Lucca, 70 anni dalla Liberazione fra memoria e attualità






Una celebrazione per il 25 aprile all’insegna della grande partecipazione popolare quella che si è svolta stamane: in Cortile degli Svizzeri tanta gente ha scandito con applausi e tricolori al vento la cerimonia. Le istituzioni, sul palco, hanno omaggiato i gonfaloni delle province presenti e le forze armate, fino al culmine dell’alzabandiera, accompagnato dall’esecuzione dell’inno nazionale. A seguire è stato letto il messaggio del presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Presenti, tra i moltissimi, il sindaco di Lucca Alessandro Tambellini, il presidente della Provincia Stefano Baccelli, il prefetto Giovanna Cagliostro, il presidente dell’Istituto storico della resistenza Stefano Bucciarelli, il senatore Andrea Marcucci e la deputata Raffaella Mariani. I 70 anni dalla liberazione sono così diventati momento di condivisione, di ricordo e di presa di coscienza collettiva rispetto a tutto quello che oggi può essere fatto per continuare ad onorare il messaggio evocato dalla resistenza.
Le foto di Domenico Bertuccelli
“Una resistenza – osserva Tambellini – senza la quale oggi non saremmo qua a festeggiare, un impegno pagato con il sangue per rispettare principi invalicabili e restituire dignità al Paese”. Poi il monito del sindaco: “Di fronte alle tragedie odierne – tuona – dobbiamo anche noi resistere, evitando di lasciarci andare ai nostri istinti peggiori, perché non ci appartengono, perché non fanno parte della nostra cultura, che invece parla di aiuto reciproco e sacrificio. Lo dobbiamo anche ai nostri bambini e ragazzi che non sono il nostro futuro, ma il nostro presente”.
Un trait d’union, quello con l’orrore dei migranti scomparsi nel cimitero del Mediterraneo, che si palesa anche nel discorso di Baccelli: “Come ci ricorderanno tra 70 anni – afferma – se continuiamo a voltare la testa da un’altra parte? Vorrei che questo fosse un 25 aprile di ricordo, ma anche di impegno collettivo. Questi migranti forse non fuggono dal nazi-fascismo, ma cercano scampo dall’Isis e da altri gruppi militari, oltre che dalla fame. Loro non hanno diritto di essere aiutati? I partigiani questo facevano: venire in soccorso degli ultimi. Solo facendo altrettanto potremo onorare davvero la loro memoria ed il loro sacrificio per la nostra libertà”.
Un frammento toccante è poi costituito dall’intervento di Bucciarelli, il quale ricorda ad uno ad uno, rammentando la vita che poteva essere, alcuni partigiani che ebbero a perdere la vita nel territorio di Lucca e della sua Provincia: “E’ stato un cammino terribile – rammenta – costato migliaia di vittime. Vorrei però che non cadessimo in fraintendimenti: quelli non furono singoli atti di fulgido eroismo, ma un agire diffuso, un sentimento condiviso”.
Al termine degli interventi le istituzioni si sono recate in piazza XX settembre, per deporre una corona di fiore ai piedi della lapide commemorativa.
L’orazione ufficiale del presidente Isrec Stefano Bucciarelli
Saluto e ringrazio tutte le autorità civili, militari e religiose presenti; le associazioni patriottiche combattentistiche e d’arma, le associazioni partigiane; le cittadine e i cittadini presenti a questa manifestazione di festa, con cui concludiamo, in modo particolarmente solenne – data la ricorrenza del 70esimo anniversario – un cammino di memoria che in questi ultimi anni ci ha portato a ripercorrere, con rinnovata passione civile e anche con rinnovato interesse storiografico, tutte le vicende che, attraverso il secondo conflitto mondiale, ci hanno condotto alla Liberazione.
