S.Concordio, sale la protesta: “No alla piazza coperta”






“No alla nuova costruzione, sì al recupero del porto di Lucca e al restauro del Chiesone”. È questa la battaglia portata avanti dalle associazioni e dai cittadini di San Concordio, contrari al progetto della piazza coperta all’ex area Gesam in via Consani. Un secco no che porta con sé motivi urbanistici, storici-culturali, architettonici, finanziari e ambientali. Proprio lo scorso sabato (5 ottobre), si era svolta la protesta “dimostrativa” con i palloncini del comitato capitanato dalla combattiva Clara Mei. Una lotta partita 10 anni fa con i cittadini che fermarono il progetto dello Steccone. Una protesta tornata attuale: gli abitanti, infatti, hanno rispolverato i vecchi striscioni con scritto basta cemento e la petizione aspetta risposta.
Una battaglia portata avanti da diverse associazioni del territorio, unite sul tema e sulla proposta di un progetto alternativo. Le ragioni dell’opposizione sono state illustrate questa mattina (7 ottobre) con la presenza dell’associazione Amici del Porto della Formica con il presidente Clara Mei, il consiglio direttivo e alcuni residenti; il presidente Glauco Borella per Italia Nostra; Legambiente con il presidente Michele Urbano; la Rete Toscana dei comitati in difesa del territorio il presidente Eros Tetti ei Custodi della Città con il presidente Francesco Petrini.
Ecco le ragioni del no al progetto da parte dei comitati: “Il primo motivo è di natura urbanistica. Ci sono troppe costruzioni a San Concordio. Negli ultimi decenni, con una forte accelerazione dall’inizio degli anni ’90, questo quartiere è stato stravolto dalla eccessiva cementificazione, si è costruito ovunque, basta confrontare le immagini storiche di Google Earth, tutti i buchi, tutti quelli che erano gli spazi inedificati sono stati riempiti. Si è costruito ovunque (si a est, guardate la zona di via Squaglia, sia a ovest, la zona di via Francesconi o in fondo a via Formica e in viale Europa), perfino nei giardini delle case. Era rimasta solo l’area Gesam, uno spazio inedificato al centro del quartiere. Una posizione strategica che racchiude il sito del Porto, il Chiesone e l’acqua del canale Formica. Tutto questo rappresenta moltissimo al storia e l’identità del quartiere. Per questo il progetto dello Steccone, 10 anni fa, fu osteggiato e bloccato: anche allora furono i cittadini a fermarlo. Anche allora furono i cittadini a far venire l’Arpat, a chiamare la Soprintendenza, a raccogliere be, 1350 firme in una petizione popolare di cui quella presentata a luglio (e a cui ancora non è stato risposto) è la fotocopia, perché a distanza di 10 anni si chiedono le stesse cose: non fare la nuova costruzione, recuperare il Porto e restaurare il Chiesone. Oggi il Comune, anche sulla base di quel precedente, avrebbe dovuto prendere le distanze invece di portare a compimento il progetto devastante che già 10 anni fa era stato bloccato e archiviato. La chiamano piazza coperta, ora hanno provato a cambiarle il nome nel ridicolo Officine del Porto, ma il vero nome del progetto che ha concorso per i quartieri social è ‘Riqualificazione di porzione dell’area Gesam consistente nel completamento del parcheggio interrato e nella realizzazione di piazza pubblica coperta. Un nome che tradisce il vero scopo di questa costruzione: finire il piano iniziato 10 anni fa da un’altra amministrazione, cui allora l’attuale maggioranza era contraria, tanto da farne un punto esplicito e qualificante del programma elettorale del 2012, sulla base del quale ha raccolto tanti voti a San Concordio. La continuità di questo progetto con lo Steccone è totale, anche nelle modalità: era un progetto blindato allora e lo è anche oggi, un intervento diretto che non è mai stato presentato alla popolazione e su cui l’amministrazione ha rifiutato ogni confronto anche perché i progetti dei quartieri social sarebbero ‘immodificabili’. Che bisogna smettere di fare nuove costruzioni lo dice anche il piano strutturale. Il parcheggio, oltretutto, verrà costruito nel posto sbagliato e che continuerà a dare problematiche. Serviranno 2500 tonnellate di cemento per impedirne il galleggiamento per la sottospinta della falda. Dall’amministrazione arrivano solo scuse, dietro le quali si nasconde un’incapacità di utilizzare e gestire i fondi a vantaggio della città. Magari c’è qualcosa che non sappiamo, qualcosa per la quale bisogna a tutti i costi finire lo scantinato dello Steccone”.
