Alla messa crismale il saluto del vescovo Castellani

Appuntamento di fine mandato per Monsignor Italo Castellani. Si svolgerà oggi (17 aprile), infatti, il giorno di Mercoledì santo, nella cattedrale di San Martino, la messa crismale presieduta dal vescovo. È questa l’occasione solenne per Monsignor Castellani di parlare al suo presbiterio prima di lasciare il mandato episcopale a Lucca. Alla messa crismale infatti, come di consueto, si raccoglie l’intero clero dell’arcidiocesi di Lucca, per una messa in cui il vescovo, ogni anno, rinnova la comunione con i presbiteri secolari e religiosi. Si tratta di una messa caratterizzata da una particolare dimensione sacramentale poiché fortemente legata al sacramento dell’ordine sacerdotale e alla consacrazione degli Oli dei sacramenti. Un momento fondamentale per la vita della diocesi che oggi ha la possibilità di ascoltare l’omelia del vescovo Italo, il messaggio lasciato all’intera comunità prima di concludere la sua missione episcopale a Lucca.
L’omelia della messa crismale
Questo il testo integrale dell’omelia del vescovo nella messa di oggi
E’ per me una grande gioia – amati fratelli presbiteri, diaconi, consacrati e consacrate, comunità del seminario, fedeli laici e cresimandi qui convenuti – celebrare l’odierna messa crismale.
I comprensibili motivi di gioia, sia in me che in voi, sono tanti.
La gioia che personalmente ho nel cuore è data soprattutto dal fatto che il prossimo 15 giugno ricorrono 50 anni dalla mia ordinazione presbiterale. Mi sono detto: quale momento migliore, per far memoria e rendere grazie a Dio per tanto e immeritato dono, che la messa del Crisma alla quale simbolicamente è presente tutta la nostra chiesa?
Condivido volentieri questo rendimento di grazie a Dio, unico datore di ogni dono, in particolare insieme a voi presbiteri che celebrate quest’anno l’anniversario della vostra ordinazione presbiterale e che mi attorniate qui all’altare: don Andrea Quilici (25esimo di sacerdozio); monsignor Giovanni Scarabelli, monsignor Pierluigi D’Antraccoli, don Gianfranco Vitali, monsignor Agostino Banducci, don Massimo Lombardi, don Giovanni Grassi, padre Fabrizio Civili, Ofm Capp. (50esimo); don Giovanni Gemignani, don Pietro Biagi, don Carlo Celli, don Italo Bianchi, can. Vittorio Narducci (60esimo); monsignor Franco Teani, don Vieri Cattalini, don Soriano Gnesi (65esimo); monsignor Diomede Caselli, monsignor Ilario Bartolomei (70esimo), can monsignor Lelio Pollastrini (71esimo); can. Dante Della Latta (73esimo). Manifestiamo in questa comunione, nella maniera più alta, la presenza di Cristo nel suo servizio di salvezza al mondo. Splendente dell’unzione dello Spirito, Cristo ci assimila al suo unico sacerdozio perché continui nel tempo e nello spazio la Sua offerta al Padre perché il mondo creda e risplenda del suo amore.
Spiritualmente siamo uniti alle nostre sorelle le monache di clausura, agli eemiti e ai monaci certosini – che quotidianamente stanno con le mani alzate verso Dio in preghiera per la chiesa tutta – nonché ai nostri fratelli presbiteri fidei donum (don Massimo Lombardi e don Luigi Pieretti) ed al nostro fratello laico fidei donum Luca Bianucci a servizio della chiesa sorella del Brasile, che ci testimoniano l’universalità della chiesa.
La parola di Dio poc’anzi proclamata ci ha ricordato la verità che ha segnato tutti noi nel nostro battesimo – “Voi sarete chiamati sacerdoti del Signore” – ed anche la specifica identità e missione di noi presbiteri: “Ministri del nostro Dio sarete detti” (Is 61,6).
“Voi sarete chiamati sacerdoti del nostro Dio”
Carissimi fedeli laici, una “chiesa missionaria tutta ministeriale” – una delle grandi riscoperte del Vaticano II, come spesso ci ricorda anche papa Francesco – si fonda sul sacramento del nostro Battesimo e riguarda la chiamata battesimale di ogni discepolo del Signore a mettere a frutto il doni dello spirito per l’utilità comune (Cf 2 Cor 12, 7). Una chiesa siffatta non nasce dunque da un mandato puramente organizzativo per un servizio parrocchiale, ma dalla grazia del battesimo che nella vita quotidiana ci trasfigura gradualmente in Cristo stesso e ci manda ad essere Suoi testimoni nel nostro tempo: “Veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello spirito del Signore” (2 Cor 3,18).
