Palazzo Mansi, una nuova vetrina espone gli argenti dell’aristocrazia lucchese tra ‘700 e ‘800

7 giugno 2022 | 18:15
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I manufatti dell’epoca sono descritti e raccontati nel volume di Antonella Capitanio che ha donato al museo l’inventario dei preziosi oggetti della famiglia lucchese

Due caffettiere, una coppia di candelieri, un acquamanile e bacile e un’alzata centrotavola. Sono questi i nuovi argenti, da oggi (7 giugno) entrati a far parte della collezione visitabile di palazzo Mansi. Oggetti privati preziosi datati attorno alla seconda metà del Settecento tutti realizzati da orafi lucchesi anche se non direttamente appartenenti alla famiglia di mercanti lucchesi, il cui patrimonio oggi è in gran parte disperso.

Manufatti che però rappresentano una testimonianza del gusto dell’aristocrazia cittadina dell’epoca, a cominciare dal centrotavola di Salvatore Strambi, acquisito nel 2008 dalla Fondazione Cassa di risparmio di Lucca che, come ricordato dal vicepresidente Raffaele Domenici, continua a perseguire l’obiettivo di ‘riportare a casa’ opere artistiche della storia del territorio, annunciando che a breve ci saranno in tal senso alcune importanti novità.

argenti palazzo mansi

Gli argenti sono stati collocati in un vano di una porta inutilizzata del palazzo, a ricordare quello “stanzino” che la famiglia Mansi utilizzava per riporre quel tipo di manufatti. Stanzino che conosciamo grazie all’Inventario degli argenti di casa Mansi (esposto solo temporaneamente) redatto tra il 1778 e il 1793 e donato da Antonella Capitanio al Museo.

argenti palazzo mansi

Inventario che è stato fotografato ed è entrato a far parte, insieme alla donazione di Lino Ponti, della pubblicazione curata dalla stessa Capitano Argenti in palazzo Mansi, presentata oggi (7 giugno) alla presenza, tra gli altri, del direttore regionale dei musei della Toscana Stefano Casciu e della curatrice dei musei nazionali di Lucca Giulia Coco.

“L’inventario generosamente donato al Museo da Antonella Capitanio, ci racconta di raffinati oggetti d’uso dalle varie fogge, sensibili al fascino dell’antico in voga a quel tempo, conservati in ‘armadi’, nella ‘camera del M. Luigi’ o ‘presso il Sig. Raffaello’: la caffettiera “a tre Grilli” con decorazione a voluta, centinaia di stoviglie (piatti dalle varie forme e tipologie, posate, bacili e boccali) ma anche elementi di arredo, come le sculture che impreziosivano i serviti da tavola (parterre), lucerne, paralumi e candelieri, specchi, vasetti e set da scrittura, rifiniti in argento ed esibiti come manifestazione di uno status symbol raggiunto dalla famiglia al pari degli opulenti affreschi barocchi nella Sala della Musica commissionati da Ottavio Mansi per le nozze del figlio Carlo con la nobile bolognese Eleonora Pepoli – spiega Casciu -. Emerge così una dimensione niente affatto provinciale che caratterizza l’oreficeria del tempo e che vedeva, a casa Mansi, la presenza di opere in gran parte prodotte a Lucca dai migliori argentieri, come lo Strambi, ma anche da manifatture “forestiere” e alla moda, come gli scaldavivande, le zuppiere e i candelieri torinesi registrati nell’Inventario”.

“Il volume Argenti in Palazzo Mansi, curato da  Antonella Capitanio per Astarte Edizioni, è una lettura agile ma densa di informazioni e riferimenti e costituisce un tassello fondamentale in quel percorso di riscoperta, identificazione, tutela e valorizzazione dell’arte orafa del Sette e Ottocento a Lucca, che ebbe inizio nei tardi anni Settanta del secolo scorso, in concomitanza con la nascita del Museo di Palazzo Mansi, per merito di Clara Baracchini, prima direttrice di Palazzo Mansi, e Donata Devoti, al cui ricordo è dedicata l’iniziativa – prosegue Casciu -. La capillare campagna fotografica e di schedatura, brillantemente coordinata dalle due storiche con la collaborazione di generazioni di studenti e ricercatori – tra i quali la stessa Capitanio – ha infatti permesso di recuperare la memoria di un patrimonio troppo spesso considerato “minore”, relegato alla destinazione d’uso quotidiano ma non per questo meno importante. Soprattutto per un museo come Palazzo Mansi, la cui vocazione è principalmente quella di essere testimonianza del vivere di una ricca famiglia di mercanti lucchesi la cui ascesa economica e sociale giunse fino al grado di nobiltà”.

Il volume si chiude con il saggio di Daria Gastone, che rende conto del suo lavoro di ricerca svolto lo scorso anno sulle opere provenienti dal fondo Ospedale di San Luca in stretta collaborazione con Regione Toscana, Università di Pisa e Musei nazionali di Lucca.