Valfreddana, monta la rabbia dei residenti dopo l’alluvione





Non bastano le rassicurazioni da Roma, le ipotesi di progetto pilota. E neanche le difese della cassa di espansione sulla Freddana dell’Autorità di Bacino del Serchio o le ipotesi di intervento del Consorzio di Bonifica del Bientina. I cittadini di via per Camaiore, in quell’area di case e aziende che va dal ristorante Il Guercio alle serre non si accontentano delle promesse e, a tre settimane dall’evento che ha devastato, cantine, campi, orti, ristoranti e magazzini tornano a far sentire, forte, la loro voce.
L’appuntamento, quasi casuale, è davanti alla casa di Edda Andreoni nei Donati, proprio davanti a un cartello, messo dai residenti sul poggio davanti alla cassa di espansione, che recita “Case allagate, cassa di espansione vuota”. E’ proprio questo il tema che viene sollevato un po’ da tutti nella zona. La notte del nubifragio, in sostanza, l’acqua arrivava dai fossi e dai canali di tutto il reticolo minore, che non riuscivano a defluire nella Freddana arrivata al limite degli argini sulla via per Camaiore, ma nemmeno una goccia è defluita, se non per pochi centimetri, dal lato della cassa di espansione, costruita proprio a quello scopo.
Le foto dalla Freddana
Al di là dei motivi, delle caratteristiche tecniche, della funzionalità, i cittadini puntano il dito soprattutto sui danni patiti, che ormai con cadenza regolare si ripetono. La signora Edda, in particolare, ha avuto l’intero scantinato allagato: “C’era di tutto dentro – spiega – ma abbiamo dovuto buttare via due congelatori, tantissimo materiale, fra cui vino e olio. L’acqua arrivava al terzo scalino della casa, per qualche ora abbiamo temuto che potesse salire ancora. In fretta e furia siamo riusciti a spostare le macchine, si è alzata dal letto anche mia figlia, che in cinta di otto mesi e aveva l’acqua fin sopra i ginocchi, poi il disastro. Conterà poco, ma i danni sono stati tantissimi anche per l’orto: fagioli, fagiolini, patate, cipolle, tutto inservibile. Ora sto cercando di fare qualcosa nei vasi rialzati, ma intanto per noi, che viviamo di pensione minima, è un grande danno anche questo. Per non parlare dei trattorini a motore, che per fortuna siam riusciti a far ripartire. E poi nei giorni dell’alluvione siamo rimasti anche senz’acqua, senza che nessuno ci portasse neanche una bottiglia o qualche genere alimentare. Perché qui non arriva l’acquedotto e abbiamo la pompa e il depuratore che, rimasti sott’acqua, non hanno funzionato finché non abbiamo ripulito tutto”.
La signora, comunque, in questi mesi non è stata in silenzio. Dice di aver segnalato più volte il rischio di allagamenti nella zona. Solo due settimane prima dell’evento più grande solo l’interruzione delle piogge aveva evitato che si ricreasse la stessa situazione.
“Colpa”, dice chi abita nella zona da generazione, della cassa di espansione che non funziona a dovere, della mancata manutenzione del reticolo minore, dell’eccessiva cementificazione in zona. In un contesto in cui chi vive lì si sente comunque un cittadino di “serie Z”. “Faccio l’esempio sugli alberi che sono qui di fronte sul lato della Freddana – dice ancora la signora – Da quando sono tornata a vivere qui, e sono 13 anni, non ho mai visto nessuno intervenire per una potatura. Ci dicono che non ci sono soldi e che comunque bisogna aspettare anche che intervenga Camaiore. Intanto nel Comune di Camaiore gli alberi sono tutti potati e qui vengono a pulire soltanto dalle erbacce. Con il rischio che con una tempesta di vento possano cadere e abbattersi, oltre che sulla strada anche sulle case”.
Anche gli altri residenti in zona concordano. C’è chi, ad esempio, ha appena finito di murare la propria abitazione. Gli è stato chiesto di alzarla di 80 centimetri rispetto al piano stradale. Non è servito a nulla: “Adesso ho tutto il vespaio – dice – fatto per evitare l’umidità, pieno di fango e non so come toglierlo. Ho messo un ventilatore sperando che asciughi ma nel frattempo ho l’umidità che mi sale dai muri e dall’intonaco fatto di fresco”.
Danni, insomma, per decine di migliaia di euro. E c’è anche chi li ha già quantificati. E’ Franco Corradi, il titolare del ristorante Il Guercio, che ha riaperto domenica scorsa ma solo grazie al lavoro di cinquanta amici e volontari che si sono rimboccati le maniche per permettere la riapertura del ristorante in tempo per gli appuntamenti già fissati: matrimoni, serate e quant’altro. Franco Corradi, stavolta, non è disposto a passarci sopra: “Nel 1992 sono stato chiuso cinque mesi e ho rifatto tutto di tasca mia. Stavolta non ci sto, mi devono pagare i danni che ho subito, circa 285mila euro tutti riscontrabili. E se non me li danno denuncio tutti: Regione, Provincia, Comune, Consorzio di Bonifica e Autorità di Bacino. Un poco per uno riusciranno a rifondermi i danni?”.
Anche nel suo caso l’acqua è arrivata principalmente dal reticolo dei fossi alle spalle del ristorante, che si infilano fra capannoni, case, magazzini prima di tornare nella Freddana. Ma l’impeto del torrente (“Prima era un torrente – dice – ora è un fiume vero e proprio”), proprio sulla curva, non riuscendo a trovare uno sfogo, ha bloccato proprio l’uscita dei fossi e impedito il regolare deflusso, creando i danni che hanno riguardato tutto il locale. “Se mi danno i soldi – dice – a questo punto devo trovare una soluzione: un muro alto un metro e mezzo che segua il perimetro del ristorante dove c’è la siepe e che si ricongiunga a quello posteriore, con due chiuse a tenuta stagna in corrispondenza degli ingressi. Così riesco a evitare gravi danni e se si allaga il parcheggio, pazienza”.
Resta il fatto che, da queste parti, ancora non si è visto nessuno, dicono i residenti, per sincerarsi di persona delle situazioni. A parte il sopralluogo al “Guercio” anche con i rappresentanti degli enti, qualche tecnico che ha effettuato delle rilevazioni sulla Freddana e delle ruspe che hanno eliminato un po’ di residui dal corso del fiume, gli abitanti si sentono già, dopo il periodo di emergenza, dimenticati. E vogliono tenere alta l’attenzione sul tema. L’autunno delle piogge, d’altronde, è dietro l’angolo.
Enrico Pace
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