La vera sfida urgente e non rinviabile che attende la chiesa di Lucca è proprio l’edificazione di una “comunità ministeriale e missionaria: fedeli laici consapevoli del proprio sacerdozio battesimale, disponibili in prima persona “senza se e senza ma” a giocare con fede e con amore la propria vita per la comunità parrocchiale in cui Dio ci ha chiamati a vivere, consapevoli che “ a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l’utilità comune” (1 Cor 12, 7), quindi “ciascuno ha un dono per il bene di tutti” (cf 1 Cor, 12, 4-11).
Rivolgo un accorato appello a voi fedeli laici perché – oltre in primis la risposta e fedeltà al dono di Dio che è la vostra vocazione personale – riscopriate e riassumiate con generosità e autentico spirito di servizio, in forza del comune sacerdozio battesimale, i vari ministeri laicali, istituiti o di fatto, per la vita e la crescita della comunità ecclesiale a partire dalla celebrazione eucaristica domenicale, dove la comunità si manifesta per quello che è: ministri a servizio dell’animazione liturgica e ministri straordinari della comunione; educatori alla fede delle giovani generazioni, animatori dei gruppi del Vangelo nelle famiglie e dei centri di ascolto Caritas; ministri della misericordia e della consolazione a servizio di quanti sono provati dalla sofferenza; membri corresponsabili delle sfide della nuova evangelizzazione nel consiglio pastorale parrocchiale e della amministrazione dei beni materiali della comunità come membri del consiglio parrocchiale per gli affari economici.
In questi ultimi anni sono apparsi nuovi ministeri di fatto: gli “animatori di comunità” nelle frazioni più piccole e lontane sparse sul territorio – vere periferie della chiesa – ove non c’è più la presenza stabile del presbitero che, come piccola “equipe” riconosciuta dal presbitero e dalla comunità, presiedono e animano la preghiera nell’ascolto della parola di Dio, sono vicini agli anziani soli e agli ammalati, curano l’edificio chiesa e si responsabilizzano dell’amministrazione dei beni della comunità stessa.
Su questi orizzonti conciliari di “chiesa tutta ministeriale” la nostra diocesi non ha avuto la forza di scommetterci fino in fondo, forse preoccupati di perdere un certo prestigio clericale o per l’indisponibilità degli stessi fedeli laici che si dicono impreparati e che a questo vanno ovviamente formati.
Una chiesa comunità missionaria, sensibile alla fantasia dello Spirito, è poi chiamata ad inventare nuovi “ministeri in uscita” o “ministeri della soglia” in risposta ai nuovi bisogni emergenti: le nuove circostanze in cui vive la famiglia, la condizione dei giovani, le nuove povertà e i nuovi poveri, l’accoglienza degli immigrati e rifugiati, l’incontro con le nuove culture e le diverse religioni del mondo, le vicende culturali dei popoli e delle minoranze, le sofferenze e le ansie della nostra civiltà tecnologica, le tragedie individuali e sociali che ci consegna la cronaca quotidiana, i fermenti nuovi e i segni di speranza che, ad un attento discernimento comunitario illuminato dalla Parola di Dio, non mancano. Su questo “spazio inesplorato” di nuova evangelizzazione i Diaconi Permanenti -se non vogliono essere insignificanti nella vita delle nostre comunità- possono trovare la loro specifica missione e rigenerare costantemente la loro vocazione.
“Ministri del nostro Dio siate detti”
Carissimi presbiteri, la sfida che abbiamo di fronte è quella di partecipare con tutto il popolo di Dio che ci è stato affidato – in quella piccola porzione di chiesa che è la comunità parrocchiale che siete stati chiamati a servire – mettendoci fede,anima, cuore, intelligenza “senza indugio” (Lc 24,33) alla edificazione di una “comunità tutta ministeriale per la missione”.
