Zecchini: “Riconoscimento pubblico alla memoria di Mencacci”

17 settembre 2016 | 10:16
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Zecchini: “Riconoscimento pubblico alla memoria di Mencacci”

A pochi giorni dalla scomparsa del medico e storico Paolo Mencacci riceviamo e volentieri pubblichiamo un ricordo di Michelangelo Zecchini, a nome dell’Accademia Lucchese di scienze, lettere e arti.

“Conobbi – dice Zecchini – il professor Paolo Mencacci sul finire del 1969, durante gli scavi nel sito romano-ligure di Marlia. Le sue osservazioni sui reperti erano così pertinenti che lì per lì pensai che ricoprisse una cattedra di scienze dell’antichità. Ma mi spiegò che era un medico, uno specialista di otorinolaringoiatria, e che le sue conoscenze archeologiche e la sua passione per le ricerche sul nostro passato gli derivavano dall’aver frequentato le campagne di scavo dirette dal professor Ezio Tongiorgi dell’università di Pisa. In quel momento cominciò la nostra amicizia, che lui amava definire inossidabile, e prese l’avvio una stretta collaborazione negli studi archeologici, che ben presto portò all’edizione dei volumi Lucca preistorica (1976) e Lucca romana (1981). Fino al volgere degli anni Ottanta, allorché indirizzò la sua attenzione anche alle indagini più propriamente storico-archivistiche, tutti gli eventi archeologici e tutte le pubblicazioni portano il suo contributo fondamentale”.
“Durante gli scavi effettuati – prosegue Zecchini – nella Buca di Castelvenere a Vallico di Sopra – era il 1975 – intuì per primo di essere di fronte a una scoperta eccezionale e qualificò senza mezzi termini la singolare spelonca come santuario etrusco. A quell’epoca parlare di Etruschi a Lucca e nella Valle del Serchio, entrambe ritenute di ethnos ligure dall’archeologia ufficiale, significava passare per visionari. Glielo feci notare. Replicò che quando si è in possesso di documentazioni probanti è doveroso presentare alla comunità scientifica le proprie valutazioni, quali che siano gli impedimenti esterni, perché è così che progredisce il sapere, tanto in medicina quanto in archeologia o in qualsiasi altra disciplina. Fu una magnifica lezione di stile di vita e di metodologia della ricerca”.
“Spesso – prosegue – di solito il sabato e la domenica, dedicava i momenti di non reperibilità ospedaliera agli scavi. Li giudicava rilassanti, ma in realtà erano anch’essi ‘turni’ impegnativi di lavoro manuale e intellettuale al tempo stesso. Durante quelle ore Paolo si ‘apriva’ soffermandosi, mai con ostentazione, piuttosto con autoironia, sulla sua splendida carriera professionale, dai primi passi sotto la guida del professor Puccinelli all’università di Pisa, al conseguimento della libera docenza, all’insegnamento di clinica otorinolarigoiatrica allo stesso ateneo, al primariato all’ospedale di Lucca, alla presenza per un quarto di secolo ai vertici della Società italiana di otorinolaringoiatria, fino alle relazioni scientifiche in congressi internazionali. Durante uno di questi, in Spagna, parlò di una ricerca sul cancro innovativa per l’epoca. Ebbe un successo tale che divenne immediatamente ‘popolare’ e fu avvicinato da una folla di giornalisti che lo acclamò scandendo il suo nome: Pablo! Pablo!. Lo raccontava con meraviglia, come se non avesse fatto niente di rimarchevole mentre anche in quel caso, grazie a un’accurata sperimentazione e a un intuito finissimo, aveva fatto fare più di un passo avanti alla ricerca oncologica. Poi soggiungeva: “Se qualcosa di buono sono riuscito a fare, è per le iniezioni di forza che ricevo ogni giorno dalla mia famiglia”. Ossia dalla moglie Alda, dalle figlie Maria Pia e Maria Rosaria, e dai nipoti, di cui era giustamente orgoglioso. Quanto grande fosse l’energia di cui era dotato, lo constatammo nel corso dello scavo (1973) nella grotta delle Campore a Pescaglia. Arrivò dopo aver terminato una delicata e complessa operazione chirurgica durata oltre sei ore. Ebbene: dopo altre sei ore di duro lavoro per liberare belle ceramiche preistoriche da una coltre stalagmitica, risultò il più fresco di tutti: era ancora in grado di scherzare in modo bonario e arguto, com’era sua consuetudine, su personaggi e fatti della vita cittadina”.
“La gente – ricorda Zecchini – tanta gente, gli voleva bene per la sua umanità e per la sua disponibilità. Negli anni Ottanta, quando venne in vacanza all’Elba con la sua famiglia, terminare la passeggiata serale nel lungomare di Marciana Marina costituiva davvero un problema: veniva riconosciuto e salutato da una moltitudine di persone originarie dei luoghi più disparati dello stivale, da Torino a Reggio Calabria. Persone alle quali aveva prestato le proprie cure e, talvolta, salvato la vita. Per ognuna c’era un sorriso e un augurio. Negli ultimi 14 anni, pur senza trascurare gli impegni con la Fondazione Banca del Monte di Lucca o il Lions Club o l’Accademia della Cucina o altre associazioni di cui faceva parte, ha dato molto del suo tempo e del suo intelletto all’Accademia Lucchese di scienze lettere e arti, di cui è stato segretario per la classe di scienze. Per la ‘sua’ Accademia ha pubblicato, sempre per i tipi di Maria Pacini Fazzi Editore (“Maria, la nostra Maria”, era solito dire, “come avremmo fatto senza di lei?”), oltre dieci volumi sulla storia di Lucca: vale a dire centinaia e centinaia di pagine originali, frutto di uno spoglio archivistico/bibliografico enorme e di una passione infaticabile, sulle vicende che hanno attraversato Lucca nel corso dei millenni. Già i titoli (Lucca: le mura romane, 2001; Lucca: le mura medievali (sec. XI-XIII), 2002; La mancata signoria di Francesco Guinigi, 2005; Le fortificazioni lucchesi della prima metà del XVI secolo, 2007; I templari a Lucca, 2009), indicano la volontà di portare a termine un programma, mai tentato prima da altri, di approfondimento della storia lucense, dalle origini ai tempi moderni, mediante puntuali monografie. Concludo accennando all’ultima sua opera intitolata L’Accademia Lucchese di scienze, lettere e arti attraverso i secoli, del 2016, che denota, fra l’altro, il suo attaccamento alla più antica e prestigiosa istituzione culturale cittadina”.
“Ora Paolo se n’è andato – conclude Zecchini – lasciando un vuoto profondo anche nella società civile e nel mondo scientifico e culturale, locale e non. Non si può non auspicare che Lucca, alla quale, non per modo di dire, ha dato molto, possa attribuire alla sua figura di uomo e di studioso un meritatissimo riconoscimento pubblico”.