Il riconoscimento Lubec 2015 alla Fondazione Italiana Accenture

Il presidente di Fondazione Promo Pa Gaetano Scognamiglio ha consegnato stamani (8 ottobre) a Anna Puccio in rappresentanza di Fondazione Italiana Accenture e del suo presidente Diego Visconti, il riconoscimento Lubec 2015 a chi si è distinto nella valorizzazione dei beni culturali. Il presidente Scognamiglio ha illustrato la scelta con la seguente motivazione: “Per l’impegno della Fondazione Italiana Accenture nel promuovere e sostenere lo sviluppo dell’impresa sociale nell’ambito culturale come modello economicamente sostenibile ad elevato impatto sulle comunità”
Ogni anno a Lubec si consegna il riconoscimento dedicato a coloro che si sono distinti nella valorizzazione dei beni culturali. Nel 2012 è stato consegnato a Don Antonio Loffredo, parroco di Santa Maria della Sanità a Napoli, nel 2013 venne consegnato a David Packard per l’Herculaneum Conservation Project, mentre lo scorso anno venne assegnato al Mibact in occasione dei 40 anni del ministero.
“Vorrei cogliere questo momento – ha detto Anna Puccio – per esprimere qualche spunto, mi auguro utile, su due temi che mi stanno molto a cuore: capitale culturale e capitale umano. Capitale culturale e culturale umano sono temi strettamente connessi che si presterebbero ad una trattazione enciclopedica. Provo quindi a sintetizzare il mio pensiero con una serie di punti che esprimono le molte direttrici che attraversano questo tema. Innanzitutto, in una sempre più avanzata competizione globale ognuno deve fare leva il più possibile sui propri punti di forza; il capitale culturale è senza dubbio un’eccellenza che – per quanto riguarda l’Italia – è cosa universalmente riconosciuta. Una seconda importante direttrice è sicuramente quella afferente la tecnologia, la quale oggi consente una fortissima innovazione che riguarda tre aspetti: quello gestionale in senso tradizionale, quello legato alle modalità di fruizione dei beni culturali e infine quello legato alla promozione. E’ bene ricordare in questa sede le nuove possibilità offerte in ambito di raccolta di risorse finanziarie, di condivisione di competenze, di collaborazione tra volontari e personale organico, di fare rete anche sul piano operativo. Tutto questo richiede investimenti importanti ed ecco quindi il dibattito avviato sulla remunerazione di questi investimenti, profit, no profit, low profit. ll nostro paese ha fortemente bisogno di produrre ricchezza; per questo credo che si dovrebbe parlare di più di come impiegare il profit più che porci l'”obiettivo strategico” (ovviamente un eufemismo) di non generarne. Credo ad esempio che si potrebbe incentivare il reinvestimento dei margini per finanziare nuovi sviluppi. E’ necessario pensare alla generazione di valore non solo in termini di profit; questo è un pensiero non più relegato a posizioni intellettuali di nicchia. Pensiamo a un colosso come Amazon il quale ha un grande valore di borsa non certo dovuto ai dividendi che non ha mai distribuito. All’estremo opposto vorrei citare Vità che è la prima organizzazione strutturalmente non profit quotata in borsa. Ovviamente, parlando di patrimonio culturale, anche un orientamento profit deve necessariamente basarsi su un sistema di regole che non costituisca un impedimento di fatto al fare ma che al contrario salvaguardi la natura intrinseca del bene culturale e il suo ruolo fondamentale nella collettività. Parlando di capitale, vorrei fare un breve riferimento al dieselgate: una dimostrazione concretissima di come il ‘made in’ rappresenti un capitale misurabile, sviluppabile e intaccabile. Credo che il nostro capitale culturale abbia ancora un potenziale inespresso come elemento qualificante del nostro capitale ‘made in Italy’: credo che molte imprese Italiane, anche in settori diversi dalla moda, non sarebbero le stesse se non fossero italiane e fortemente legate con la storia e la cultura del nostro paese. Per quanto riguarda il capitale umano esiste un tema occupazionale. Dobbiamo pensare che molti lavori sono destinati a scomparire dal nostro paese per effetto dell’automazione, della digitalizzazione della delocalizzazione. La gestione del patrimonio culturale non è esente da questo fenomeno, ma dobbiamo pensare che anche i processi di digitalizzazione creano occupazione. Si tratta spesso di attività che richiedono competenze alte specialistiche e ben remunerate. E’ evidente che il vero tema centrale riguardo il capitale umano consiste nel fatto che la crescita culturale di un paese incide fortemente sul suo livello di civiltà in tutti i suoi aspetti. Anche l’inclusione sociale, ancor prima che da fattori economici e legislativi, è generata dalla cultura di un popolo, dalla capacità di riconoscere e capire la diversità, di avere un dialogo. E’ quindi la consapevolezza della propria identità storica, artistica, culturale in senso lato, fondamentale per capire quella degli altri La cultura di un paese deve essere un elemento capace di incidere sull’attrattività verso investimenti esteri tanto quanto il sistema delle infrastrutture. E’ questa la logica che abbiamo seguito nel bando Ars. Arte che realizza occupazione sociale, vinto dal progetto Trame di Lunigiana che attraverso una piattaforma tecnologica vuole aggregare gli operatori del territorio e promuovere la Lunigiana, questa magnifica terra meno conosciuta di quanto merita offrendo una serie di servizi a partire da pacchetti turistici percorribili in bici, in vespa, a piedi e a cavallo, o con i mezzi, che mettano in rete tutti i punti di attrattività (artistica e non solo) promuovendo una lettura consapevole e attiva. Abbiamo supportato il progetto con una dotazione in denaro (fino a 1 milione di euro) e in competenze , attraverso le ore pro bono messe a disposizione dai consulenti Accenture. Per questo suporto non chiediamo restituzione. Pensiamo che la vera restituzione sia nello sviluppo del territorio. Il nostro impegno è che Trame di Lunigiana si affermi sempre di più come modello di impresa sociale nell’ambito culturale, economicamente sostenibile ad elevato impatto sulle comunità”.