Veniamo da un tempo in cui bastava accogliere chi veniva spontaneamente in chiesa, ora è il tempo di una chiesa capace di annunciare il Vangelo oltre la soglia. Educare le nostre comunità a questo è la novità in cui esercitare il nostro ministero di pastori. Ed ecco come si concretizza. Il pastore: – cammina davanti alle pecore: indica il cammino, la via verso luoghi vitali, pascoli erbosi e acque non inquinate,che fa sotto la guida della “parola di Dio la lampada ai suoi passi” (Sal 18 ), nella fedeltà al Magistero. Cammina con il gregge: cammina con tutti, accogliendo tutti, non solo i fedeli ma quanti si rivolgeranno a lui, busseranno alla porta del suo cuore; “condividendone gioie e speranze, difficoltà e sofferenze, come fratello e amico, ma ancora di più come padre, capace di ascoltare, comprendere, aiutare, orientare” (cf Papa Francesco, Discorso ai nuovi vescovi, 19 novembre 2013). Ascoltando e accogliendo di buon animo le diversità antropologiche, culturali, religiose; avendo cura costantemente di rafforzare l’unità del gregge. Cammina dietro il gregge: attento che nessuno rimanga indietro; si prende particolare cura delle pecore ferite, di quelle stanche, e se le “carica sulle spalle” (Lc 15,5). Questo significa scendere e andare verso “tutte quelle periferie esistenziali dove c’è sofferenza, solitudine, degrado umano” (Papa Francesco, idem). A me piace molto, in questi anni ve ne sarete accorti, tale visione e testimonianza del “presbitero pastore”. Ma, per essere pastore, il presbitero è chiamato a vivere la condizione di discepolo del Signore: si diventa “pastori” solo e soltanto se ci facciamo in tutto discepoli di Gesù “Buon pastore” (Gv 10,11) e ci sottoponiamo alla “scuola dell’ascolto della sua parola”, personalmente e soprattutto come fraternità presbiterale.
Oggi più che mai i presbiteri possono svolgere il loro mistero per quello che vivono insieme, più che per quello che dicono o fanno. Siamo chiamati a fare, a vivere prima di tutto noi quello che chiediamo al popolo di Dio. Se vivremo quello che predichiamo, allora il gregge ci seguirà perché riconoscerà nella nostra vita la voce rassicurante del “Pastore supremo” (Gv 10, 13); la nostra gente si fiderà di noi, ci sentirà amici e fratelli nelle vicende umane, quindi capaci di fare breccia nelle loro coscienze e di consegnare efficacemente la parola che salva.
Carissimi presbiteri, mentre ci riconosciamo nella metafora del pastore testimoniataci da Gesù, tornando nelle nostre comunità chiediamo a Dio la grazia di guardarle, servirle, amarle con questo spirito e di coinvolgerle nella irrinviabile edificazione di una “chiesa missionaria tutta ministeriale”: se il nostro pensare, agire, amare sarà autentico tutto questo avverrà, con i tempi che solo Dio conosce, per traboccamento d’amore e germinazione spontanea.
Liberiamoci dunque una volta per sempre da un habitus mentale, come una veste stretta che la storia ci ha cucito addosso e tra l’altro non cela facciamo più a portare, forse provvidenzialmente, del “fare tutto come sempre, tutto noi e da noi”; a volte presi pure da un senso di colpa sentendoci responsabili come di un arretramento, condizionati anche dalla nostra gente che ci sta col fiato sul collo con il “si è fatto sempre così”.
Restituiamo dunque ai fedeli laici i servizi e ministeri ecclesiali che storicamente,ed ancor oggi, sono assunti e impropriamente svolti dal presbitero stesso appannando il nostro specifico ministero. Come scrivevo alla diocesi nelle ultime “linee pastorali” è ora di agire “senza indugio”. Questa spinta missionaria e questa ministerialità diffusa del popolo di Dio non è una “cosa in più da fare”, ma il nostro specifico a cui prepararci e a cui dare in preghiera del tempo prezioso, di qualità, mettendoci a servizio del discernimento sapienziale dei carismi dei fratelli in vista della loro reale valorizzazione nel servizio alla comunità e all’umanità.
Carissimi presbiteri, mettete dunque una grande cura nel discernimento dei carismi dei fedeli laici, per la loro formazione al senso della fede e al servizio nella comunità parrocchiale.
In questo periodo di congedo dalla nostra comunità – anche di quella civile a cui va la mia gratitudine – sono stato ringraziato per aver fatto questo o quello. Però di fatto – forse era implicito – non ho sentito ringraziamenti come avrei desiderato, se non in qualche occasione, per aver cercato di “conquistarvi un po’ di più a Cristo” (Fil 3, 12) e di avervi annunciato essenzialmente Gesù Cristo Vangelo di Dio, come testimonia l’apostolo Paolo: “Affezionati a voi, avremmo desiderato trasmettervi non solo il vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari” (1 Tes 2,8). Sì – e forse l’ho rischiato io stesso – rischiamo di darci tanto da fare e con l’andare del tempo quelle tante cose che facciamo diventano più importanti di quell’unica alla quale Cristo ci chiama e ci manda: conquistare più gente possibile a Lui; per me vescovo, conquistare voi stessi a Lui.
