
Una missione che deve essere ‘accompagnamento paziente’ dei fedeli in un’epoca difficile per i rapporti e anche per la fede. E’ questo il messaggio lanciato dal vescovo Italo Castellani nella messa crismale che si è svolta oggi pomeriggio (28 marzo) alle 17,30 nella Cattedrale di S. Martino. Un lungo accorato richiamo allo spirito presbiteriale quello contenuto nell’omelia dell’arcivescovo che di seguito riportiamo integralmente. Ma durante la celebrazione di oggi monsignor Castellani ha parlato anche delle crisi della vocazioni e del calo dei seminaristi. Una situazione che ha determinato la decisione di trasferire temporaneamente i seminaristi dall’edificio di Monte S. Quirico “bisognoso di manutenzione”, ad una sede più “adeguata” che al momento è stata individuata nella canonica di S. Martino in Vignale.
“Già da tempo nelle diocesi toscane (e non solo) – scrive Castellani -, assistiamo ad un generale calo numerico dei seminaristi. Anche la nostra diocesi non è esente da questo fenomeno: un fatto che non può non interpellare nel profondo la nostra responsabilità e coscienza cristiana, anche a partire da aspetti che possono sembrare organizzativi ma in realtà esprimono il desiderio e la volontà di affrontare il problema. La piccola comunità dei seminaristi di Lucca, come sapete vive nel nostro seminario arcivescovile di Monte san Quirico: un grande ambiente che fu progettato, quasi un secolo fa, per ospitare trecento giovani. Oggi in quell’edificio per la piccola comunità del seminario è particolarmente difficile, seppure utilizzando solo pochi ambienti, vivere in una dimensione ‘familiare’, a discapito soprattutto di un’autentica vita comunitaria. Del resto, anche il numero degli studenti che frequentano lo studio teologico interdiocesano di Camaiore, al quale fanno riferimento diverse diocesi per la formazione teologica in vista del presbiterato, fa pensare alla necessità di ipotizzare in un breve periodo ‘nuove istituzioni’ per la formazione al presbiterato: questo con la finalità di unire le forze che ancora abbiamo a disposizione come Chiese sorelle e per poter far fronte ai mutati bisogni della formazione seminaristica. Ultimo aspetto – aggiunge il vescovo -, ma non per questo meno rilevante, riguarda l’immobile stesso del nostro seminario: sempre più bisognoso di manutenzioni ed interventi, con costi di gestione che sono molto alti, tanto che ultimamente si fa sempre più difficoltà a coprirne le spese. Questi aspetti della vita del seminario già da alcuni anni sono stati presi in considerazione in varie occasioni e in varie sedi, soprattutto con il Consiglio presbiterale”. E proprio nell’ultima riunione del consiglio presbiterale, che si è tenuta lo scorso giovedì (22 marzo), “ci siamo confrontati su alcune di questi aspetti ed in particolare sulla sistemazione, nell’immediato, della piccola comunità dei seminaristi”.
“Dopo una attenta valutazione e l’ascolto dei diversi contributi offerti dai presbiteri presenti – prosegue Castellani -, il Consiglio si è espresso all’unanimità a favore di un trasferimento temporaneo dei seminaristi in una sede più idonea, che risponda sia alle esigenze formative quanto a quelle di una più sentita vita familiare e comunitaria. La soluzione indicata ed approvata all’unanimità è stata quella di destinare la canonica di S. Martino in Vignale come abitazione della comunità del seminario. Il luogo che è stato scelto risponde anche alla necessità di far sì che i formatori (don Luca, don Riccardo e don Alberto), che sono anche parroci della comunità della Valfreddana Sud, rimangano nel servizio pastorale di queste comunità. Questo è il primo passo di un cammino che vuole restituire alla Comunità del Seminario, Formatori e Seminaristi, spazi e strumenti che s’ ispirino maggiormente alla essenzialità della vita cristiana e offrano una maggiore serenità sia nelle relazioni che nella vita spirituale. Ma tutto ciò sarebbe vano ed inutile se non ci affidassimo al Signore, certi della Sua promessa di non fare mai mancare guide al Suo popolo; a noi la gioia della testimonianza e la responsabilità della preghiera vocazionale perché i nostri giovani possano rispondere con generosità alla chiamata che Dio Padre mette nel loro cuore. Solo così, facendoci piccoli ma tenaci intercessori, esprimeremo la nostra fede ed il frutto sarà grande, come la fruttificazione dei talenti o dei semi della parabola”.
Ecco di seguito l’omelia del vescovo
La nostra Assemblea Eucaristica manifesta, stasera più che mai, la Chiesa in tutte le sue componenti: Presbiteri, Diaconi, Consacrati e Consacrate, Fedeli laici.