L’anno scorso abbiamo ricordato, in settembre, la Liberazione di gran parte della nostra provincia. Quest’anno, nei giorni scorsi e fino ad oggi, abbiamo festeggiato la Liberazione di quelle terre che condivisero i giorni dell’attacco decisivo e della insurrezione finale con il Nord dell’Italia: nella nostra provincia, l’alta Versilia e l’intera Garfagnana (terre, il ricordo del cui sacrificio è qui, su questa piazza, testimoniato dalle medaglie d’oro, al valor militare e merito civile, recate rispettivamente dal gonfalone di Stazzema e da quello di Castelnuovo per i sedici Comuni della Garfagnana).
E’ stato per l’Italia un cammino terribile, di combattimenti e di stragi, di rastrellamenti, deportazioni e rappresaglie, di bombardamenti e sfollamento: un cammino costato migliaia di vittime, civili e militari: un cammino iniziato proprio l’8 settembre, quando, già crollato lo Stato fascista, si dileguò anche la sua alternativa. Ma non per questo morì la Patria. Da lì iniziò infatti la costruzione del nuovo Stato, quello libero, democratico e repubblicano in cui oggi viviamo, che ebbe come fondatori, prima ancora dei Costituenti, i cittadini che, dalle posizioni più diverse, anche con dissimili motivazioni ed intensità, ritrovarono, in se stessi, un nuovo significato, proprio per quel termine: Patria.
Non si parla solo delle decine di migliaia di resistenti in armi, ma anche degli animatori delle tante e tante forme di resistenza civile che contribuirono alla salvezza dei ricercati (renitenti, prigionieri di guerra, ebrei), al sostegno dei partigiani, alla sopravvivenza delle popolazioni: milioni di cittadine e cittadini che in atti quotidiani, in gesti di quotidiano eroismo, manifestarono la loro volontà di affrettare la fine della guerra; affermarono il diritto ad esistere per sé, i propri familiari, le proprie comunità, i propri ospiti, gli stranieri; salvarono vite.
Nella nostra provincia, le medaglie al valor militare e al merito civile – non solo quelle che ho prima ricordato, ma anche quelle individuali – sono testimoni di questo patrimonio. Vogliamo oggi collettivamente onorare queste persone, ed almeno alcune intenderei ricordare – non posso farlo per tutte – con il loro nome: persone in carne ed ossa, le cui vicende vorrei che considerassimo, non solo come attestazione di esempi isolati di fulgido eroismo da consegnare ad una lapide, ma come documento ed espressione di un agire diffuso, condiviso e partecipato.
Fu questo il contributo dell’Italia alla azione militare degli Alleati, che congiuntamente ricordiamo e riconosciamo grati come decisiva per la nostra libertà, ricca di mezzi, generosa di sacrifici.
Tornano così davanti a noi partigiani, patrioti, resistenti, combattenti antifascisti come Leandro Puccetti, giovane studente di medicina, animatore di una delle più combattive formazioni della Garfagnana, ferito a morte nella battaglia di Monte Rovaio; come Manfredo Bertini, Maber, universitario e promettente operatore cinematografico che, inviato dal Servizio Informazioni degli Alleati in provincia di Piacenza, incappato, con la sua divisione in un massiccio rastrellamento e gravemente ferito, si dà la morte per consentire agli altri componenti la missione di mettersi in salvo e continuare il lavoro; come Amos Paoli che, muovendosi con la sua carrozzella su cui l’ha costretto da ragazzo la poliomielite, sotto il cui sedile nasconde armi, messaggi e documenti, catturato per una delazione dalle Ss, è ucciso dopo aver scagionato due amici presi con lui e continuando a tacere i nomi degli altri; come Luigi Berni che, ormai cinquantenne con famiglia, decide di dare il suo contributo alla Resistenza, ma, arrestato presso Filicaia dai tedeschi, è consegnato alla Brigata Nera a Castiglione: dopo averlo inutilmente torturato per giorni, lo legano a un autocarro e trascinano il corpo sulla strada finché non muore.
Figure di capi partigiani e di “gregari”, che testimoniano un sacrificio di sé reso, non con sprezzo della vita che essi invece amavano e avrebbero voluto continuare a vivere, ma nella coerenza ad un ideale.
