
di Roberto Salotti
Lo stop al contratto Piuss per i lavori all’ex caserma Lorenzini e al complesso di San Romano rischia di complicare i successivi passi da intraprendere per riqualificare l’intera area, dopo che la giunta Tambellini – con un atto del febbraio scorso -, ha rescisso il contratto di appalto con l’Ati che si era aggiudicata la gara (Leggi) e a cui i lavori erano stati consegnati un anno prima (nella foto a fianco quel momento). Ora la Pacifico Costruzioni Spa in qualità di mandataria dell’associazione temporanea d’impresa – con la Spinosa Costruzioni Generali spa, la Sead Srl e la Effe Ingegneria e costruzioni srl – passa al contrattacco, con una diffida in cui si chiede di revocare la delibera della giunta in questione, pena la richiesta del risarcimento danni.
Una mossa che non arriva a sorpresa e che ha già prodotto una replica circostanziata della dirigente dell’edilizia pubblica Antonella Giannini che, punto per punto, ha smentito le ragioni dell’ormai ex direzione dei lavori, già silurata per “gravi inadempienze” alla fine dell’anno scorso, dopo una serie di missive, seguite da repliche e controrepliche che avevano al centro il cantiere lumaca, che poi, come è noto, si è fermato quasi del tutto. Nella diffida presentata dall’Ati il 21 marzo scorso si danno 15 giorni di tempo al Comune prima di considerare l’appalto “risolto di diritto”, “con conseguente obbligo del Comune a risarcire tutti i danni in aggiunta al pagamento delle riserve”.
Tradotto: o ci fate riprendere subito i lavori, o pagate. Gli uffici comunali prima e, più di recente, come atto dovuto, anche la giunta si sono espressi sulla questione che rischia comunque di divenire complicata. Secondo la tesi dell’amministrazione comunale, infatti, non sussistono in alcun modo i presupposti per revocare la rescissione dell’appalto, avvenuta, per quello che ritiene il Comune, per “giusta causa”. Al riguardo, proprio stamani (4 aprile) – allo scadere dell’ultimatum dell’Ati – la giunta si è espressa chiaramente, accogliendo le controdeduzioni degli uffici e le motivazioni che inducono a ritenere che non sussistano gli elementi per annullare lo stop all’appalto per l’ex Lorenzini.
Il caso rischia, tuttavia, di non essere chiuso. E lo spiega chiaramente, tra le righe della diffida, l’Ati che ha intimato al Comune la revoca della delibera oggetto di contesa. L’intenzione della Pacifico Costruzioni, come mandataria dell’Ati, è quello di far valere i propri diritti, visto che dal proprio punto di vista ritiene illegittimo lo stop all’ex appalto dei Piuss.
La dirigente del settore urbanistica e edilizia pubblica, ad ogni modo, ha ribattuto punto per punto alle osservazioni dell’Ati contenute nella diffida.
La decisione di revocare l’appalto era, del resto, scaturita dalla lunga e dettagliata relazione che il responsabile del procedimento aveva presentato alla giunta, con la quale si proponeva la risoluzione del contratto (ai sensi dell’articolo 136, comma 3, decreto legislativo 163/2006 e ai sensi dell’articolo 136, comma 6, decreto legislativo 163/2006). Nella delibera votata emergerebbero i “gravi inadempimenti alle obbligazioni” assunte dalla ditta “con il contratto di appalto”: criticità che si sono dimostrate “tali da compromettere la buona riuscita dei lavori stessi” e quindi il non rispetto dei tempi di consegna. Infatti i lavori furono consegnati a fine febbraio 2015, più di un anno fa e, sempre da quanto emerge dalla particolareggiata relazione, sono avanzati a ritmo lento rispetto a quanto previsto dal piano della sicurezza allegato al progetto esecutivo (redatto dalla stessa impresa, trattandosi di appalto integrato).
La relazione del Rup e il conseguente atto di giunta erano scaturiti a seguito di una lunga serie di passaggi tra il Comune, l’appaltatore e la ditta incaricata della direzione dei lavori – poi sostituita temporaneamente (prima dello stop all’appalto) da Polis.
Il Comune, dal canto suo, dopo la diffida si difende ancora. In particolare la dirigente Giannini sostiene, in risposta alle osservazioni dell’Ati, che “non corrisponde al vero che vi sia stata una omessa consegna di diverse aree di cantiere tale da pregiudicare il regolare andamento dei lavori in quanto, come già evidenziato negli atti di risoluzione il 17 marzo 2015 sono state consegnate all’appaltatore tutte le aree di cantiere”. Non solo, prosegue la Giannini: “le aree che l’appaltatore lamenta siano state occupate da materiali ostativi all’esecuzione delle lavorazioni hanno una superficie complessiva inferiore ai 300 metri quadrati che non si caratterizzano per avere alcuna localizzazione strategica per l’esecuzione dei lavori”. Quindi, dice il Comune, niente scuse. L’amministrazione respinge anche la tesi secondo cui i ritardi sarebbero dovuti alle indagini archeologiche: “La necessità di eseguire scavi con l’assistenza di archeologi era ben nota all’appaltatore sin dalla redazione del progetto esecutivo”, scrive la Giannini, e “gli scavi erano espressamente previsti nel progetto esecutivo predisposto”. Nessun ostacolo viene poi ravvisato dal Comune nell’ordine all’impresa di pulire le aree “al piano primo del museo del fumetto ove erano presenti alcuni escrementi di piccione”, visto che, secondo il Comune, l’appaltatore non avrebbe adempiuto a quanto disposto.