Piazza Fontana, la giustizia negata: successo in S.Francesco

24 novembre 2019 | 18:35
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Piazza Fontana, la giustizia negata: successo in S.Francesco

Successo di pubblico e tanti spunti di riflessione ieri (23 novembre) per il quinto incontro delle Conversazioni in San Francesco, una rassegna culturale promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, giunto alla sua sesta edizione. Tema di quest’anno, collegato con la biennale d’arte fotografica Photolux Festival, è il muro: come barriera, ostacolo, confine materiale o metaforico, ma anche come opportunità, luogo di unione, di incontro. Una scelta significativa, sia per la attuale tendenza sociale alla chiusura e all’esclusione, sia in occasione dei trent’anni dalla caduta del muro di Berlino, che ha diviso l’Europa fino al 9 novembre 1989.

Se uno dei periodi più tesi della storia, quello della cortina di ferro, trova simbolicamente una data di arresto, ancora oggi un pesantissimo muro grava sulla storia giudiziaria italiana. Era il 12 dicembre 1969 quando, nella Banca nazionale dell’agricoltura di Milano, una mano ignota deposita una bomba: diciassette i morti, più di novanta i feriti, in quella che passerà alla storia come la strage di piazza Fontana, segnando l’inizio degli anni di piombo. Fra i tanti all’interno della banca, quella mattina c’era anche Pietro Dendena, 45 anni, nato a Casaletto Ceredano in provincia di Cremona il 4 novembre 1924: terzo di quattro figli in una famiglia numerosa e povera, un’adolescenza di lavoro e la deportazione, prima della maggiore età, nel campo di concentramento di Hildesheim, per poi trovare la morte nel suo stesso paese, meno di trent’anni dopo. A ricordarlo a Lucca, portando avanti la battaglia della figlia Francesca, scomparsa pochi anni fa, suo fratello Paolo Dendena, presidente dell’associazione familiari delle vittime della strage di Piazza Fontana, insieme al nipote Matteo e alla giornalista Benedetta Tobagi autrice del libro Piazza Fontana. Il processo impossibile, che da anni lotta per la verità. In una serata molto partecipata alla presenza di una sala gremita, prima i familiari, poi la scrittrice, prendono parola sul palco, ripercorrendo i fatti di quel 12 dicembre 1969, e la serie di ostacoli che ha impedito l’affermarsi della giustizia.
L’incontro si apre con le parole del presidente della fondazione, Marcello Bertocchini: “Siamo qui stasera – dice –  per la necessità di ricordare, discutere e raccontare, in contrapposizione al muro di silenzio e omertà creatosi intorno alla vicenda di Piazza Fontana. E per contrastare un altro muro, quello dell’indifferenza, un pericolo per i giovani che sulla memoria costruiscono il proprio futuro. Noi della Fondazione, vogliamo questa sera contribuire allo sgretolarsi di queste barriere, per questo abbiamo sentito il dovere civile di portare a Lucca le testimonianze di questa strage, la madre di tutte le stragi”. Lasciando la parola al giornalista Piero Ceccatelli, moderatoree dell’evento, la serata continua con la proiezione della cerimonia istituzionale del 2009, in ricordo delle vittime. I volti delle massime cariche scorrono in sottofondo alle parole di Francesca Dendena, denunciando la violenza di chi, con questa strage, mirava a una svolta autoritaria del sistema democratico. Lei che ha trascorso la sua vita in funzione della memoria e nella ricerca della giustizia, non era ancora maggiorenne il giorno dell’assassinio del padre. Oggi, il fratello e il nipote sul palco parlano in suo nome.
“La mattina dell’attentato, insieme alle vittime, sono morti anche i figli, le mogli, le centinaia di parenti di queste famiglie”, dice il figlio di Pietro, Paolo. Ma poteva capitare a chiunque. L’Italia intera è stata colpita, aggiunge ricordando il difficile percorso iniziato quel giorno: difficoltà di carattere giudiziario, per rincorrere un processo spostato da Milano in sedi lontane e improbabili, Roma, Bari, e Catanzaro. 