Sono storie che, osservate dal punto di vista politico, testimoniano anche di una Resistenza che ebbe diversi punti di partenza e diverse anime, che fu animata in molti casi da scelte non ispirate da consapevolezza politica, ma che, nella rinascita del pluralismo politico, parlò diverse lingue, dai comunisti, ai socialisti, ai cattolici, ai liberali, ai monarchici, ai “giellisti”, agli “autonomi” come quelli guidati da Manrico Ducceschi, Pippo, che tanta parte ebbero proprio nella liberazione della Valle del Serchio.
La medaglia a Vera Vassalle (una delle 19 donne italiane insignite della massima onorificenza militare, una delle 4 che sopravvissero alla guerra), parla della Resistenza delle donne. Giovane, indifesa, claudicante, passa il fronte e diventa operatrice dei Servizi americani ritornando in Versilia con una radio con la quale sarà svolta una attività di trasmissione (Radio Rosa) che servì tutta la Toscana. Un coraggio e una determinazione tutta femminile, che ci rimanda all’impegno di tante donne, che si manifestò, non solo nell’appoggio e anche nella partecipazione attiva alla lotta armata, ma nella assistenza e nella protezione degli uomini ricercati, nella cura materna delle persone a loro affidate; che si manifestò così nella dedizione quotidiana, come nei momenti estremi, come nella fierezza del gesto di Genny Marsili, vittima della strage di Sant’Anna, lo zoccolo lanciato contro l’Ss che la uccideva, a protezione di suo figlio.
Rilevante fu nella nostra provincia, come in tutta Italia, l’azione del clero: un cammino di condivisione e di protezione ispirato al messaggio morale del cristianesimo e all’impegno di una missione religiosa da compiere, come nell’esempio luminoso di don Aldo Mei che, prima di morire, verga sulle pagine del suo breviario le sue ultime parole di amore “Muoio pregando per coloro stessi che mi uccidono”. Lungo è il martirologio dei sacerdoti lucchesi che pagarono con la vita il loro impegno civile e di fede, da Innocenzo Lazzari, trucidato con il popolo di Sant’Anna sul sagrato della sua chiesa, ai certosini dell’abbazia di Farneta, a tanti altri i cui nomi sono ben noti alle nostre comunità religiose. E decisiva fu l’azione svolta dalla rete che, con il sostegno dell’Arcivescovo mons. Torrini, operò attraverso gli Oblati del Volto Santo: fu un’azione di rifugio e di assistenza per gli ebrei (a centinaia dei quali fu così permessa la salvezza), oltre che per perseguitati politici, ricercati, sfuggiti a rastrellamenti; condotta con il coinvolgimento di strutture religiose, parroci, famiglie. Il massimo riconoscimento civile hanno avuto per questa azione Arturo Paoli, Renzo Tambellini, Guido Staderini e Sirio Niccolai, insieme con l’ebreo pisano Giorgio Nissim, compagno nell’organizzazione della rete e testimone di una resistenza ebraica, che fu attiva pure nella nostra provincia (come in questi giorni ci ha ricordato la scomparsa di Elio Toaff). Presenza ebraica che vogliamo anche ricordare insieme con quel centinaio di ebrei che, deportati dalla nostra provincia, conobbero la morte nei campi di sterminio.
Memorabile fu il contributo dei militari: molti dei primi organizzatori della Resistenza furono militari, ma i primi resistenti in assoluto furono proprio i militari che l’8 settembre non vollero arrendersi. Tra le nostre medaglie c’è quella di Antonio Cei, martire a Cefalonia. E anche quella di uno che pur si arrese, Inigo Campioni, governatore dell’Egeo; al quale però il fascismo non perdonò la mancata adesione, per cui, catturato dai tedeschi e consegnato alla Repubblica Sociale, subì da questa la condanna a morte.