La presenza di Voi cresimandi –in rappresentanza anche dei vostri amici che nell’anno saranno segnati dalla grazia del Crisma benedetto in questa celebrazione– arricchisce di gioia tutti noi.
Ora mi rivolgerò soprattutto ai presbiteri, chiamati a rinnovare davanti al Vescovo e alla Chiesa le promesse dell’ordinazione e a rendere grazie a Dio per il dono della chiamata alla vocazione presbiterale. Me ne scuso! Rivolgendomi a loro non intendo escludere alcuno, ma anzi invitarvi a comprendere meglio il senso del mio e loro ministero a servizio di tutto il Popolo di Dio.
Carissimi presbiteri –sono spiritualmente presenti con noi a questa Celebrazione i nostri missionari Fidei donum in Brasile, Don Massimo e Don Luigi, insieme al missionario laico Luca Bianucci– e in particolare i nostri confratelli ammalati alla Casa del Clero o nelle loro case.
Il testo biblico che prendo come motivo di base per la mia riflessione –“Lo Spirito del Signore Dio è su di me” (Is.51,1)– ci testimonia la presa di coscienza e autoproclamazione della vocazione e missione del Profeta Isaia.
“Oggi si è adempiuta questa Scrittura” (Lc. 4,21): annuncia a sua volta Gesù, nel Vangelo appena proclamato, in riferimento alla Sua persona.
“Questa Scrittura” si è adempiuta e ha trovato compimento per tutti, e personalmente per ciascuno di noi, nell’«oggi» della nostra ordinazione presbiterale.
In questa divina liturgia della ‘Messa del Crisma’ mi sta a cuore mettere a fuoco un punto fermo del nostro essere ‘presbiteri’: il ‘noi presbiterale’.
Il ‘noi presbiterale’ come realtà sacramentale originaria: il “noi” donatoci dall’unico e stesso Spirito, “lo Spirito del Signore”, che ci ha segnato “ministri del nostro Dio” (cf Is 61, 6) nella nostra ordinazione presbiterale.
Ogni presbitero condivide con i confratelli un dato essenziale, l’identità datagli dal Sacramento dell’Ordine: “I presbiteri, costituiti nell’ordine del presbiterato mediante l’ordinazione, sono tra loro uniti da intima fraternità sacramentale” (Presbyterorum Ordinis, 8).
L’imposizione delle mani del Vescovo, del presbiterio concelebrante all’ordinazione e la preghiera consacratoria, imprimono ad un tempo nel prete l’identità sacramentale del ‘presbitero’ e l’identità sacramentale del ‘noi presbiterale’.
Il “noi presbiterale” –l’essere segnati e uniti da intima fraternità sacramentale– non è un mero fatto giuridico, un elemento secondario e accidentale del nostro essere preti: è un dato costitutivo della nostra identità.
Il ‘noi presbiterale’ –l’appartenenza al ‘presbiterio’ di una chiesa locale, la fraternità sacramentale, la ‘Comunione gerarchica’ con il Vescovo– non vengono “dalla carne e dal sangue” (cf Gv 1,13), ma dal dono ricevuto nel Sacramento dell’Ordine.
Il “noi presbiterale”, che si fonda e scaturisce dal sacramento dell’Ordine, per il presbitero non è una scelta discrezionale, ma la risposta –sia nel rapporto con il Vescovo che con i confratelli–a una chiamata intrinseca alla propria vocazione.
Addirittura, non estremizzando ma per dare forza al ‘noi presbiterale’, vi ricordo che secondo la dottrina della Chiesa non si dà ‘identità del presbitero’ senza appartenenza al presbiterio diocesano. Mostra di avere un’identità presbiterale fragile colui che ha e coltiva con i confratelli rapporti formali o inconsistenti; o addirittura agisce in maniera assolutamente autosufficiente, snobbando tutto quel che ha a che vedere con la comunione, la condivisione e la collaborazione.
Il presbitero –vivendo il presbiterio come naturale grembo di fede ecclesiale– fa una scelta intelligente entrando in un contesto di valori, di vita e di relazioni al cui centro vi è ciò che è essenziale anche per la sua persona.
La presa di coscienza del ‘noi presbiterale’ ha il suo fondamento su una visione di ‘chiesa comunione’, nella quale il presbitero è chiamato ad essere ‘uomo di comunione’.
