Uccisa dai tedeschi, l’Atvl ricorda Leila Farnocchia e la guerra delle donne

Morirà nella scuola elementare di Nozzano

L’Associazione volontari della libertà ricorda Leila Farnocchia a 80 anni dall’assassinio da parte dei soldati tedeschi.

“In quella tragica estate del ’44 tra le innumerevoli vittime che la ferocia nazista provocò, ci fu anche una giovane donna di Camaiore: Leila Farnocchia sfollata a Pontemazzori, un piccolo paese sulle colline a sud di Camaiore, con la madre. Siamo a fine agosto, e il caldo non dà tregua, e Leila, come altri, avrà indossato abiti comodi visto il lungo tragitto che doveva compiere a piedi. E saranno proprio quell’abbigliamento e lo zaino sulle spalle il motivo scatenante che troveremo nel processo della furia del militare tedesco che si scagliò su di lei e ne decretò la morte – ricordano dall’Atvl -. Come scrive lo storico Andrea Giannasi nella sua prefazione al libro In quel tempo bastava molto meno di Simonetta Simonetti”.

Leila era una donna ed è importante affrontare la pagina della precaria condizione femminile durante i conflitti e cercare di comprendere perché si parla di abbigliamento durante un processo e non del fatto che in quegli anni “la guerra alle donne” era tema collaterale, ma pur sempre dominante.

La seconda guerra mondiale ha visto un coinvolgimento diretto in maniera globale delle donne al conflitto. Lasciate dagli uomini richiamati sui diversi fronti di guerra, vedove – come lo era la madre di Leila Farnocchia – costrette alla fuga, all’abbandono del proprio ambiente familiare. Soggette a prevaricazioni, ricatti, soprusi e oggetto di attenzioni particolari, le donne vissero la seconda guerra mondiale mettendo in campo differenti forme di resistenza al male. Dall’Ucraina alla Francia, dall’Italia all’Etiopia, dall’Olanda alla penisola balcanica, dalla Corea alla Cina, le mille storie di donne, unite in una complessa rete di diversità e di percorsi individuali, ci aiutano a ricostruire quel processo di sospensione dell’essere, tanto in Europa quanto in Africa e Asia, che pone oggi all’attenzione quanto il patimento vissuto dalle donne sia paragonabile a quello vissuto dal soldato al fronte. La fame, il logorio delle viscere, dei muscoli, dei nervi, la tensione e soprattutto l’attesa della morte uniscono chi scese in trincea a chi nascosta in cantina attendeva la propria sorte.

È importante, anzi crediamo sia fondamentale nell’affrontare la questione, non dimenticare che la donna non fu solo vittima di stupri, violenze di ogni genere, di marchiatura e ‘inseminazione’, ma anche coloro che vennero risparmiate dall’attacco diretto, vissero in prima persona ‘la guerra ai civili’. I bombardamenti, i rastrellamenti, le privazioni intime del rapporto con i figli spesso in tenera età e poi la fame. Certa retorica ha costruito una narrazione disegnando la donna intenta in un lavorio costante per barcamenarsi alla ricerca di qualcosa da dare ai figli. Quell’arte dell’arrangiarsi che di artistico non ha nulla, se non la disperazione dell’ultimo colpo di scalpello ad una statua nata male. Tutt’altro e con minor enfasi e celebrazione. In guerra la donna sembra smarrire le proprie multiformi sembianze – del resto esser donna significa assumere costantemente differenti ruoli – perdendo femminilità e identità. Ma seppur mutando, in un mastodontico e dilaniante processo il proprio essere, rimane la guerra alle donne.

Perché la donna nel paese straniero occupato non ha sembianze familiari; non assomiglia alla madre, alla sorella, alla fidanzata, ma trasfigura in un corpo del nemico. Il soldato diventa carnefice, bestia pronta a consumare il pasto. L’abuso sessuale ripropone la storia del rapporto tra maschile e femminile, ove la donna, colpevole dei mali dell’Umanità, è relegata in un ambito di inferiorità fisica e morale. Lo stupro da parte del nemico è teso a far scadere “il valore” della donna, riprendendo il concetto medievale di donna come “bene materiale”. Ma c’è anche altro. Il conquistare le donne dell’avversario è gesto teso a dimostrare da una parte la virilità del vincitore, dall’altra l’impotenza e la castrazione figurata del vinto. Si ‘prendono’ le donne e si violano come si prende una città e se ne violano i palazzi del potere. Il dominio è assoluto e compiuto solo quando il seme del vincitore è sparso. Il maschio battuto è umiliato e la donna diventa campo di battaglia del vincitore che, come avvenne a Nanchino nel 1937, ma anche in Ciociaria nel 1944, acquisisce il diritto di possesso. Il corpo della donna dunque come oggetto da contendere e possedere.

“Presa con violenza, impossibilitata a difendersi, la giovane donna verrà trascinata nell’orrendo carcere che i tedeschi avevano creato, con evidente profanazione del luogo scelto, nella scuola elementare di Nozzano – concludono dall’Atvl -. Qui, dopo un breve periodo di sofferenze, vessazioni e profanazione del suo essere donna, Leila verrà ‘liberata’ con la morte e il suo nome si aggiungerà alla interminabile lista delle vittime di quella guerra infinita. A Leila il nostro ricordo, a tutte le donne in guerra il nostro ricordo”.

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