Carissimi tutti, vi accompagno e vi assicuro che, nel momento in cui sto passando il testimone all’arcivescovo Paolo, sarò per lui e per voi, per la nostra amata chiesa di Lucca, il vostro piccolissimo “Mosè in preghiera sul monte” (cf Es 24, 12), più che mai un “vescovo intercessore” per il suo popolo.
La ‘carriera’ del vescovo Italo
Italo Castellani è stato il 144esimo arcivescovo della nostra città e concluderà la sua missione nella diocesi il 12 maggio, quando Monsignor Giulietti sarà ufficialmente arcivescovo di Lucca. È stato un vescovo “tra la gente”, vivendo il suo ministero ispirandosi allo stesso stile che aveva il maestro. Si è fatto accanto alle persone malate vistandole con assiduità anche all’interno degli ospedali e delle case di cura, soffermandosi sempre a conoscere nel profondo le situazioni più delicate. Ha messo tra le sue priorità i giovani e la loro formazione: gli studenti e gli insegnanti hanno imparato a conoscere la sua figura negli incontri fatti nelle scuole o per strada quando intercettava una scolaresca.
Ha manifestato grande attenzione alla crescente povertà e si è fatto vicino a coloro che hanno difficoltà economiche attraverso la Caritas diocesana, le varie Caritas parrocchiali e le associazioni, attivando progetti e iniziative e rendendosi disponibile all’ascolto e al dialogo. Si è fatto “tra la gente” anche in momenti conviviali come le sagre paesane in grandi e piccoli Comuni ed è stato il primo vescovo di Lucca a partecipare alla sfilata di Carnevale di Viareggio.
Ha voluto anche entrare nelle case di tutti i cittadini attraverso la trasmissione Parla il vescovo, in onda ogni sabato sera su Noi Tv: attraverso una conversazione di pochi minuti ha voluto così offrire a quante più persone poteva raggiungere uno sguardo sereno sui più svariati aspetti della vita. Con i giornalisti ha intrattenuto un rapporto schietto e sincero e ha iniziato a celebrare con loro, invitandoli nella sede della Curia, il giorno dedicato a San Francesco Da Sales, patrono proprio dei giornalisti. Durante il suo ministero poi è stata organizzata, diventando poi un appuntamento fisso, la rassegna Incontri in San Martino per approfondire ogni anno diversi aspetti che riguardano la vita di tutti.
Ha voluto poi dedicare attenzione agli animali iniziando ad officiare la benedizione a loro dedicata nella ricorrenza di Sant’Antonio Abate. Già dal primo documento del suo episcopato per gli anni 2005-2006 si intravedono le linee guida che si sono rivelate poi una costante: il suo incessante richiamo a farsi testimoni del Vangelo nella società. L’incontro è stato nel tempo un altro punto centrale, sia con la Parola di Dio che con tutti i componenti della comunità. Anche la famiglia è stata al centro soprattutto nell’attenzione al rapporto tra le generazioni. Inoltre, la centralità dell’Eucarestia come culmine e fonte della vita cristiana e punto di orientamento vitale per tutta la comunità, è stato uno dei punti centrali del magistero di Italo.
E poi la strage di Viareggio nel 2009 è stato un momento tragico per la comunità. Da subito il vescovo Castellani si recò sul luogo del disastro e da quel giorno si attivò perché si potesse offrire un conforto ai superstiti, consolazione alle famiglie delle vittime e si cercasse in ogni modo che la giustizia potesse identificare le responsabilità.
Italo Castellani è nato a Cortona il 1 luglio 1943 e ha maturato la decisione di entrare in seminario a 18 anni. Fu ordinato presbitero nel 1969 e dopo il curriculum seminariale ha completato gli studi conseguendo la licenza in teologia alla Pontificia università lateranense e la laurea in Scienza sociali all’Università di Trento. Nel 1973 fu nominato parroco di Fraticciola, una piccola parrocchia della Valdichiana mentre ad aprile del 1997 viene eletto vescovo di Faenza-Modigilana e consacrato a giugno dello stesso anno. Il 31 maggio 2003 il Santo Padre lo ha nominato arcivescovo ausiliario di monsignor Bruno Tommasi. È diventato arcivescovo titolare il 22 gennaio 2005.