C’è da crescere nella consapevolezza che ognuno di noi, non nasce come ‘uomo di comunione’ già fatto; ma è chiamato a ‘rivestirsi’, ad apprendere e crescere in questa sua ‘Verità’, nel misterioso campo della quotidianità, nella relazione con gli altri, rendendosi disponibile, sulla testimonianza dell’Apostolo Pietro, a “lasciarsi lavare i piedi” (Cf Gv13,8) da Gesù e dai fratelli, siano essi i nostri confratelli che le nostre stesse comunità.
Il “noi presbiterale” è, anche la risposta provvidenziale alle tre sfide che ci troviamo oggi a vivere, che ci stanno quotidianamente lavorando i fianchi, creando spaesamento: essere preti in un mondo e in un orizzonte di vita diventato “plurale”, “indifferente” e “liquido”. Fondati e forti del ‘noi sacramentale’ non si tratta solo di trovare insieme modi nuovi di comunicare il Vangelo, ma piuttosto di essere “preti con l’arte della mistagogia”, intendendo il nostro ministero come un accompagnamento paziente che lasci emergere la bellezza del cristianesimo e del Vangelo dall’interno di tutte le esperienze umane: dalle domande di senso molto accorate e profonde emergenti dalla vita quotidiana della gente; dalle crisi che segnano la vita personale, familiare e sociale dell’uomo reale che vive nel territorio delle nostre comunità; dalle stesse chiusure delle nostre comunità–in particolare dei cosiddetti ‘vicini’– impermeabili ad ogni proposta di cambiamento alla luce del Vangelo, alla luce del “si è sempre fatto così”.
Desidero indicare ora due orientamenti pratici del ‘noi presbiterale’:
Il presbitero diocesano è chiamato ad educarsi alla ‘sinodalità’
Come? Coltivando uno ‘spirito sinodale’ e assumendosi in prima persona la responsabilità di edificare nella quotidianità una ‘Chiesa sinodale’: sia a livello diocesano, che nei livelli territoriali intermedi della zona-area pastorale, sia nella comunità, parrocchiale.
In concreto, ‘camminare insieme’:
‘Impegnandosi insieme’ nell’ascolto della Parola di Dio. È il grande esercizio dell’ “ascoltare insieme”, in una Chiesa che si riconosce fraternità, convocata dallo Spirito. E quanto sarebbe importante che, come ci sono i Gruppi di ascolto del Vangelo che ho chiesto di istituire nelle parrocchie, ci fossero anche dei presbiteri che si incontrano per ascoltare e condividere la Parola di Dio.
‘Educandosi insieme’ nell’ascolto dei ‘segni dei tempi’. L’ascolto della Parola e l’ascolto di ciò che gli uomini e le donne vivono oggi – “il discernimento dei segni dei tempi alla luce del Vangelo” (Gv 4)– vanno pari passo: su una mano il ‘Vangelo’ e sull’altra il ‘giornale’, come si è soliti dire.
Esercitandoci insieme nel ‘discernimento comunitario’: nel valutare e discernere nell’ascolto reciproco, e in una ricerca comunitaria, nell’obbedienza alla Parola, con l’occhio profetico della Chiesa che può dire”. È parso bene allo Spirito Santo e a noi” (At 15,28). E’ questo il servizio del rinnovamento delle comunità parrocchiali in obbedienza al momento storico che stiamo vivendo guardando avanti con fiducia e abbandonando il pessimismo e la difesa di continuare a fare come si è sempre fatto.
Privilegiando l’“ascolto e la valorizzazione dei doni del popolo di Dio”: riconoscendo ogni fratello e sorella come “pietra viva, scelta e preziosa davanti a Dio” (cf 1 Pt 2, 4), per la costituzione della Chiesa “edificio spirituale” (cf 1 Pt 2, 5); credendo e operando “senza indugio” (Lc 24, 33) nella valorizzazione del sacerdozio battesimale e dei “doni di ciascuno per il bene di tutti” (cf 1 Cor 12, 7); dando vita di fatto e senza rinvii ormai non più sostenibili –pur nella fatica che di fatto s’incontra nei fedeli laici ad assumersi in prima persona responsabilità a servizio della comunità– ad una “Chiesa tutta ministeriale”, coscientizzando se stessi e la propria comunità che questo è il “volto” vero da ridisegnare della comunità parrocchiale oggi; testimoniando il ‘Vangelo della gioia’ “portando i pesi gli uni gli altri” (Gl 6, 2) –dei fedeli laici fratelli per il Sacramento del Battesimo e con i confratelli consanguinei per il Sacramento dell’Ordine– nelle relazioni quotidiane, sempre crocevia e crogiuolo di salvezza; “gareggiando nello stimarsi a vicenda” (cf Rm 12,10), in ascolto del cuore l’uno dell’altro in un dialogo costante.
