Urbanistica, l’architetto Carignani: “Non c’è progetto valido che non approfondisca l’analisi storica”

Prosegue il dibattito sul futuro della città: “Anche Lucca è ormai area metropolitana, si allarghi lo sguardo oltre il disegno rinascimentale”
Futuro urbanistico della città, dopo la presa di posizione di Pietro Carlo Pellegrini interviene l’architetto Giovanni Carignani.
“Da tempo ricorre un dibattito cittadino – esordisce – talvolta proposto dalla amministrazione comunale talvolta nato libero per le iniziative delle associazioni cittadine, per gli appassionati delle cose di Lucca della sua urbanistica come nel mio caso e nel caso del collega Pellegrini intervistato da Lucca in Diretta. Ringrazio Pellegrini che stimola questo dibattito ancora alcuni giorni fa nel ricordare la frattura subita dall’acquedotto che porta l’acqua salubre delle colline di Guamo alla città murata, frattura della struttura subita negli anni Sessanta per realizzare il tracciato autostradale. Ferite provocate da una poco sensibile progettualità sia architettonica sia ingegneristica, mossa probabilmente troppo velocemente dagli interessi politici, ed economici”.
“Si avverte – è la posizione dell’architetto – la sana preoccupazione degli amministratori comunali per afferrare un’immagine anche preliminare, abbozzata di un possibile assetto futuro della città. Sono stati organizzati consigli comunali straordinari e altri lo sono già in programma su questi temi e questo è certamente il corretto percorso che la stessa legge urbanistica indica per giungere ad una corretta pianificazione territoriale, partecipata. La città và ascoltata. Per facilitare l’ascolto a mio modo di vedere occorre riuscire a calarsi nello stato d’animo corretto, modesto ed umile. Se una voce grida ci deve essere un motivo e molte sono le grida che si sollevano causate dalle problematiche relative ad una urbanistica poco efficiente che ancora tarda a rendere giustizia ad una città importante come Lucca è stata nel suo ruolo di capitale di repubblica”.
“La cosa più evidente, il maggior disagio, le prime grida vengono sollevate a causa delle problematiche relative alla incompleta viabilità sia urbana che extraurbana – dice Carignani – Non pensiamo che parlare di strade sia solo un problema strutturale, le strade per un tessuto urbano rappresentano gli elementi vitali paragonabili al sistema nevoso e circolatorio del corpo umano. Una strada che non scorre può rappresentare un rischio grave, una seria minaccia, per la salute del sistema. Lucca si porta dietro questi problemi di viabilità ancora non risolti da circa 50 anni. Era forse in quegli anni più facile leggere e tracciare il naturale disegno di crescita urbana, ciò allora non è stato fatto ed oggi il compito si presenta più difficile ma non impossibile”.
“Anche per Lucca è maturato il tempo per introdurre il termine di area metropolitana – propone l’architetto – La città non è più semplicemente il centro storico contornato dalla sua periferia, oggi Lucca risulta estesa anche senza un preciso disegno urbanistico predeterminato, di fatto come ha potuto, lungo quei pochi tracciati stradali antichi, est-ovest e nord-sud, allargandosi nell’urbanizzazione secondo principi casuali e occasionali continuando a gravitare e pendolarizzare comunque sulla città storica. Dal dopo guerra ad oggi non si è pensato a determinare altra polarità sul territorio in grado di contrapporsi alla città storica e con essa in dialogo e/o in competizione costruire un nuovo moderno sistema urbano che consentisse e non reprimesse le naturali pulsioni di sviluppo. Occorre allargare lo sguardo oltre l’amato disegno rinascimentale degli spalti cinquecenteschi, occorre individuare un nuovo disegno ad una scala maggiore”.
“In particolare noi lucchesi ci lasciamo incantare della arborata cortina muraria pensando che quella è la città. Occorre una svolta – dice ancora l’architetto – occorre allontanarsi e porsi sulle colline per compiere lo sforzo di comprendere qual è il disegno che ha assunto oggi l’area metropolitana formatasi da sola nel corso di circa duecento anni e più di storia. Elementi necessari affinché esista una vera e propria area metropolitana sono, in particolare, la presenza di una rete di trasporti che colleghi tra loro i diversi ambiti urbani e la presenza di forti interazioni economico-sociali all’interno dell’area stessa. Da qui si capisce quanto importante sia la consapevolezza di determinare, facilitare o intuire il disegno urbano che quella cosa viva ha assunto o stà assumendo”.