1250 chilimetri di distanza, “per renderne impossibile la partecipazione e affossare la verità”. “Ragazzi, voi dovete essere presenti, dovete andare” diceva loro la madre, che impegnata nella gestione del negozio, non poteva seguire le vicende in prima persona. “Dovete chiedere a gran voce chi ha ucciso vostro padre. Quelle bombe non ci sono andate da sole sotto il tavolo, qualcuno ce le ha messe”. Paolo ricorda la sorpresa con cui veniva accolta la loro presenza a Catanzaro, quasi non fosse desiderata o prevista: alle domande sul perché si trovassero lì, lui e la sorella rispondevano: “Credo nella giustizia e spero che sia fatta”. “E – aggiungeva Francesca – un giorno vorrei avere qualcuno da perdonare”. Un perdono che non ha potuto concedere. Dopo varie sentenze, nel 2005 la Corte di Cassazione ha decretato mandanti della strage un gruppo eversivo formatosi a Padova, proveniente dall’ambiente di Ordine Nuovo e guidato da Franco Freda e Giovanni Ventura, che in quanto assolti in via definitiva dalla Corte d’appello di Bari, non sono stati più perseguibili. Mentre sconosciuti rimangono gli esecutori materiali. Una presa in giro, un ulteriore schiaffo alla memoria delle vittime e al dolore dei famigliari: il meccanismo giudiziario italiano prevede infatti tre gradi di giudizio, non consentendo il processo a chi è già stato assolto.
“Hanno vinto loro”. Matteo ricorda le parole della zia, subito dopo la pronuncia della sentenza. “Fu una brutta sensazione – racconta – ma durò solo qualche secondo: perché se non è stato possibile affermare la verità giudiziaria, lo è stato dal punto di vista storico”. Questo grazie ai famigliari, che dal 3 maggio 2005, si sono spogliati del ruolo di vittime per vestire quello di testimoni della storia, trasformando il loro impegno civile in una memoria da difendere e divulgare, soprattutto verso le nuove generazioni “perché diventino il nuovo tessuto democratico di questo paese – spiega il nipote – È importante, perché se questa memoria non viene trasmessa, andrà perduta”.
Una sentenza, quella del 2015, cui si giunge dopo un intricato percorso processuale di depistaggi, documentato e analizzato con scrupolosità e chiarezza dalla giornalista Benedetta Tobagi nel suo libro Piazza Fontana. Il processo impossibile, presentato durante l’incontro. “Era un periodo ambivalente per l’Italia – racconta la scrittrice – Il paese si evolveva economicamente e socialmente, ma era una giovane ragazza, un’adolescente con un passato fascista ancora fin troppo presente. Se il raggiungimento di una verità giudiziaria è fallito, questo ne è il motivo: il paese era ancora profondamente innervato da chi aveva occupato gli apparati di stato fascisti. Inoltre l’indipendenza della magistratura era molto compromessa: la polizia giudiziaria non le obbediva, essendo un retaggio della polizia politica fascista, che plasmò la falsa pista anarchica. Questo condannò a morte il processo, insieme a una magistratura che considerava la giustizia uno strumento per mantenere lo status quo”.
La giornalista conclude con una riflessione sulla nostra realtà presente. “Le continue torsioni impresse alla giustizia negli anni di piombo – dice – hanno provocato l’ondata di violenza terrorista e una totale disillusione nei confronti della politica. La mancanza di una verità giudiziaria per la strage di piazza Fontana, ha lasciato in Italia un senso di impotenza e di impossibilità di cambiare, in cui ancora oggi si ristagna. Invece, bisogna guardare da vicino questa vicenda e ricordare cosa si è fatto in quel momento in cui la nostra democrazia ha rischiato così tanto, per continuare a difenderla e proteggerla dai pericoli attuali” E proprio nel segno del ricordo e dell’affermazione dei principi costituzionali, a Milano alla presenza del presidente della Repubblica Mattarella, per il cinquantesimo anniversario della strage saranno apposte in piazza Fontana 17 piastrelle in ricordo delle 17 vittime, ognuna con un nome inciso. E una diciottesima, attestante la matrice riconosciuta dell’attentato: non le Brigate Rosse, non gli anarchici, ma l’allora gruppo politico di estrema destra extraparlamentare, Ordine Nuovo”.
La rassegna Conversazioni in San Francesco si chiuderà venerdì (29 novembre) con il giornalista Ezio Mauro nell’incontro Berlino. Cronache del muro, alle 21 sempre in San Francesco. L’incontro è gratuito, per la partecipazione s’invita a prenotare il biglietto on line.

Martina Del Grosso