E come non ricordare la resistenza dei carabinieri, che nelle nostre zone richiama la figura del maresciallo Ciro Siciliano, che nel ’44 comanda la stazione di Forno di Massa e, accusato di collaborare con i partigiani, è ucciso in quell’eccidio.
E il contributo delle Fiamme Gialle nella Resistenza, che brillò a Lucca proprio nei giorni della liberazione della città quando un gruppo di finanzieri, impegnati a difendere l’area della Manifattura, fu fatto segno di fitto fuoco nemico e perse Gaetano Lamberti, ferito a morte da una granata. E ricordiamo la guerra del Corpo Italiano di Liberazione e dei suoi reparti, nei quali anche uomini della nostra provincia trovarono impegno e morte, particolarmente nell’azione che doveva condurli a Bologna.
Così come resistenti – nel senso dell'”altra resistenza”, secondo l’espressione coniata da Alessandro Natta – furono i 600 mila internati militari italiani che, catturati anch’essi dai nazisti, rifiutarono il ritorno in patria offerto in cambio del loro impegno nell’esercito della Repubblica sociale e molti dei quali, dopo il 25 aprile 1945, non fecero ritorno dai campi nazisti. E il loro ricordo non può andare disgiunto da quello delle migliaia di rastrellati civili (tantissimi anche nella nostra provincia) che nei campi e nei luoghi del lavoro coatto ebbero un simile destino.
Tutti siamo debitori a questi uomini e a queste donne degli ideali che ci hanno consentito di riprendere a testa alta il nostro cammino nella storia delle nazioni, di fondare nella Costituzione il nostro Stato democratico e repubblicano: vincitori morali, ma vittime essi per primi, che vinsero la battaglia del riscatto creando le condizioni di una nuova Italia non solo per sé, ma per tutti – anche per coloro che stettero dall’altra parte. La guerra di Liberazione fu in effetti anche una guerra civile, che ha lasciato strascichi penosi. Buono e cattivo non furono allora, come mai sono stati nella storia e come non sono nell’animo di ciascuno di noi, tutti da una parte. Ma giusto e sbagliato furono – sì – da due parti diverse: e la parte giusta fu quella della democrazia. Inaccettabile è l’equiparazione di chi combatté per la libertà e chi combatté contro la libertà; impossibile l’oblìo della contrapposizione tra fascismo e antifascismo. Ecco perché noi chiediamo che, essendo certo giustificata e inevitabile e degna di ogni rispetto la diversità delle memorie private, la memoria pubblica della Nazione riconosca compatta nel 25 aprile 1945 il suo momento fondativo, nella vittoria della democrazia il suo fermo fondamento comune.
Sappiamo anche che ci troviamo all’interno di uno dei passaggi più critici della nostra storia repubblicana, dove alle urgenze di una grave crisi economica e sociale, che assilla e scoraggia specialmente i giovani, si accompagna una altrettanto grave crisi della politica e il rischio che chiusura e paura prevalgano nello spirito pubblico sulle ragioni della speranza e della solidarietà. Ma è forse proprio per questo – e non solo per la ricorrenza del Settantesimo – che avvertiamo – una nuova partecipazione intorno a questo 25 aprile, come è avvenuto nei momenti più tristi e in quelli più solidali della nostra storia repubblicana. Come è stato in quel 25 aprile del 1978 vissuto nell’imminenza dell’assassinio di Aldo Moro; e come è stato in quel 25 aprile del 2011, nei 150 anni dell’Unità del nostro paese.
Sentiamo che è nel ritorno alle fonti della nostra democrazia, a quelle origini dove iniziò il cammino dell’Italia democratica, che possiamo far scaturire un rinnovato impegno civile, una rinnovata solidarietà istituzionale e internazionale. Lo chiediamo, tutti noi che ci ritroviamo con commozione e con orgoglio tutti gli anni a celebrare questa nostra Festa; lo vogliamo, per poter guardare con speranza all’Italia di oggi e di domani, quella dei nostri figli e dei nostri nipoti. Viva l’Italia! E che viva, viva, viva il 25 aprile!
Paolo Lazzari