“E’ noto alla disciplina urbanistica che quanto più realizziamo qualità ambientali quanto più migliora la qualità sociale – ricorda il progfssionista – Vorrei poter rappresentare alcuni esempi pratici che possano consentire di intravedere il disegno possibile di crescita. Tanti sono gli elementi che concorrono alla determinazione ed articolazione dello spazio urbano. Primo fra tutti il territorio naturale in cui quella realtà è riuscita a costruirsi e a crescere. Il territorio di Lucca si rappresenta come un anfiteatro di colline che si stringe ad imbuto in direzione ovest verso le bocche di Riprafatta. Le colline racchiudono la fertile valle dove anticamente una fitta rete idraulica fatta di bracci fluviali e poi di canali naturali e artificiali, ha consentito nei secoli la vita della comunità e la sua naturale difesa. La città nasce su queste acque e per secoli si lavora per la corretta gestione di questa importante risorsa. La storia ci ricorda che vescovi, agrimensori, architetti, ingegneri, principi e principesse, imperatori e popolo agricoltore alternativamente si sono operosamente occupati della gestione delle acque del Serchio. Già in epoca romana si comprende la necessità di mantenere un quotidiano vigilare sui percorsi idraulici a garanzia principalmente di disporre sempre di terreni coltivabili, di evitare o contenere gravi inondazioni, di utilizzate i percorsi d’acqua per gli scambi commerciali ed per il lavoro ordinario. Nei secoli successivi il tracciato settentrionale del fiume viene modificato come noto per evitare le esondazioni sulla città murata e ahimè, con passare del tempo si è perso il contatto diretto col fiume quasi un animale dimenticato assopito ai piedi delle colline. La città deve tornare al suo fiume lo deve seguire dialogando con lui incessantemente custodirne il percorso di attraversamento del territorio politico-amministrativo. Il fiume è elemento vitale, il fiume è natura forte fresca continua incessante gratuita, come incessante la volontà del creato di riproporsi costantemente. Non basta aver posto un retino sugli elaborati di piano individuando un’area detta parco fluviale. È come dire qui c’è il museo del Serchio, c’era una volta un fiume”.
“La città storica con le sue infrastrutture deve andare al fiume e dal fiume tornare alla città, arricchita – dice Carignani – rinvigorita, un tema di cucito di tessitura di funzioni nel rispetto e nella sensibilità che il fiume, come fosse un infante, quale elemento divino del territorio, richiede. Seguendo il suo percorso prima che fugga dalle antiche bocche di Riprafatta per diventar “pisano” la città sarà soddisfatta per le nuove funzioni trovate lungo la sua riva, per i nuovi rapporti territoriali scoperti e così rigenerata, estesa, ampliata tra le acque del fiume e le colline a sud, troverà nuovi spazzi anche sulla opposta sponda del braccio meridionale oggi ricordato dal passaggio dell’Ozzeri, per collegare tra loro le pievi, le piccole borgate agricole le case, le ville isolate che diventeranno città sparsa nella quiete della tutelata cornice agricola. Questo esempio di pensare l’urbanistica si basa e conferma l’importanza dei dati storici. Non vi è progetto valido, lo ricordo al collega Pellegrini che cita Ludwing Mies Van Der Rhoe: io vorrei citare un mio maestro Aldo Rossi quando ci insegnava che non c’è progetto valido che non approfondisca l’indagine storica anzi per progettare occorre avviare a priori le analisi storiche e intrecciare gli approfondimenti contemporaneamente all’avanzamento progettuale. Il bel progetto si determina proprio dalla corretta utilizzazione del dato storico rilevato e fatto emergere, ovviamente, con caratteri di attualità, non certo dal copiare modelli altrui”.
“Penso così al piccolo porto sul canale della Formica – è la conclusione del ragionamento – forse unico approdo costruito prossimo alle mura della città romana, realizzato derivando le acque dal braccio meridionale del Auser per portare cose e commerciare con la città, unico forse su tutta la vasta area della rete idraulica del Serchio. Qua l’architetto, il paesaggista il gruppo di progetto tutto, deve mettersi in ascolto, trovare l’umiltà del silenzio e capire che se si alza un grido e se quel grido persiste forse un motivo c’è. Allerta. Non dobbiamo spaventarci se talvolta occorre ripensare ad un’idea di progetto e accantonare quelle carte su cui tanto abbiamo lavorato. Per altro l’area ex Gesam ospita il volume della cattedrale che potrà servire molto bene alle funzioni sociali affacciandosi e avendo a corredo un area di parco archeologico che gli architetti incaricati e competenti potranno offrire alla città, ai nostri figli ai turisti viaggiatori quale memoria di un passato importante laborioso, seriamente appassionato e responsabile”.
“Oggi più che mai occorre evidenziare i fatti storici – conclude l’architetto – non perdere le tracce del passato, occorre trasmettere la storia della città per combattere una globalizzazione che non sia di ignoranza e di distrattezza. A quelle persone che oggi condividono con noi spazi di lavoro, di ristoro, di commercio di educazione, di religione, che la globalizzazione ha portato qui nella nostra terra, dai paesi vicini dell’area mediterranea o oltre, anche a quelle persone noi abbiamo il dovere di far conoscere la storia della città. Occorre salvaguardare i siti archeologici. Ricordiamo Michelangelo che di fronte ad un blocco di marmo ancora da tagliare sul versante della cava cercava in assorto silenzio e scopriva cosa in esso era imprigionato e da liberare. La storia ci serve per mantenerci uniti e civili“.