaggio, straordinariamente espressivo”. Ha lavorato molto con la polaroid documentando il rapporto di suo figlio con il mondo, l’evolversi della sua scrittura e del linguaggio, da cui è nato nel ’74 Diario video-sentimentale, in esposizione: una serie di fotografie che ritraggono il bambino dal primo anno e mezzo di età, in dialogo con gli appunti grafici e verbali di Anna. “Oltre la scrittura e i disegni – racconta -, registravo le prime parole. Seguivo mio figlio con attenzione e curiosità: è partito dalla graffite, passando al blu e al rosso, tutto da solo. Arrivava nel nostro studio, a Varigotti, in Liguria, entrava e si metteva subito a disegnare sul pavimento. E aveva solo un anno e mezzo”. Si può inoltre ammirare la serigrafia in monocromo blu della città ideale di Urbino: simbolo di un mondo libero dalla gabbia del linguaggio e della ragione, ricostruito dalla donna con il potere della poesia.
Non manca la documentazione delle sue performances, che affiancavano sempre alla recitazione muta la registrazione dei testi. In esposizione vi è una trilogia, di cui la prima è Ecritures d’amour. Cérémonie pour Adèle H. del 1980, pubblicata da Jean Baudrillard nella rivista Traverses del Centre Pompidou di Parigi; la seconda si svolge all’interno della propria abitazione, e la terza nell’ex ospedale psichiatrico di Genova, pubblicata sulla rivista Silouettes.
In esposizione infine, alcune pubblicazioni: l’antologia delle partecipanti alla prima mostra di operatrici visuali internazionali, nel ’71, realizzata da Anna con l’accompagnamento biografico a ogni foto; due pubblicazioni della Vergine, grande critica d’arte che s’interessò anche di femminismo; il catalogo delle opere esposte alla biennale nel ’78: la mostra Materializzazione del linguaggio, a cura di Mirella Bentivoglio, che partì a Gennaio del ’72 da Milano, girando molte gallerie per poi approdare a Venezia. Questi testi sono preziosi pezzi unici.
Di Anna Oberto è anche la prima Antologia internazionale di operatrici visuali (1975), e la voce poesia visiva per l’enciclopedia Lessico politico delle donne, nel 1979: entrambe documentate all’interno della mostra.
Se Anna dà corpo e spessore alla parola, Clarissa Falco la traduce in materia. La giovane artista, nata nel 1995 a Genova, ha già partecipato a numerose attività: è stata una curatrice della mostra Just Good Friends – The reunion of common things e del workshop Food for commons, food for life per la Biennale di Venezia architettura 2018, alla Swamp School. I suoi lavori sono stati esposti alla mostra Incontro⋕What about the materiality of the body? alla fondazione dei Pini di Bologna, e ha lavorato come set up assistant per Arial Citytellers di Francesco Jodice, alla mostra di arte contemporanea di Yinchuan curata da Mario Scontini. Oggi frequenta l’ultimo anno di arti visive e curatoriali al Naba di Milano, e i suoi ultimi lavori, in esposizione allo spazio Terzopiano, accostano la donna al macchinico, all’industria e al motore. “Sia per una ragione fisica – spiega  – associando il corpo femminile a ingranaggi quasi organici, ma anche per una considerazione più profonda: nella forza motrice dell’oggetto meccanico riconosco infatti quella delle donne. Per questo sento per le forme di donna l’interesse artistico che provo per un marchingegno o qualcosa di complicato, e traduco le mie emozioni in disegni e sculture”. Contemporaneamente, s’impadronisce degli stereotipi maschili del motore, l’industria e l’operaio, rappresentandoli in versione femminista e distruggendo l’idea dell’uomo forte rispetto a una povera donna, fragile e indifesa. L’accostamento della figura femminile al macchinario infatti, ne esprime efficacemente tutta l’energia e la misteriosa, affascinante complessità: un tema sviluppato in tutti e quattro i lavori, realizzati con tecniche distinte. Al centro della sala, Anatomia di un corpo femminile, un motore dipinto in rosa: “L’ho dovuto ripulire con acidi, oliare, era tutto sporco e consumato. Apparteneva a un motorino da rally, quindi vecchissimo. Ma tenendolo in mano, io lo vedevo già rosa, me lo immaginavo già così – spiega Clarissa, non nascondendo di averne in programma una serie – non solo motori da rally, e di colori diversi. Quello che sto lavorando adesso lo immagino verde. Voglio continuare con questa tecnica di mettere sulla scultura il colore”. Sulle pareti sono esposte le altre opere, legate dallo stesso filo conduttore: Giunti al limite – acquerello su tela; Mescolatrice a vita continua ̶ acrilico su tela – e Concessioni – olio su tela.
