Pareti pubbliche e private: viaggio nel design dall’affresco al fotomurale

Chi non è mai stato a Pompei, la città romana alle pendici del Vesuvio distrutta dall’eruzione del vulcano nel 79 d.C. probabilmente non si rende conto di quanto il colore facesse parte della vita quotidiana fin dall’antichità. Abituati come siamo a visualizzare colonne e capitelli bianchi pensando alla Roma repubblicana o imperiale, escludiamo un dato di realtà molto importante: la civiltà delle nostre radici amava il colore. E si era inventata diversi modi per riprodurlo, sulle stoffe come tra le pareti di palazzi pubblici e domus private. Persino le statue – che noi oggi associamo indissolubilmente al marmo, e quindi al bianco, tanto che ‘marmoreo’ e ‘statuario’ sono sinonimi – erano colorate di tutto punto.
Il colore sui muri di Pompei
Basta quindi un giorno da turista tra i resti archeologici della città partenopea per vedere con i propri occhi decorazioni murarie e pavimentazioni conservate in modo splendido, con i colori – l’ocra, il rosso, il nero, il bianco – rimasti intatti. Molti sono mosaici, molti altri affreschi. Tra i primi valga ricordare, a puro titolo di esempio, quello che raffigura l’Accademia di Platone della villa di Titus Siminius Stephanus, nei pressi di porta Vesuvio. Il filosofo è rappresentato insieme ai suoi discepoli e colpisce lo studio compositivo che in un certo senso anticipa la sensibilità, molto posteriore, per la prospettiva e per le scene in movimento. E pensare che la villa è stata scoperta per puro caso in epoca borbonica, quando il sito venne esplorato in lungo e in largo alla ricerca di oggetti e pitture da depredare.
Anche gli affreschi più noti di Pompei appartengono a una villa: quella dei Misteri, che deve il suo nome alle decorazioni murarie del triclinio risalenti al I secolo a.C., opera di una maestranza locale rimasta anonima. Un artista che tuttavia aveva conoscenze evolute della pittura greca, tanto da prenderne in prestito la tecnica pittorica della megalographia: i personaggi riempiono, a grandezza naturale, tutte le pareti dell’ambiente, creando una sequenza (una sorta di fumetto?) di dieci momenti diversi. Non è certo se si tratti di uno spettacolo di mimi, delle fasi preparatorie di uno sposalizio oppure di passaggi rituali – ipotesi, quest’ultima, tra le più accreditate tra gli studiosi. In particolare si pensa che si tratti del rito di iniziazione al dio Dioniso di una donna offerta in moglie.
Occhi puntati sulla contemporaneità
E oggi? Cosa è rimasto di questo gusto prezioso ed elegante per la decorazione raffinata, non invasiva né pacchiana, a connotare con un uso deciso del colore i nostri spazi pubblici e privati? Decisamente gli affreschi, intesi nel senso classico del termine, sono un po’ stati superati. Anche l’architettura religiosa contemporanea predilige giocare su forme e materiali, come il vetro, l’acciaio o l’ottone, dando vita a luoghi che trattengono nello spazio, nel rapporto tra vuoti e pieni, la loro sacralità. Si pensi, sempre e solo a titolo di esempio, alla Chiesa della Memoria di Berlino, sorta negli anni Sessanta a lato della vecchia chiesa dedicata all’imperatore Guglielmo nel quartiere di Charlottenburg gravemente danneggiata dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. Un rudere rimasto lì, a testimonianza dell’orrore vissuto per le generazioni a venire. L’edificio ottagonale che oggi ospita le funzioni religiose, progettato dall’archiettetto tedesco Egon Eiermann, è stato ribattezzato per la sua forma dai berlinesi ‘la scatola di cipria’. Il colore è affidato in via esclusiva al vetro: pareti a nido d’ape in cemento con ben 21292 inserti di pezzi colorati realizzati dalla sapienza di Gabriel Loire, maestro vetraio francese che ha attinto a piene mani, per la sua ispirazione, al ‘misticismo cromatico’ della cattedrale di Chartres. A predominare è il blu, con piccole campiture color rosso rubino, giallo vivido e verde smeraldo: i colori primari, ai quali si aggiunge un solo colore secondario – il verde – e tanto basta a rendere lo spazio suggestivo e raccolto nonostante l’ampiezza dell’edificio. La chiesa, infatti, ha un diametro di 35 metri e un’altezza di 20,5 metri. Oltre mille le persone che possono essere accolte tra le pareti della Chiesa della Memoria.
Berlino, tra l’altro, si è fatta espressione contemporanea dell’arte del murales: quale città poteva farlo se non la capitale della Germania, divisa fino al 1989 da un muro che separava l’area ovest dall’area est? Un linguaggio che ha contaminato anche la ‘nostra’ Lucca nei percorsi di riqualificazione del quartiere di San Vito.
Pratico e moderno: l’avvento del fotomurale
Tra le pareti domestiche, invece, o si opta per il bianco assoluto in nome del minimalismo più puro, oppure ci si lancia sul Fotomurale. Con questo neologismo si intende un’interessante evoluzione dell’affresco, dal quale ha avuto origine questa breve disamina. Solitamente sono immagini di design, adesive, di grandezza variabile, che possono restituire personalità e originalità a ogni ambiente senza rischiare di compromettere alcunché: se ci si stanca, basterà rimuoverli e non lasceranno tracce (a differenza della carta da parati, molto diffusa nelle case italiane degli anni Sessanta e Settanta ma particolarmente complicata da togliere).