La fotografa Letizia Battaglia a Dillo in sintesi: brevità è magia

Il viso scavato dall’età e una camminata lenta, leggera, ma un animo e una grinta che metterebbero a tacere anche una leonessa. Dopo averla vista quasi solo in bianco e nero, immortalata in scatti che già sono rimasti nella storia, la fotografa Letizia Battaglia si è mostrata al pubblico di Dillo in sintesi con la sua frangia scarlatta, gomito a gomito con la poetessa e neuropsichiatra infantile Margherita Rimi. Due palermitane doc che, in questa seconda giornata di “brevità intelligenti” che si è tenuta alle 17 nell’auditorium del complesso di San Micheletto, sono riuscite a incantare davvero tutti.
Per chi non la conoscesse, Letizia Battaglia è stata la prima fotografa italiana ad essere stata assunta in una testata giornalistica, trovandosi poi, negli anni, a documentare l’inizio degli ‘anni di piombo’. Anni, quelli, in cui ha potuto immortalare delitti di mafia colmi di sangue e silenziosa disperazione, chi li rendeva possibili…ma anche chi non li voleva più. Una lunga e pluripremiata carriera da fotoreporter dalle pareti colme anche di scatti di miseria e splendore della sua amata città: feste, lutti, sguardi di bambini e donne, squarci di strade, quartieri. La quotidianità, ovviamente tutta in bianco e nero, di una città per cui adesso gioisce.
Le prime parole, infatti, Letizia Battaglia le ha dedicate proprio alle elezioni che si sono tenute lo scorso 11 giugno.
“Palermo ha votato – ha detto allargando le braccia – ha votato bene, e per me, o forse per tutti noi, è davvero una grande gioia. Per cinque anni, almeno, sappiamo che la mafia non riuscirà ad entrare in comune. Voi non immaginate cosa significhi questo per un palermitano, ma è comprensibile: voi facevate altro mentre la nostra città tremava”. Parole forti che poi si sono trasformate in racconto: “Ho smesso di scattare foto nel 1985 dopo aver vinto a New York il premio Eugene Smith. Chissà perché io i premi li ho vinti sempre in America. Qua in Italia niente, nemmeno un riconoscimento, un invito…eppure ho fotografato Palermo, sono riuscita a far vedere cosa stava accadendo”.
“In molti mi chiedono come si faccia a fare buone foto, e forse è proprio per questo che sono qui: la sintesi è un miracolo, una magia. Una buona foto si ha se esiste quella, se in ogni scatto riesci a mettere te stesso. Le tue gioie, le tue paure, i libri che hai letto, la musica che hai ascoltato, i film che hai visto. Tutto di te deve convergere in un istante, uno solo…anche perché poi rischi che la foto venga mossa. Ma non basta tutto questo: ovviamente serve anche la passione, il temperamento. Se sono fascista devo fare foto fasciste, non posso andare a fotografare i lavoratori, chi si batte per i loro diritti. Magari mi verranno anche belle foto, ma non rimarranno. Non rimarranno perché non ci sarei io là dentro. In una foto a Salvini magari sì…”.
“Ho smesso di fare la fotografa e mi sono dedicata alla politica: consigliere comunale, assessore, deputato. Ecco, se gli anni da deputato per me sono stati un vero fallimento, per quanto riguarda quelli da assessore invece, devo dire che in quei tempi ho avuto un grande amore. Oggi riguardo le mie vecchie foto, i miei archivi, e nonostante fossi innamorata di ciò che facevo dai miei album si sente che mancano gli anni in cui ho abbandonato la fotografia. Di quel periodo ho solo qualche pellicola, niente di più. Ma ero in politica, non potevo mettermi lì a far foto alla spazzatura. Sento questo vuoto molto forte, nel mio archivio pieno di cose. Ho forse sbagliato?” – si chiede la fotografa.
“Poi ho ricominciato ad usare la macchina fotografica: – racconta ancora – scatti gravi, scatti belli, gentili. A fare alcune foto ho avuto anche paura. Però non ho scattato fotografie solo a morti ammazzati eh, pensate che da giovane, per potermi pagare l’affitto, ho addirittura lavorato in un giornale erotico. Adesso quelle foto farebbero sorridere da tanto che sono ingenue, ora che siamo abituati alla pornografia”.
“Un fotografo deve avere progetti – spiega Letizia Battaglia – ma oggi la gente non li può avere: non ci sono spazi nei giornali, i giovani non sono sostenuti, non riescono a scattare buone foto. E in futuro per me a causa di tutto questo ci ritroveremo dei grossi buchi: chi è che ora si mette a fotografare le periferie? Per questo a Palermo ho creato il Centro Internazionale di fotografia che aprirà, con mia gioia, a settembre grazie all’aiuto del Comune. Non voglio che i giovani si buttino via in strada, volevo per loro un luogo sicuro in cui raccontarsi con l’arte”.
A prendere il microfono anche Margherita Rimi, che dopo essere stata presentata dalla Battaglia come “la poetessa migliore d’Italia” ha avuto attimi di evidente commozione. E se da una parte c’era una leonessa dalla criniera scarlatta e una vita passata tra sangue e corruzione, dall’altra c’è lei, dai tratti gentili ma decisi, che ha raccontato, anche leggendo le sue opere, com’è lavorare con i bambini e soprattutto quanto è difficile dar loro una voce.
“La mia poesia è espressione sintetica – dice Margherita Rimi che ormai da anni si occupa di bambini vittime di violenza – la sintesi credo che sia una predisposizione naturale e chi meglio dei bambini è breve ed essenziale. Mi sono ispirata al loro linguaggio per scrivere le mie poesie, un modo di parlare che pur essendo semplice è un linguaggio a tutti gli effetti. Un linguaggio nuovo che va assimilato facendolo diventare quasi nostra ‘carne’. E per dar voce ai bambini ci vuole lo studio: sono tanti gli scrittori che ne parlano pensando che sia facile, che sia ‘tutto lì’. Ma in quanti sbagliano…in quanti, pur con ‘ignoranza pulita’ squalificano i più piccoli con frasi tipo ‘piangere come un bambino, hai paura come un bambino…’. E’ dalla paura e dalle lacrime che poi si costruisce un uomo”.
E tra il pubblico c’è chi ha alzato la mano e ha chiesto alle due ospiti siciliane come mai tra tutte le città del mondo hanno deciso di rimanere proprio a Paermo, terra bella ma così difficile.
“Siete mai stati innamorati? – ha chiesto Letizia Battaglia alla platea – sono rimasta per amore, solo per quello. Ho girato il mondo, sono venuta anche qui a Lucca che è una città bellissima…ma non ci posso fare nulla. Ho scattato foto in Africa, in America. Il mio lavoro potevo farlo ovunque ma in nessuna di quelle foto scattate altrove mi ci sono ritrovata. A Palermo c’è la puzza, a me piace quella puzza”.
Giulia Prete