Inchiesta su Tosca: e Augias lascia il Giglio a bocca aperta
“Mi sento quasi in imbarazzo a parlare di Puccini a Lucca”. Lo ripete, Corrado Augias, spezzando di tanto in tanto la linea di quella narrazione ipnotica che ieri (14 dicembre) lo ha portato sul palco del Teatro del Giglio per raccontare Tosca. Sì, perché la musica è una storia e può essere raccontata. “Soprattutto l’opera, che è arte totale – precisa Augias – perché coinvolge voce, strumenti, poesia, sceneggiatura, recitazione, scenografia e, a volte, anche la danza, come nei Vespri siciliani di Verdi”. L’esperienza del melodramma va accolta così com’è. Eppure ogni opera porta con sé un segreto. Un livello di lettura che richiede uno sforzo ulteriore della comprensione ma che restituisce, poi, un piacere autentico. Questo il dono, servito con leggerezza ed eleganza, che Corrado Augias ha fatto ieri al numeroso pubblico intervenuto per uno degli appuntamenti più attesi dei Puccini Days.
D’altronde il giornalista de Le storie è avvezzo a svelare segreti e misteri. Dalla trasmissione cult Telefono giallo ai saggi narrativi su città come Londra, Parigi, Roma, passando per un’iniziativa editoriale che La Repubblica ha pubblicato nel 2012 dedicata, proprio, alla musica. Un format che si è prestato in modo naturale alla performance. Giacca e jeans, tra un leggìo e un piccolo tavolo d’appoggio, in poltrona con le gambe che di tanto in tanto si accavallavano: è con questa postura familiare che Augias ha condotto il pubblico nella Roma del 1800, quella di Pio VII, eletto pochi mesi prima a Venezia, successore – e il nome scelto lo rimarca – di Pio VI, il papa fatto prigioniero e allontanato dalla città eterna in nome della Repubblica Romana del 1799, filofrancese e giacobina. È lì che si svolge la vicenda della cantante Floria Tosca, del pittore Cavaradossi e del crudele barone Scarpia, reggente di polizia e violentatore di donne.
“Tosca avrebbe potuto essere un dramma epico ma Puccini conduce un lavoro diverso sulla storia di Victorien Sardou. Le romanze sono brevi rispetto alla struttura complessiva dell’opera e i personaggi sono colti nella loro umanità, nel loro essere antieroi, talvolta ingenui, talvolta meschini. Fa eccezione solo Cavaradossi. Questa – ha detto Augias – è una storia in cui muoiono tutti, dura. Non c’è riscatto”. Il racconto del giornalista è intervallato da brevi spezzoni del film Tosca, del 1976, che immortala l’interpretazione di Placido Domingo – “la voce forse più bella del Novecento” – e quella del soprano Rajna Kabaivanska, “una delle più pure e intense”.
Per restituire le atmosfere della Roma ottocentesca, cupa e papalina, Augias prende in prestito ora un sonetto del Belli, ora un’epistola di Leopardi. E alla fine sembra di respirarla davvero, quell’aria pesante che sa di incensi e noia, ravvivata di tanto in tanto da un Te Deum. Come quello della Tosca, celebrato per ringraziare dopo che si era diffusa la notizia, poi smentita, della vittoria a Marengo delle milizie austriache contro quelle francesi: “Un episodio di cui è bene avere consapevolezza, per capire anche quello che siamo oggi, come italiani. A Marengo – ha spiegato Augias – inizia quel processo che porterà Napoleone a dichiararsi, nel 1805, re d’Italia. Era dal 1530 che nessuno aveva assunto questo titolo. L’ultimo era stato Carlo V: tre secoli di divisione, di piccoli territori. Chi voleva, arrivava in Italia e se ne prendeva un pezzetto. E quell’Italia frammentata è ancora in noi, portiamo i segni sotto la pelle di un’identità unitaria che fatica ad affermarsi”.
Il racconto di Augias spazia dalla storia alla teodicea quando legge quella che forse è la romanza più conosciuta dell’opera che l’editore Ricordi affidò a Puccini nel 1899: Vissi d’arte. Il libretto – firmato dalla solida coppia Illica e Giacosa – recita, a un certo punto nell’ora del dolore / perché, perché Signore / perché me ne rimuneri così?: è il grido di Tosca, che si appella a Dio e alla sua giustizia. “Tosca sfiora – ha detto Augias – un tema enorme. Lo stesso che tornerà con forza dopo che l’occidente avrà guardato in faccia l’olocausto, in un libro di Hans Jonas che si intitola Il concetto di Dio dopo Auschwitz. Lo stesso che aveva colpito pensatori come Voltaire dopo il terremoto di Lisbona del 1755. Se è vero che tutto quello che accade è mosso dalla volontà di Dio, si può solo rimanere in silenzio di fronte alla sua giustizia per noi imperscrutabile”. Un breve ma potente accenno alla ricerca che Augias ha condotto, poco più di dieci anni fa, con le sue inchieste sul cristianesimo, su Gesù, su Maria.
Il registro cambia ancora, verso la chiusura, quando il giornalista introduce l’ultima romanza, E lucevan le stelle. “Cavaradossi, prima di morire, ha un solo pensiero: gli incontri d’amore con Tosca. In questa romanza è descritto il primo e unico spogliarello della storia del melodramma: O dolci baci, o languide carezze / mentr’io fremente le belle forme disciogliea dai veli”. Il pubblico ascolta, non si perde una parola, gusta con crescente soddisfazione gli spezzoni di Tosca che seguono i voli di Augias. E quando il giornalista si alza e saluta, nello spettatore rimane l’incredulità di chi ha perso la cognizione del tempo.
Foto di Andrea Simi