Dalla tv all’Anfiteatro, il comico Cesca conquista Lucca

24 agosto 2014 | 11:41
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Dalla tv all’Anfiteatro, il comico Cesca conquista Lucca

Sale sul palco con la barba di una manciata di giorni, la solita cesta di capelli che vanno dove pare a loro ed un microfono appiccato al sorriso largo, affabile: Matteo Cesca, va detto, mette simpatia solo a vederlo. Alla sua arte comica, quella che lo ha trainato tra le altre cose sul prestigioso palcoscenico della trasmissione Colorado, sono affidate le chiavi della serata in Piazza Anfiteatro. E lui, a deludere le attese, non ci pensa nemmeno: già dopo cinque minuti la gente si accalca sotto il palco, quelli che ancora sbocconcellano seduti ai ristoranti si alzano per sentire meglio e le persone che arrivano spingono per ritagliarsi un posto e cucirsi in bocca un sorriso.

Che poi, più che sorrisi, Cesca provoca autentiche detonazioni di lacrime agli occhi, come quando ripercorre la tragedia del primo giorno d’asilo con il grembiule rosa della sorella Federica o quando s’incunea nelle relazioni uomo – donna, tentando di svelare la ricetta per non incasinarsi ai profani, cioè al genere maschile tutto. Ma tra il nonno malato d’Alzheimer che ha combattuto dieci volte la guerra del ’15-’18 – vincendola cinque volte, perdendola tre ed andando ai rigori nelle altre due – e la mamma che anche se ti vuole la Juve devi prima asciugarti i capelli – il lucchesissimo Matteo, il comico della porta accanto, elargisce anche un tributo alla sua città. Un ritratto autentico, cristallino, un centrifugato di pregi (tanti) e pecche (parecchie) che contrassegnano l’esistenza di quelle strane creature che sono i lucchesi, manco fossero un bollino del supermercato. Così, Cesca ripercorre i fasti di una città che ospitò il primo triumvirato, divenuto poi congresso a quattro per via delle proteste di Mimmo D’Alessandro, che voleva i suoi banner accanto a quelli di Cesare; allude nemmeno velatamente al “Nemico dentro”, a quelle mura che, in fondo, circoscrivono troppo spesso cuori e cervelli di chi le abita ed attraversa in scioltezza il nostro campionario di modi di dire (da leqquì, a lella’, passando per oh brodo) suscitando risate e distribuendo fronti corrugate e spunti di riflessione che nemmeno una macchinetta di bibite ghiacciate nel bel mezzo del Sahara. La chiusura, poi, è da abbraccio accademico: “Il famoso poeta Garcìa Lorca diceva che non c’è castigo più grande, nella vita, di essere ciechi a Granada: perché non hai mai visto Lucca, oh bischero!”.

Paolo Lazzari