“Il secondo è un motivo storico-culturale. Siamo sul sito del porto fluviale di Lucca, risalente ad epoca romana, rimasto in funzione fino al 1865, da cui per oltre 2000 anni è passata la storia della città. Il porto ha collegato per via fluviale Lucca ai porti di Livorno e Pisa, attraverso il Formica, l’Ozzeri, il canale Imperiale e l’Arno. Con questo sistema dei canali ancora oggi è possibile raggiungere Livorno. Le strutture murarie della darsena, le bitte ove venivano ormeggiate le barche, le 5 fornaci affiancate del gasometro ottocentesco, l’insediamento etrusco del settimo secolo avanti Cristo, il più antico ritrovato vicino alla città. Una incredibile sottovalutazione di queste emergenze archeologiche, portata alla luce dagli archeologhi nel 2009-2010 e messe sotto tutela dalla Soprintendenza, da parte del Comune che non ha mai consultato un archeologo trai progettisti. Pare che non abbia mai chiesto un parere alla Soprintendenza. Questi reperti, invece, hanno grande importanza scientifica, come risulta dalle relazioni della Soprintendenza e dalle tesi di laurea che vi sono state fatte. Le emergenze archeologiche che si trovano all’interno dell’area di intervento non sono mai state prese in considerazione, anzi: le aree verranno interamente e massicciamente ricoperte con strutture di cemento. Chiediamo all’amministrazione di riprogettare gli spazi ove si trovano le due aree archeologiche, in modo da non danneggiarle e garantire la conservazione e la valorizzazione dei reperti. Invitiamo a vedere quanto siano interessanti e unici i reperti del gasometro ottocentesco, possenti strutture racchiudono 5 fornaci con mattoni che provengono dall’Inghilterra”.
“Il terzo motivo è architettonico. Questa costruzione fuorimisura, con la copertura volutamente monumentale, sarà alta 16 metri e sarà visibile dalle Mura e si troverà in mezzo a due edifici vincolati come archeologia industriale: il Chiesone e la Filanda Viani. Sono gli unici due classificati come beni architettonici di San Concordio, i cui vincoli furono richiesti dai residenti per salvarli dalla demolizione totale”.
“L’ultimo, ma non meno importante è il motivo finanziario. Sei milioni di fondi pubblici per fare cosa? Un parcheggio interrato di 50 posti auto e due stanze con bar per le associazioni. Uno spazio esiguo, che serve a poco, che sarebbe stato molto più opportuno ricavare nel Chiesone o nei tanti capannoni dismessi che ci sono a San Concordio. La piazza, uno spazio enorme sotto le enorme tettoia (Pensilone), è raggiungibile solo con rampe e scale, perché si erige su uno zoccolo alto 1,40 meri sopra il livello del piano di campagna. Abbiamo fatto due conti: questi posti auto a costare sui 10 milioni di euro se consideriamo anche quelli già spesi negli scorsi anni. Sono soldi dello stato, ma graveranno sul bilancio comunale per gli anni a venire per le spese di manutenzione e di gestione del parcheggio interrato che sono altissime”.
Le associazioni chiedono al Comune di stoppare il progetto e avviare un percorso partecipativo con i cittadini. Proprio su questo tema, domani (8 ottobre) sarà discussa e posta ai voti la mozione consegnata dalla associazione nel corso del consiglio comunale del 31 luglio (in allegato il testo della mozione).