Da Rat-Man a “Musa”, Leo Ortolani esordisce nell’artbook con una nuova idea di bellezza: “Mi sono ispirato a Canova”

Il fumettista: “Riguardo le mie foto delle superiori, eravamo inguardabili. Forse, però, eravamo più belli prima. Anche senza essere dei modelli”
Un omaggio a quegli artisti che lo hanno ispirato nei suoi oltre 20 anni di carriera. Ma anche un libro che nelle sue 60 pagine racconta tanto di lui, del suo rapporto con la creazione artistica e con il mondo femminile. Da Rat-Man a Cinzia Otherside, l’inventore del famosissimo topo dello spazio, Leo Ortolani, esordisce nel mondo dell’illustrazione con Musa, presentato oggi (sabato 29 ottobre) durante il secondo giorno di Lucca Comics 2022. E racconta com’è nato il suo primo art book.
“Ho sempre omaggiato gli artisti che mi hanno toccato a livello personale. Per questo motivo, con Musa ho deciso di seguire una strada già tracciata, e continuare a utilizzare le figure postate sul mio Instagram invece di crearne di nuove. Di queste, poi, ne ho scelte 25, indirizzandomi sulle immagini a linea chiara” spiega il fumettista, ripercorrendo la genesi del suo lavoro. Un lavoro “di ricerca, concettuale. Ma non c’è un vero e proprio studio dietro. Soprattutto nelle carte dei tarocchi, poi, sono andato a intuito. E più in generale, ho seguito gli artisti che mi piacevano”.
Fra i principali Frank Frazetta, John William Waterhouse e Alfons Mucha. Ma a far da protagonista, in Musa, sono le donne spaziali. A partire dalla copertina, però, s’intuisce subito la novità: quinta di seno, lato b rigonfio, vitino da vespa, o manichini anoressici travestiti da umano? Il contrario. Misure dolci e morbide e una freschezza naturale, per niente arrampicata sugli stereotipi di bellezza dominanti. La musa di Leo Ortolani è infatti Canova. Una vera svolta, rispetto alla Pamela Anderson di Rat-Man.
“In Rat-Man i personaggi sono parodie e anche le donne ‘prendono in giro’ le top model. L’approccio ai corpi femminili è parodico, infatti. In Musa, invece, mi è stato spontaneo puntare su un tipo di fisico ‘normale’, da modella d’arte classica, come le statue del Canova e altri autori che cito nel libro. Ho tentato di affrontare il mondo femminile con i loro occhi. Con il loro equilibrio”.
L’equilibrio, infatti, è ciò che manca oggi, secondo l’autore, nel rapporto con la propria corporeità. “Mi sembra che attualmente vengano accettati tutti i corpi, in modo forse estremo, sia da una parte che dall’altra. Senza equilibrio. Sono contento per una donna obesa che si piace, ma a livello di salute non è una persona che sta bene”.
Lo stesso, incalza Leo, per quanto riguarda l’eccessiva magrezza. “Il vero problema è dentro di sé. Mia figlia Lucy, non lo dico perché sono suo padre – scherza l’artista – è bellissima, una ragazza incredibile da tutti i punti di vista. Un fisico perfetto, un viso da invidiare. Ma lei si vede brutta: si guarda allo specchio, gli occhi puntati sulle pieghe del ventre, che afferra con le mani scambiandole per carne in eccesso. E mi chiedo, che devo fare come padre?”.
Tre volte padre, insieme alla moglie Caterina Leo Ortolani ha adottato nel 2010 due bambine colombiane, Johanna e Lucy Maria ed è affidatario di una terza bambina, Alexia. Esperienza che racconta in Due figlie e altri animali feroci – diario di un’adozione internazionale, la raccolta delle lettere scritte a familiari e amici nel tempo trascorso nel sud America, con un prologo sul percorso di adozione e l’epilogo di un anno dopo.
Dopo 12 anni da quel viaggio, dalle lettere e dall’inizio di quell’avventura, Lucy è cresciuta e Leo si ritrova chiedersi, come tanti genitori, perché. “Perché mia figlia non si vede per ciò che è, bellissima? Credo dipenda – suggerisce l’autore – dalla sicurezza. Il sentirsi bello, al di là dell’esserlo o meno, può derivare dal fatto di sentirsi sicuri della propria persona. E non è facile per i giovani d’oggi, che vivono in un mondo in cui mancano sicurezze. Al contrario di come sono cresciuto io, questa realtà non dà certezze economiche, o nel futuro, nel progettarsi una vita propria. I giovani queste cose non le hanno: passano il tempo a cercare di essere belli fuori, perché non hanno il materiale su cui coltivare loro stessi, dentro”.
“Oggi – conclude Leo Ortolani – c’è una cura del corpo cui non corrisponde una cura dello spirito. Riguardo le mie foto delle superiori, eravamo inguardabili – sorride – Forse, però, eravamo più belli prima. Anche senza essere dei modelli”.

