Emergenza giovani, le proposte di Leonardo Butelli

15 aprile 2017 | 11:06
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Emergenza giovani, le proposte di Leonardo Butelli

Una lunga analisi della “questione giovanile”: è quella presentata da Leonardo Butelli, impegnato nell’associazionismo e attento alle politiche giovanili: “Parlare di giovani – dice Butelli – è generico e fuorviante in particolare per chi se ne voglia occupare in termini concreti e non speculativi. Questo perché da sempre i giovani rappresentano un caleidoscopio di idee, esigenze, problemi che vanno ad interagire con altri sistemi sociali: la famiglia, la scuola, la formazione, il tempo libero, la cultura eccetera. E’ quindi opportuno utilizzare una chiave di lettura che parta da un dato inconfutabile, facilmente reperibile e sul quale è già stata fatta una seria analisi. In questo modo è più semplice anche delineare una politica che sappia cogliere le priorità”.

“Da un’indagine effettuata – spiega analizzando la fascia di età 14-18 – a fine 2015 in provincia di Lucca il 21,6 per cento di ragazzi hanno abbandonato la scuola senza aver conseguito l’obbligo di istruzione contro il 14,9 per cento del territorio regionale (dati Benessere equo e sostenibile delle Province 2015) e che si presume siano andati ad infoltire la fila dei ragazzi che non studia più e che non cercano neanche lavoro (in inglese si chiamano Neet). Sono adolescenti che alla naturale fase di crescita, che per quell’età si sa essere particolarmente turbolenta, si aggiunge la criticità del loro inserimento sociale. Evidentemente non abbiamo dati sul Comune di Lucca, ma conviene farne materia di attenzione, anche per la velocità con cui poi certi fenomeni di devianza minorile si manifestano con un dato di problematicità sociale in più rispetto al passato e in linea con il resto del paese.
Il Bes Province parla di un “dato relativo alla quota di “giovani” che hanno abbandonato precocemente gli studi senza conseguire un titolo di studio superiore superiore di quasi 7 punti alla media regionale. In prospettiva ciò non rappresenta il miglior viatico per colmare il ritardo che ancora caratterizza la percentuale di persone in età lavorativa (per convenzione, gli individui di età compresa fra 15 e 64 anni) con al massimo la licenza media (49,2%)”.
“E’ evidente – commenta Butelli – che il sistema scolastico e quello della formazione professionale non riesce più a raggiungere i propri obiettivi primari e che sono scarse se non annullate le ipotesi progettuali che a partire dagli anni Novanta vedevano enti di formazione professionale ipergnati al recupero professionale e culturali dei giovani drop-out.
Basti qui ricordare i centri di aggregazione come il Kaboom, le botteghe della solidarietà, le officine sociali che posizionate nei quartieri a più alto rischio di degrato socio-economico, riuscivano ad inserire in processi di formazione ragazzi altrimenti in balia del “nulla”. E’ più che mai urgente ripensare la formazione professionale trovando sinergie nuove tra pubblico e privato-sociale per riconnetere i percorsi formali ed “incidentali” per offrire un ventaglio di risposte formative per gli adolescenti attualmente fuori dai circuiti socio-formativi”.
Diverse le esigenze per la fascia di età 18-29: “Se un giovane di vent’anni nel 2004 – spiega – ha impiegato 10 anni per raggiungere l’indipendenza economica, nel 2020 ne impiegherà 18 (arrivando quindi a 38 anni) e nel 2030 addirittura 28: diventerebbe, in sostanza, ‘grande’ a cinquant’anni. E’ quanto emerge in uno studio della Fondazione Visentini presentato dalla Luiss a Roma non più tardi del 27 marzo. L’analisi parte dalla considerazione che la questione del divario generazionale, come le possibili soluzioni ad esso connesse, chiama in causa i principi della solidarietà e dell’uguaglianza sanciti dalla Costituzione: non è possibile infatti – si legge nel rapporto – essere uguali di fronte alla legge se prima non vengono rimosse le condizioni di disuguaglianze che impediscono a tutti di fruirne. In questo quadro la ricerca si chiede se si può parlare, per i millennials, i nati alla fine del secolo scorso, di ‘generazione perduta’, appellativo che fu in precedenza attribuito ai loro genitori. La risposta è no, ma il rischio di una deriva è molto elevato e gli oneri per uscire dall’impasse gravano, attualmente, sui diretti interessati. Questi crescono in una società costruita e gestita a misura delle generazioni mature, che preclude ai giovani anche la visione, la speranza e l’aspettativa stessa di un benessere futuro: una società dominata dai baby boomers (coloro che erano ragazzi tra il 