Insegnanti precari, la professoressa Stefani: “Un posto fisso se lo meritano davvero”

Una lettera dopo le polemiche degli ultimi giorni sull’ipotesi di concorso ‘sanatoria’
Riceviamo e volentieri pubblichiamo una lettera-riflessione della professoressa Michela Stefani, insegnante di ruolo al polo tecnologico Carrara Nottolini Busdraghi di Lucca. Il tema è quello degli insegnanti precari.
“Quando sono entrata di ruolo nel 2011 – ricorda la professoressa Stefani – i miei colleghi mi regalarono un libro. Lavoravo in quella scuola già da alcuni anni come insegnante precaria, laureata in lettere, insegnavo sostegno. Il libro era uscito da poco, pubblicato dalla Rizzoli, di Giusi Marchetta. Il titolo campeggiava sulla copertina nera a caratteri cubitali: L’iguana non vuole. Un romanzo avvincente che divorai in pochi giorni, anche e soprattutto come segno di riconoscimento nei confronti di chi con affetto e gratitudine me lo aveva regalato. Emma, 28 anni, lascia Napoli per lavorare in una classe a Torino. “Non avrebbe voluto: le mancano una città e un amore di nome Gianni. Anziché insegnare latino si trova a seguire il caso di Andrea, un ragazzo autistico che reagisce con violenza alla cattiveria di alcuni professori. E intorno a lei vede solo la rassegnazione di chi accetta contratti impossibili o di chi, arreso, scappa all’estero.
“Con stupore – prosegue la lettera – Emma si renderà conto che è proprio il suo ragazzino pieno di problemi a insegnarle che non bisogna più accettare i ricatti di questo paese. Contro le crisi di Andrea, la famiglia le suggerisce di ricorrere all’iguana, suo immaginario totem personale: se l’iguana non vuole, quella cosa non si fa. Evocare l’animale serve a renderlo innocuo fino a quando, però, il ragazzo non si trattiene più e sfoga la sua rabbia. Così, a fine anno, quando su tutti si abbatterà una serie di ingiustizie pubbliche e personali, Emma maturerà l’idea che un dio in forma d’iguana sarebbe d’accordo nel punire subito i colpevoli di un’Italia che non funziona più. Lei è pronta a seguirlo”.
“Ce li hanno dipinti così, i professori precari di oggi: arrendevoli, menefreghisti e incompetenti. Invece sono bravi e arrabbiati. Finalmente un romanzo ce lo ha raccontato senza indulgenza o pregiudizi, per mostrarci come, in reazione alle ingiustizie di una scuola pubblica che sta cadendo a pezzi, scoppieranno – è solo questione di tempo – l’indignazione e la protesta. È tornato alla mia mente questo romanzo, dopo aver letto proprio in questi giorni una lettera scritta da alcuni genitori e pubblicata su Orizzonte scuola. Una lettera traboccante di rabbia nei confronti dei miei colleghi precari, proprio nel momento in cui si paventava la possibilità di un concorso “sanatoria” per docenti non abilitati, ritenuti, così riportano le parole dei genitori: del tutto incompetenti. All’interno di quelle righe emerge con rabbia la preoccupazione di “regalare” il posto fisso a docenti anziani e inesperti a discapito di giovani preparati, di cui la scuola avrebbe “davvero avuto bisogno”. E tutto questo senza minimamente considerare la fatica che ogni giorno i miei colleghi “precari” portano avanti legata alla preoccupazione di un futuro incerto, nella quasi totale certezza di non poter rivedere l’anno successivo le loro classi, i loro ragazzi con i quali lavorano già da diversi anni con amore e dedizione”.
“Sì, cari genitori – die la professoressa Stefani – perché sono questi i miei colleghi precari, non si risparmiano e lavorano al nostro fianco con passione, costanza, devozione anche se il contratto scade a giugno alla fine dell’anno scolastico. Sono bravi e preparati, e poco importa se fra loro (e qui cito le vostre parole), ci sono insegnanti con un pessima pronuncia in inglese, e totalmente inadeguati a ricoprire il ruolo. Ma perché ovunque trovate medici perfetti, impiegati impeccabili, operai e commesse ineccepibili? E soprattutto chi è che vi attribuisce il diritto di giudicare? Qui nessuno regala niente a nessuno, e spesso quello che ci troviamo di fronte sono scolaresche indisciplinate difficili se non impossibili da gestire”.
“L’iguana non vuole è un mantra che Andrea ripete a se stesso tutte le volte che la situazione gli sfugge di mano e questa frase sarà l’unico strumento che aiuterà Emma a vincere numerose battaglie – dice ancora la professoressa – L’autrice attraverso questo romanzo ci ricorda che vale la pena di lottare e ricominciare questo lavoro ogni anno con passione, perché malgrado le graduatorie, le leggi non scritte, le ingiustizie e le sconfitte, in fondo “l’anno prossimo andrà meglio”. Sebbene le classi talvolta siano difficili, gli studenti ti logorino e la vita degli insegnanti sia spesso messa da parte, ogni docente nel suo cuore sa che la scuola è dentro di sé per quanto dolorosa, cupa, difficile, egli si ripeterà ogni mattina: “il mio posto è questo”. Allora forse sono quest’amore e questa passione che rendono la scuola un posto speciale dove continuare ogni anno ad amare e sperare. La scuola è qualcosa in cui, nonostante tutte le contraddizioni, continuare a credere”.
“Quante fatiche dentro quelle scarpe – conclude – quanti chilometri, ma quanto amore e quanta passione. Ricordo così i miei anni di precariato. Adesso sono di ruolo, lavoro nella mia città ed insegno la mia materia. Ringrazio il “caso”, la fortuna, il fato per aver trascorso così tanti anni nell’insegnamento del sostegno, perché ne sono uscita più forte, perché ne sono uscita migliore con la certezza che i miei colleghi precari mi ritroveranno sempre al loro fianco a combattere con loro, perché loro un posto fisso se lo meritano davvero. Perché senza la fatica e l’amore alcune lotte non si vincono. E io quella fatica gliela leggo negli occhi ogni giorno” .