Cresce l’attesa per i mondiali di calcio. Ma lo sport è un’altra cosa

8 giugno 2014 | 12:33
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Cresce l’attesa per i mondiali di calcio. Ma lo sport è un’altra cosa

Quattro giorni al via dei campionati mondiali di calcio. E il rito collettivo tornerà a vivere nella maggioranza delle case del nostro paese. Ben di più di quanto non accada per il campionato di calcio e per la Champions League, almeno nelle giornate delle gare della nazionale italiana, i pomeriggi estivi vivranno nell’attesa di un calcio di inizio, di un gol, di una vittoria azzurra. E per un mese bando alle critiche al “calcio moderno e alle pay tv” con tanto di corsa ad accaparrarsi l’ultimo pacchetto promozionale di Sky o lo schermo piatto di ultima generazione. Per un mese ad essere protagonista sarà lo sport da divano, quello per cui siamo i migliori atleti, i migliori giocatori, i migliori allenatori in ogni momento dell’anno.

Eppure la situazione dello sport, in Italia, dovrebbe far riflettere a livello globale. E ben oltre gli appuntamenti comandati come quelli di Olimpiadi e campionati del mondo. Una riflessione che è emersa anche ieri (7 giugno) dal dibattito organizzato dalla Gesam Gas Le Mura Lucca in Assindustria e che ha visto protagoniste alcune campionesse delle diverse discipline sportive. In particolare è stata la testimonianza di Sara Morganti, l’amazzone paralimpica arrivata quarta alle Olimpiadi di Londra nel 2012, a far aprire gli occhi sulla realtà, su una certa mistificazione della retorica nazionale, sulle federazioni, soprattutto quelle degli sport minori, che si fanno belle dei sacrifici e dello sforzo dei singoli.
Già, perché a fronte dei resort milionari per gli azzurri del calcio c’è una realtà di atleti, che ugualmente fanno risuonare l’inno nazionale nelle diverse competizioni internazionali, cui a malapena viene rimborsato il costo delle trasferte e che, come Sara, sono costrette a fare due lavori per permettersi, da dilettanti, di praticare uno sport (che in questo caso è anche vita e salute) e una passione. Ma è solo uno degli esempi di una situazione in cui se lo sport femminile è di serie B, quello “per tutti” e soprattutto in grado di coinvolgere i disabili è addirittura non classificabile, perché non considerato.
Niente di cui stupirsi in una nazione che non ha un ministero ad hoc per lo sport (disperso in mille rivoli fra presidenza del Consiglio, cultura e welfare), che le prime voci di bilancio che pensa a tagliare sono proprio quelle della cultura e dello sport, che non ha mai portato a termine (non foss’altro a garanzia contro gli operatori fraudolenti) una legge sul volontariato sportivo. Eppure, e lo dimostrano tutte le attività in corso nelle piazze italiane e anche a Lucca per celebrare i 100 anni del Coni (che qualcuno ha definito la “storia di un fallimento”), è proprio questo, lo spirito volontaristico e di socialità sotteso all’attività sportiva che ci permette ancora, in qualche occasione, di sentirci orgogliosi, e rigorosamente dal divano, delle gesta di qualche atleta che fa sventolare in alto il tricolore e fa risuonare l’inno d’Italia.
Come Sara, sola contro la sua disablità e con la sua malattia. Mentre gli altri sono pronti a sventolare bandiere di cui non conoscono neanche il valore e il significato. 

Enrico Pace