Lucca, prima pietra d’inciampo per le vittime del nazifascismo

9 gennaio 2020 | 11:24
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Lucca, prima pietra d’inciampo per le vittime del nazifascismo
Lucca, prima pietra d’inciampo per le vittime del nazifascismo
Lucca, prima pietra d’inciampo per le vittime del nazifascismo

Una “soglia” davanti alla Pia Casa per ricordare le vittime del nazifascismo

Una soglia d’inciampo all’ingresso della Pia Casa – la prima nel suo genere in Italia tanto da meritare un servizio su Rai Uno – per continuare ad alimentare la memoria. Ad apporla – stamani (9 gennaio) – è stato l’artista Gunter Demning, che è partito proprio da Lucca per muoversi lungo i dolorosi passi della memoria, quelli che raccontano le ferite inferte ad un’intera generazione dal secondo conflitto mondiale.

Non una pietra dunque, come solitamente si usa, ma una soglia, quasi a voler amplificare la portata di un messaggio che, stamani, ha visto come pubblico interessato alcune classi dell’Itc Carrara. Insieme a Demning erano presenti anche il sindaco Alessandro Tambellini, l’assessora Ilaria Vietina, il presidente del Consiglio comunale Francesco Battistini, il prefetto Francesco Esposito, il questore Maurizio Dalle Mura ed alcuni consiglieri di maggioranza.

La Pia Casa fu un crocevia emblema di sofferenza e resilienza durante la seconda guerra mondiale: qui, nell’agosto del 1944, vennero radunati molti italiani rastrellati dai nazisti, come quel Divo Stagi che oggi, all’età di 96 anni, ricorda ancora nitidamente l’orrore delle fucilazioni e la sua fuga disperata, in cerca della libertà.

La soglia incastonata all’ingresso dell’edificio, del resto recita: “Pia Casa di beneficienza, 1944. Strappati alle case furono qui concentrati dai nazisti, complici i fascisti, migliaia di uomini poi costretti al lavoro coatto nel reich. Fatica, fame, malattia, sofferenze. Molti non tornarono”.

Per il sindaco Tambellini “questo è un luogo di alta simbolicità per tutti noi. Vogliamo ricordare gli avvenimenti di quel periodo, anche perché oggi spesso si compiono operazioni di svalutazione di quel passato. Si vuol dare ad intendere che non è stato poi così tutto tremendo – ricorda – ma la ricostruzione storica ci costringe a ripensare a ciò che è stato in termini precisi. La guerra è stata la più grande tragedia, la peggiore strage di italiani che si ricordi. Tra i tantissimi caduti, non possiamo non ricordare la figura di Don Aldo Mei”.

Il primo cittadino, rivolgendosi agli studenti, chiede di “mantenere alti i principi fondativi della nostra vita, per fare in modo che quello che è stato non si ripeta, poiché è costato troppa sofferenza. E non dimentichiamo – aggiunge – che i nazisti non fecero tutto questo da soli, ma con la complicità dei fascisti. L’inciampo, quindi, diventa un monito evangelico: ci fa barcollare e ci costringe a fermarci un attimo, per riflettere”.

L’assessora Vietina ringrazia Gunter Demning “per il suo lavoro di arte legata alla memoria, che permette a tutti noi di avere una memoria diffusa nelle strade delle città italiane, così come in altri 17 paesi europei. Le pietre di inciampo – ricorda – hanno ormai superato le 70mila unità da quando è iniziato il suo lavoro, nel 1993”.

Toccante il ricordo di Divo Stagi, sopravvissuto per miracolo. Gli occhi lucidi e la voce rotta, rammenta ancora con dovizia di particolari quello che successe il 20 agosto del 1944. “Avevo soltanto vent’anni. Ci vennero a prendere nelle nostre case e ci portarono qui, eravamo circa in quarantacinque, tra i venti e i quarant’anni. Io rimasi solo due giorni, ma furono abbastanza per assistere all’orrore. Ci contavano in gruppi di cinque e chi veniva chiamato faceva un passo avanti: gli ultimi due venivano fucilati in questo stesso cortile (indica il chiostro della Pia Casa, ndr). Eravamo considerati renitenti di leva, perché ci rifiutavamo di combattere per la sedicente repubblica di Salò, a fianco dei tedeschi, contro gli italiani”.

Stagi ricorda come, uno tra i pochissimi, riuscì a salvarsi dalla sorte che aveva in serbo per lui deportazione, lavoro forzato e fucilazione. “La zona della stazione era appena stata bombardata – affonda la mente nelle tasche della memoria – e ci obbligarono ad andare a tappare le buche causate dagli ordigni. Ad un certo punto vidi un buco nella siepe di biancospino che costeggiava la stazione: mi ci infilai, anche se faceva malissimo. Pungendomi ovunque riuscii, quasi svenuto, ad andare dall’altra parte. Da lì scappai verso casa, occupata in parte dai nazisti: passando dal retro bussai con un segnale per farmi riconoscere. Entrai, mi curarono e lavarono, poi scappai sui monti pisani”. Basta, gli viene chiesto, una soglia d’inciampo per mettersi in pari con il passato? “Sicuramente – osserva – è un modo per tramandare ai posteri un messaggio”.

In seguito alla posa della soglia gli studenti hanno preso parte a Per dolorose strade, un seminario nell’auditorium della Pia Casa per approfondire le vicende dei rastrellati nella provincia di Lucca e del preside Ernesto Guidi, che per non aver aderito alla repubblica sociale italiana venne costretto al lavoro coatto. Ad intervenire, per ricordare questa importante porzione di memoria, sono stati Gianluca Fulvetti (Università di Pisa), Alda Fratello e Silvia Q. Angelini.