1945 e il 1964) che hanno goduto di una confortevole gioventù e che oggi approdano a una confortevole vecchiaia da silver boomers (quello che sono andati in pensione prima della riforma Fornero). Le prospettive, delineate da uno specifico Indicatore di divario generazionale, impongono una riflessione strutturata sulle misure di contrasto, nel quadro di un vero e proprio patto tra generazioni. Secondo il rapporto, è necessario un intervento per fronteggiare quella che appare come una “emergenza generazionale”. La fondazione Visentini propone un “eccezionale sforzo solidaristico nell’ambito un intervento organico e sistematico che ponga la questione giovanile al centro dell’attenzione politica”. “L’Italia povera di giovani si trova, inoltre, anche con giovani sempre più poveri. I dati Istat mostrano che nel 2015 la condizione di povertà assoluta delle famiglie con persona di riferimento sotto ai 35 anni è diventata più frequente (10,2 per cento), mentre invece è scesa al 4% per le famiglie di anziani. In coerenza con questi squilibri crescenti è rallentata la formazione di nuovi nuclei familiari ed è diminuita la natalità. Non è un caso se siamo una delle società avanzate con più bassa formazione di nuclei familiari prima dei 30 anni e, conseguentemente, con fecondità più bassa prima di tale età (Eurostat 2015). Senza un “Piano Paese” che destini il massimo impegno e le maggiori risorse a dare consistenza e forza alla nuove generazioni, difficilmente potremo tornare a creare più ricchezza e benessere di quanto ne consumiamo”.
“Nessun governo – commenta Butelli – sinora è riuscito a sciogliere davvero il nodo gordiano che blocca l’accesso dei giovani italiani al futuro individuale e collettivo desiderato. Forse anche perché tale nodo si è nel tempo intrecciato, sempre di più, con timori di perdere vecchie sicurezze, difesa di interessi di parte, posizioni di rendita, privilegi acquisiti.
“Narra la leggenda che Alessandro Magno – per liberarsi dai vincoli del passato e lanciarsi verso nuove conquiste – abbia alla fine deciso di dare un taglio netto al nodo. Stiamo ancora aspettando un governo con lo stesso coraggio”. (fonte Neodemos). Un Comune che voglia agire su questa fascia di popolazione particolarmente svantaggiata e direi anche “sbeffeggiata” deve saper dialogare con loro al di là della burocrazia favorendo spazi di aggregazione non vincolati da regole farraginose e esasperanti. Devono esistere poli tecnologici per i più scolarizzati, ma anche centri di aggregazione a carattere propulsivo dove è possibile creare cultura dal basso, dove i giovani si rendono protagonisti di proposte alternative alla cultura di massa, ad un protagonismo nei confronti della città, che sappia coniugare autoformazione e cultura per la città. Abbiamo bisogno di spazi che funzionino come una cerniera tra la formazione e il lavoro dei giovani, dove sperimentare nuove forme di produzione nel campo delle arti, performative, visive, audiovisive multimediali e non solo. Deve essere un’opportunità per sperimentare un approccio positivo alla realtà, dall’apprendimento al lavoro, dal modo di usare il proprio tempo libero alla valorizzazione dei propri talenti”.
“Lo spazio deve essere aperto alla città – conclude Butelli – destinato alla cultura e all’aggregazione, che coinvolge i giovani sia come fruitori sia come produttori di contenuto culturale, performativo, artistico multidisciplinare, centrato sulla partecipazione attiva. Uno spazio dove realtà diverse per attività, storia, esperienza, si contaminano e crescono insieme, per periodi più o meno brevi. Lo spazio favorire aggregazione e intrattenimento, in modo da incentivare la frequentazione anche da parte del pubblico, annullando le barriere tra il produttore e il fruitore del contenuto. E’ possibile fare anche a Lucca sistema con l’avvio di un’esperinza di questo tio collegata al Cantiere Giovani e all’Agorà. Le nuove generazioni (come ci ricorda il rapporto sui giovani del dicembre 2016 curato dall’istituto Toniolo e dall’Università Cattolica di Milano), apprezzano molto la possibilità di combinare il valore sociale di un’esperienza volontaria con la possibilità di essere protagonisti attivi e di migliorare il contesto in cui si vive, associando tale esperienza alla acquisizione di nuove competenze sia relazionali sia lavorative, in modo da ricavarne un beneficio individuale, basta dargliene le dovute opportunità. In questo senso il Comune, che già ha iniziato ad investire sui giovani con Creative Hub, continuerà ad investire in centri dove è possibile formarsi, orientarsi, esprimersi, incontrarsi e fare cultura, libero da formalità e burocrazie”.