Cari fratelli, se non facciamo emergere ed esprimere i ‘ministeri laicali’ necessari per la vita della nostra chiesa –vissuti e testimoniati nella celebrazione domenicale dell’Eucaristia, fonte della vita parrocchiale– saremo responsabili di clericalismo e disobbedienza allo Spirito che elargisce i suoi doni.
‘Camminando insieme’ come Chiesa di Lucca: Qui vorrei che ciascuno si chiedesse se ha fatto tutto il possibile e anche di più nel cammino che ho indicato per tutte le comunità parrocchiali. Voglio essere fiducioso e certo che avete accolto e utilizzato le schede affidate a voi e alle vostre parrocchie –la nostra ‘penitenza quaresimale comunitaria’– al fine di ridisegnare il volto missionario delle nostre comunità parrocchiali concentrandosi sull’essenziale: la celebrazione domenicale dell’Eucarestia fonte della vita parrocchiale; dalla liturgia eucaristica nella comunità il primato della Parola di Dio in dialogo con la vita, l’assemblea eucaristica domenicale naturale grembo per generare alla fede.
Confermo che dopo Pasqua verrò in ogni zona pastorale ad ascoltare voi e gli operatori pastorali sulle concrete ed essenziali scelte in merito maturate sinodalmente.
Il presbitero diocesano è chiamato a esercitarsi nella ‘Comunione pastorale’.
Come? Condividendo con gli altri presbiteri, insieme ai fedeli laici, a tutti i battezzati e non, la responsabilità della missione dell’annuncio, del generare e trasmettere la fede nella concreta comunità ecclesiale affidataci dal Vescovo: non esercitando da “solitari” e in modo individualistico la grazia del ministero.
In concreto:
Accogliendo con fede le ‘Linee pastorali diocesane’: dando cuore e piedi, con passione e creatività, all’attuazione del progetto pastorale diocesano che, come frutto di un ascolto permanente e discernimento comunitario, segna annualmente il passo di quanto lo “Spirito dice alla Chiesa” (cf Ap 2, 7) di Lucca: non esercitando da ‘solitari’, in modo individualistico e autoreferenziale la grazia del ministero.
Testimoniando con semplicità la fraternità presbiterale: la testimonianza del “noi presbiterale” su territori omogenei –dove lo Spirito ci ha chiamato a spargere il seme della “gioia del Vangelo”– è l’anima, la conditio sine qua non, per accompagnare “senza indugio” il percorso in atto in diocesi finalizzato a ridisegnare il volto delle nuove “Comunità parrocchiali” e della “Chiesa nella città”, in definitiva di una ‘Chiesa tutta ministeriale’.
Condividendo i beni: la testimonianza del “Noi presbiterale” trova anche una visibile e concreta testimonianza nella condivisone dei beni personali e delle comunità da noi presiedute: i presbiteri e le comunità che per dono di Dio hanno beni in sovrabbondanza –gli uni per scelta personale e le comunità come scelta del Consiglio parrocchiale per gli Affari economici– sono caldamente invitate a partire da questa celebrazione a condividere i beni per “sovvenire alle necessità” delle parrocchie più povere sullo stesso territorio.
Vivendo con gioia la propria vocazione e il servizio dell’annuncio vocazionale: il “noi presbiterale” ci sostiene davanti al popolo di Dio in una testimonianza gioiosa del nostro essere presbiteri e presbiterio “un cuor solo e un’anima sola” (cf At 4, 32), bandendo ogni scoramento e pettegolezzo clericale. Questa è la condizione essenziale per l’annuncio vocazionale presso le giovani generazioni, verso le quali vi invito a donare tempo e cuore per un’inderogabile e urgente accompagnamento vocazionale nell’ascolto, accompagnamento spirituale e discernimento vocazionale, in particolare nel servizio personalizzato della direzione spirituale, come sottolineato nella mia “Lettera alla nostra Chiesa di Lucca” che vi sarà consegnata alla fine della celebrazione.
Concludendo, desidero riassumere quanto sin qui detto con le Parole di Gesù, il suo ‘testamento spirituale’: “Che tutti siano uno” (cf Gv 17, 21). E pensando con fede e gioia anche al prossimo futuro dell’amata Chiesa di Lucca, desidero formulare questo augurio con le parole del Card. Martini: “La Parola fa frutto a suo tempo. Bisogna avere fiducia, perché la Parola seminata va avanti da sola. Buttatela quindi con coraggio, non tenetevi indietro dicendo che il terreno non va e bisogna aspettare condizioni migliori, non crediate di essere voi i padroni della Parola. Voi spargetela e poi andate pure a dormire; non pensateci più, ed essa da sola porterà frutto”.