Fondi ai centri antiviolenza, è polemica sulla ripartizione

E’ polemica, anche a Lucca, sull’annunciata ripartizione dei finanziamenti ai centri antiviolenza in Italia dopo che lo scorso 27 giugno Il Sole 24 Ore ha diffuso la decisione in merito presa dopo la conferenza Stato-Regioni. Si trattava, in tutto, di 17 milioni di euro stanziati dalla legge 119 del 2013 detta contro il femminicidio per gli anni 2013/14 da ripartire su tutto il territorio italiano. Nuova legislazione che sembrava inasprire le sanzioni contro chi commette violenza sulle donne.
Con la decisa ripartizione però dei 17 milioni previsti ai 352 Centri Antiviolenza e Case Rifugio toccheranno solo 2.260.000 euro, circa 6.000 euro per ciascun centro, il che equivale a dire 3.000 euro all’anno. Che qualcuno commenta: “non basteranno neanche per pagare le bollette”. Ed è subito polemica. A scatenarsi in prima linea contro la decisione è D.i.Re. (donne in rete contro la violenza), associazione italiana che gestisce i centri antiviolenza e che da tempo lotta attivamente contro la violenza sulle donne. L’associazione italiana ha diffuso proprio oggi (1 luglio) un comunicato stampa nel quale viene apertamente criticato il criterio di ripartizione dei fondi: a parte la cifra definita irrisoria per sostenere in maniera efficace questi centri, spesso sull’orlo della crisi, al centro delle critiche il fatto che “tutti i centri, pubblici e privati, saranno finanziati allo stesso modo, senza tenere conto del fatto che diversamente dai privati i centri pubblici hanno sedi, utenze e personale già pagati.” A non andare giù ai centri antiviolenza è soprattutto il fatto che i restanti 15 milioni di euro verranno dati alle regioni, che a loro volta finanzieranno progetti di centri antiviolenza attraverso bandi pubblici. Questo, secondo il comunicato diffuso, oltre a mettere in luce una volontà di controllo da parte dello Stato, violerebbe i contenuti della Convenzione di Istanbul, che prevede il sostegno della lotta a tutte le forme di violenza anche per quanto riguarda le attività svolte da organizzazioni non governative e dalla società civile. “Nella Convenzione – riporta il comunicato – si privilegia il lavoro dei centri di donne indipendenti, mentre il governo italiano sceglie di destinare la maggior parte dei finanziamenti alle reti di carattere istituzionale”. Il timore è che le regioni, finanziando i progetti sulla base di bandi, scelgano di sostenere centri e sportelli istituiti last minute, oltre che di istituzionalizzare i percorsi di uscita dalla violenza delle donne. L’idea è che la politica non intenda rinunciare a “intercettare” quei fondi, e che si proponga di controllare e ridurre allo stremo i centri antiviolenza indipendenti, già operativi da molti anni e associati nella rete nazionale D.i.Re che denuncia questo modo di procedere e accusa il governo di non aver sino ad oggi neppure formulato un Piano Nazionale Antiviolenza, e di presentarsi in Europa senza avere intrapreso un confronto politico serio con tutte coloro che lavorano da oltre 20 anni sul territorio, offrendo politiche e servizi di qualità per prevenire e contrastare il fenomeno della violenza sulle donne.
Lucia Franceschini