Mense scolastiche, costituito il comitato dei genitori






La protesta del panino a scuola ed in generale quella connessa al servizio mensa, si arricchisce di un nuovo importante capitolo: ieri sera (19 ottobre) è stato infatti costituito il comitato La scuola che vorrei. Il nuovo soggetto è formato da genitori delle scuole di Ponte a Moriano (materna ed elementari), e delle elementari di San Michele di Moriano, Saltocchio, San Vito e San Pietro a Vico ma è aperto al contributo dei genitori di tutte le scuole. “Prezzo e qualità devono andare di pari passo”: questo il caposaldo del ragionamento portato avanti dal Comitato e, al tempo stesso, la cerniera che chiude definitivamente le polemiche in ordine ad una protesta che, per alcuni, deve andare oltre il costo del servizio. “Non ne facciamo una questione di soldi – spiegano i genitori, capitanati da Marianna Ferraro, Fausto Ori, Annamaria Lunardi e Federica Puccinelli – perché il costo e la qualità del servizio offerto non possono essere disgiunti”.
Due sono le questioni sul tavolo: la vicenda del cibo portato dall’esterno a scuola ed il nodo relativo all’appetibilità dei menù. “Dopo il recente intervento del dottor Ambrogio Pagani, responsabile Asl – spiegano i membri del Comitato – il quadro è chiaro: non esiste alcuna legge che vieti di portarsi il cibo a scuola. La questione è, semmai, che non potrebbe essere consumato a mensa, accanto ad alunni che per via di patologie inerenti all’alimentazione devono consumare pasti ad hoc, che rischierebbero di essere contaminati dal cibo portato da fuori”. Sul punto però, qualche discussione sorge: i genitori sanno di poter preparare il cibo a casa, ma si chiedono se già oggi i bambini sottoposti ad intolleranze alimentari non siano debitamente sorvegliati durante i pasti poiché, è il dato inoppugnabile, gli alunni non mangiano separati, ma uno accanto all’altro. “Un celiaco oggi può stare a mangiare in mezzo a due bambini che non hanno questo problema – reclamano i genitori – ma se il cibo viene preparato da noi si verifica una contaminazione. Se i bambini sono controllati, lo sono a prescindere dal fatto che il cibo non ingeribile da alcuni provenga da casa nostra o dalla Del Monte”. Nonostante questo, le famiglie si dicono disponibili anche ad una soluzione ponte: se non nella sala mensa, i figli devono comunque avere il diritto di consumare il proprio pasto in classe. “Questa libertà non ce la inventiamo oggi – tuonano – perché sta impressa nell’art 32 della costituzione, come libertà di curare i propri figli, anche attraverso il cibo”. Idee, queste, che non sono ancora state sottoposte direttamente all’assessore e vicesindaco Ilaria Vietina, o meglio, sarebbero state avanzate senza ottenere riscontro. “L’assessore dice anche che possiamo liberamente presentarci per far parte delle commissioni mensa – prosegue l’analisi dei genitori – ma in molti casi questo non risulta possibile, ad oggi. Dice che dobbiamo discutere in quella sede? Per noi va bene, ma le proporremo anche un incontro ad hoc”. Alcuni genitori evidenziano come soluzioni ragionate al problema siano state trovate in altri Comuni italiani che avevano problemi simili: “Oggi quei bambini mangiano tutti insieme alla stessa mensa”, osservano.
Un punto è cristallino: nessuna volontà di avanzare richieste cucite su misura, né di negare il ruolo delle mense: il fatto, per il comitato, è che devono essere migliorate. Sbrogliata la questione del cibo introdotto da casa, infatti, resta ancora la matassa menù. Il comitato definisce poco appetibili i pasti offerti in relazione all’età dei bambini ed annuncia imminenti provvedimenti per relazionarsi con i nutrizionisti scelti dall’amministrazione comunale: “Dicono che i genitori sono stati coinvolti nella scelta dei menù, ma a noi non risulta affatto – accusano – e qui ci troviamo di fronte ad un dato di fatto: i nostri figli tornano a casa affamati e sui tavoli delle mense resta molto cibo: non è un problema di qualità, ma di appetibilità. Non puoi servire ad un bambino, nello stesso giorno, passato di verdure e pizza. I bambini non mangiano brodo di pesce e prosciutto cotto. Le verdure crude restano nei piatti”. I genitori segnalano come, nelle linee guida regionali, si precisi che il cibo servito debba essere anche “bello da vedere”: il menù scelto, invece, non invoglierebbe gli alunni sotto nessun punto di vista.
“Il problema è serio – denuncia un genitore – perché qui i ragazzi mangiano soltanto cose come pasta all’olio, al burro, tonno freddo. I legumi sono praticamente inesistenti nella loro dieta: quando ho provato a sollevare queste obiezioni mi hanno detto che non sono un nutrizionista e non posso comprendere”.
Il Comitato nasce con l’intento di promuovere un servizio globalmente migliore: “Noi dobbiamo sempre avere pazienza – si lamentano in particolare quei genitori (non tutti) che hanno visto aumentare la contribuzione annua per la mensa a menù invariato – ma anche l’amministrazione ed i privati dovrebbero curarsi di rispettare i capitolati. A San Vito abbiamo pagato per avere 53 mila euro di acqua a mensa – denunciano – ed ora vogliamo sapere chi si è preso questi soldi, visto che l’acqua non viene servita in bottiglietta. Per contratto tutte le scuole dovrebbero avere un depuratore montato dalla Geal: noi ce l’abbiamo, ma il tubo non è abbastanza lungo ed i bambini bevono dal rubinetto del bagno, con chissà quali rischi”.
Paolo Lazzari