Clarissa ridiscute l’immagine femminile anche attraverso sue performances, in scena in molti contesti artistici, che ricreano la situazione claustrofobica di una minuscola prigione con quattro porte finestre. Lei all’interno, vestita in bianco, cerca di divincolarsi dall’abito da sposa della nonna, simbolo dei costrutti sociali di moglie, madre e casalinga: le varie gabbie costruite dalla società sulla donna.
Nata a San Ferdinando nel 1975, Marcela Morgana è la terza protagonista della mostra. Dopo il Bachelor of arts e un master in arti visive all’università del Cile, vince una borsa di studio tedesca Daad in comunicazione visiva all’università delle arti di Amburgo, specializzandosi nel 2013 in Art in context a Berlino. Marcela ha già ottenuto un ottimo riscontro internazionale, esponendo nei più prestigiosi musei, gallerie e istituzioni, fra cui il Museo de Arte Contemporàneo Mac, a Santiago; il Kunsthalle M3 Berlin; il Centro nazionale per l’arte contemporanea di San Pietroburgo; il Museu de arte contemporấnea da Universidade de Sẫo Paulo; il Tent Center for the Arts of Rotterdam; il Museo nazionale di arte contemporanea, nella Repubblica di Corea. Ha inoltre partecipato a varie biennali, fra cui quella di Mercosur a Porto Alegre, in Brasile; la biennale Nuevos Medios di Santiago; l’Internazionale del Cairo.
Every Letter is a Love Letter presenta la sua serie dei textile insieme a due lavori realizzati in Toscana, un altro originale esempio di narrative art sulla realtà delle Ande.
Ispirata a una forma comunitaria del lavoro, quindi non solo legata alla donna ma che riflette la società nel suo insieme, la serie si articola in sei arazzi tessili: i tessuti sono elementi importanti dell’organizzazione sociale andina, un elemento di riconoscimento identitario su cui gli abitanti raffigurano episodi della vita. In questo caso però, i ricami non ne raccontano la storia originaria, ma quella presente: “Un’industria di scavo ed estrazione dell’acqua sta infatti creando problemi enormi di siccità e nell’agricoltura, attentando alla loro vita – spiega Marcela – Ho voluto raffigurare questa realtà, inserendo nei miei lavori le immagini delle scavatrici e dell’area geologica ripresa dall’alto”. Come si osserva in Miners, machines and water, Berlino; Rotary bits and blasthole drillings, Firenze; Dance of a sending, Berlino; Sunset at the tailings dam, Firenze; Motion 02, Berlino; Yanacocha, chuquicamata, las bambas, Firenze.
Il rapporto fra una natura originaria e l’artificio è sottolineato anche dal video Chavin and Pixel, stop motion animation, Amburgo 2009: è la riproduzione di un videogioco che affronta il rapporto fra uomo e macchina e l’intervento sull’incontaminato, temi sviluppati nei successivi textile. Mostrando la sovrapposizione di due storie e due epoche, traspare quindi dai lavori di Marcela una volontà di denuncia che li connota anche in senso politico.
Every letter is a love letter è una mostra transgenerazionale declinata al femminile che ci terrà compagnia fino al 26 gennaio, nello spazio Terzopiano di Palazzo dei Servi. Un progetto realizzato con il supporto di regione Toscana e Giovanisì e con il patrocinio del comune e della provincia di Lucca, all’interno di Cantiere Toscana, rete territoriale per la ricerca, produzione e formazione per l’arte contemporanea.
Per prenotazioni, contattare il numero 348.7252628.

Martina Del Grosso