L’appello di un senza fissa dimora: “Sono malato e da un anno aspetto un aiuto dal Comune”

28 ottobre 2015 | 17:11
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L’appello di un senza fissa dimora: “Sono malato e da un anno aspetto un aiuto dal Comune”

Era finito in ospedale lo scorso anno, ricoverato d’urgenza e gli era stata diagnosticata una grave patologia respiratoria. Dimesso dopo cinquanta giorni aveva avuto la rassicurazione che non sarebbe tornato al dormitorio della Caritas per evitare nuove infezioni. Ma dopo 12 mesi, denuncia in una lettera Alberto Chericoni, senza fissa dimora, non è cambiato niente.

“Avrei dovuto essere inserito in un percorso per ottenere un alloggio ed evitare, come accade a chi abita in una struttura di accoglienza pubblica, di stare all’aperto tutto il giorno, perché non si può rientrare fino a sera. Per chi è di Lucca non è difficile (se si vuole guardare) vedere noi ospiti dei dormitori ciondolare per il centro, cercando di passare la giornata, oppure riposarsi sulle panchine delle mura urbane fino a che il tempo lo permette. Ma quando diluvia od il freddo attanaglia? Nessuno ha pensato a quello che potremmo fare e dove ripararci?”.
L’incontro con l’assistente sociale, cosi come le telefonate all’Ufficio Casa non hanno dato esito positivo. “Ancora devo aspettare che mi richiamino… Con calma, senza fretta, ma all’aperto ci sto io, ci stiamo noi. Ieri ho affrontato la commissione medica per l’iscrizione alle categorie protette ed i due medici presenti, come pure l’assistente sociale della Usl che è stata fatta intervenire, mi hanno detto che non posso rimanere al dormitorio e che il Comune mi deve aiutare. Allora mi domando a chi devo credere? Posso essere aiutato o no? Come riescono le istituzioni a dimenticarsi con tanta leggerezza di noi senza fissa dimora, malati e non, feriti nella dignità, costretti ad elemosinare un pasto, un letto per passare la notte, vestiti per coprirsi? Siamo dimenticati come persone, come figure professionali, senza voce e senza diritti. Ma chiediamo solo di essere ricollocati nella società, chiediamo solo una possibilità di vita”.