Milo Manara e quel primo incontro con Hugo Pratt a Lucca: “Da allora ci fu sempre”

Nella chiesa di San Giovanni, l’autore, insieme a Mirka Andolfo, si è raccontato: “Ne nacque un matrimonio artistico, voleva che continuassi io a raccontare Corto Maltese. Ma lui era unico”
Sicuramente uno degli incontri più attesi e sentiti di questa terza giornata del Lucca Comics and Games quello che ha visto protagonista il maestro Milo Manara, considerato uno tra i più grandi fumettisti italiani e del mondo.
La sensualità inconfondibile dei suoi disegni e il tratto leggero ma deciso della sua matita hanno incantato più volte, anche sui social, dove il fumettista ha ormai raggiunto quasi 500mila seguaci. Donne, ma anche volti noti dello spettacolo e della cronaca: Manara con la sua arte ha omaggiato più volte gli “eroi” della pandemia, diventando celebre anche nel mondo del volontariato. E oggi, nella chiesa di San Giovanni, l’autore, insieme a Mirka Andolfo, si è raccontato al giornalista e moderatore Bruno Luverà.
Una stima senza eguali per Hugo Pratt, “padre” di Corto Maltese, ma anche fan speciali come il regista Federico Fellini.
“Il mio primo lavoro uscì nel 1969 – ha raccontato il maestro –. In quell’anno venni anche per la prima volta al Lucca Comics, dove volevo conoscere ad ogni costo Hugo Pratt. Quando lo vidi non seppi dura nulla per l’emozione: mi inginocchiai davanti a lui come se fosse stato Dio. ‘Guai a te se diventi uno come tanti’, mi disse. E così ho sempre cercato di ascoltarlo, rimanendo sempre un libero professionista pur ottenendo, qualche anno dopo, un contratto nel Corriere dei ragazzi”.
“Pratt – racconta – ebbi modo di conoscerlo meglio più avanti: ottenere complimenti da lui non era affatto semplice. Era una persona molto riservata, chiusa, un tipico uomo del nord, per questo ricevere un complimento da lui sarebbe stata una cosa sensazionale. Un giorno, a Venezia, volle prendere una gondola. Strano, pensai, perché nessun veneziano prende mai una gondola. Una volta a bordo, mentre giravamo tra i canali, gli feci vedere alcuni miei disegni: non mi disse niente, però si voltò verso il gondoliere e gli disse ‘Guarda qua’. Lì capii che gli erano piaciuti davvero. Poco dopo, quando li pubblicai, lui commentò con una nota scritta ‘Questa è la storia stupendamente disegnata da Milo Manara’. Una soddisfazione che ancora oggi non so spiegare”.
“Sono l’unico al mondo ad avere disegnato storie scritte da Pratt, e sono anche l’unica persona al mondo a non averci mai litigato – scherza il maestro –. Lui aveva un carattere molto difficile, che prendeva fuoco facilmente. E io avevo il dono di sapere quando dovevo farmi da parte o tacere, perché capivo benissimo quando stava per scoppiare. Tra me è lui c’è stato una sorta di matrimonio artistico. Non abbiamo mai fatto sesso, ma c’è mancato poco. Provavo un’enorme stima per lui, e anche lui a suo modo ne aveva per me. Un giorno mi disse ‘Quando non ci sarò più continuerai la storia di Corto Maltese’. Poco dopo, quando già stava male e sapeva di dover morire, mi raccontò tante cose: come voleva lasciare i suoi libri, la sua casa, ma non tornò mai su quel discorso. Non so perché non me ne parlò più, nessuno lo saprà mai. Forse voleva davvero che io continuassi la storia di Corto Maltese, ma non mi voleva mettere pressione. Forse voleva che glielo facessi come regalo, senza che lui mi dicesse niente. Dopo la sua morte, quando mi proposero davvero di proseguire Corto Maltese, rifiutai: non me la sentivo. Quel personaggio era troppo legato a lui, nessuno al mondo sarebbe stato in grado di riprodurlo. Nessuno al mondo potrà mai essere Hugo Pratt. Lui si immergeva talmente tanto nelle sue storie che scriveva i testi in spagnolo”.
Nel 1985, per Milo arrivò anche la telefonata della vita: quella dal grande maestro Federico Fellini.
“Vincenzo Mollica, l’unico all’epoca che apprezzava i fumetti e noi fumettisti, voleva organizzare qualcosa di speciale per il compleanno del maestro – ha raccontato Manara – Per questo commissionò dei disegni, a me e ad altri, che poi – a mia insaputa – finirono in mostra a Roma. Fu lì che Fellini vide la mia opera, non un solo disegno ma un’intera storia, lunga cinque pagine. Chiese il mio numero e mi chiamò, ma non risposi. Quando mi dissero ‘Guarda che Fellini ti ha chiamato ma non hai risposto’ volevo uccidermi, sentivo di aver perso la grande occasione della mia vita. Poi per fortuna chiamò di nuovo, e questa volta risposi: voleva farmi i complimenti. Mi disse ‘I suoi disegni mi hanno toccato profondamente’. Mi regalò un pass, firmato da lui, con il quale potevo accedere liberamente agli studios di Cinecittà. Io non feci complimenti: ci sono tornato ogni volta che ho potuto. La mia storia finiva con la frase “senza fine” e lui la parola “fine” al termine delle sue pellicole non l’aveva mai voluta mettere. Avevo colpito Fellini, io che lo avevo sempre amato”.