Giorno del Ricordo, Giacometti (Anvdg): “Le vittime dei totalitarismi? Sono tutte sullo stesso piano”

10 febbraio 2023 | 17:27
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Giorno del Ricordo, Giacometti (Anvdg): “Le vittime dei totalitarismi? Sono tutte sullo stesso piano”

Il presidente regionale dell’Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia sulla scelta del consiglio comunale unico: “Attenzione: non si tratta di fare un paragone tra eventi, Shoah e foibe sono due eventi non paragonabili, di natura e dimensioni radicalmente diverse”

Le vittime dei totalitarismi sono tutte sullo stesso piano“. Così il presidente regionale dell’Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia Guido Giacometti nel ripercorrere le tappe della storia dell’esodo, nel Giorno del Ricordo, commenta la tanto discussa decisione del Comune di Lucca di prevedere un consiglio comunale unico – che si è svolto lo scorso 30 gennaio – per commemorare nella seduta le vittime della Shoah e delle Foibe.

“Non mi batterei le mani sul petto per una o per l’altra soluzione – ha detto in proposito Giacomentti ricordando che – le vittime dei totalitarismi sono tutte sullo stesso piano. Questa è la nostra posizione che si àncora a documenti di istituzioni democratiche, come la risoluzione del Parlamento europeo del 2019 che equipara nazismo e comunismo. Attenzione: non si tratta di fare un paragone tra eventi, Shoah e foibe sono due eventi non paragonabili, di natura e dimensioni radicalmente diverse. Si parla di abissi del male, e quindi non ha senso fare paragoni. Ma si tratta di rendere giustizia a un pezzo di storia che è stato trascurato in tutta Europa”.

Ma il Giorno del Ricordo per Guido Giacometti è l’occasione per dare voce alla storia. Una storia che per molto tempo è rimasta solo nelle memorie familiari, tramandata tra le generazioni ma mai diffusa tanto fuori da formare una cultura generale. Quella delle foibe e dell’esodo giuliano dalmata, che ha visto migliaia di italiani lasciare le loro terre dopo la seconda guerra mondiale per non sottostare al regime comunista di Tito nell’ex Jugoslavia.

“Questa storia – racconta Guido Giacometti – narra la tragedia delle atrocità commesse dai nazisti durante la guerra, ma anche, e soprattutto in quelle terre, quelle ad opera dei comunisti. Nazisti e comunisti operavano in due modalità diverse: i primi con le rappresaglie e le esecuzioni in pubblica piazza, che dovevano fare da monito. Gli altri, i comunisti, in maniera opposta: facevano sparire la gente. La sparizione è un’esperienza dolorosissima perché perdi un tuo caro e non sai perché, non sai dov’è, non sai se è vivo o morto. Ci sono famiglie che per lungo tempo hanno atteso il ritorno di un figlio, invano”.

La questione è ancora oggi un tasto dolente per molti, nonché oggetto di contrapposizioni tra versioni diverse, ciascuna custode di una propria memoria. Il quadro storico di riferimento è quello della fine della Seconda guerra mondiale, in particolare dall’8 settembre in poi, con l’Europa lacerata dalle bombe e l’Italia divisa a metà tra la Repubblica di Salò al nord e i governi del Regno d’Italia al sud. Adottando un approccio più ampio, un insegnamento del Novecento è proprio che la transizione dalla guerra alla pace ha dato l’opportunità a molti Stati di trasferire più o meno forzosamente, in maniera più o meno controllata intere fette di popolazione. Nel caso in questione non è trattato di uno spostamento forzato, ma di un esodo volontario. Ma certamente sofferto e ponderato. Volontario fino a un certo punto, indotto dalle mutate condizioni di vita e dalla decisione di non cambiare se stessi per ordine di una dittatura.

“In quelle terre – spiega Giacometti, anche lui esule – vivevano sì persone che parlavano lingue diverse, ma erano tutti uniti, si rapportavano tra loro, si sposavano: era una realtà multietnica ma non conflittuale. A un certo punto i nazionalismi si sono sparsi e sono iniziati i primi attriti”. Con la fine della guerra e la firma del Trattato di Parigi fu stabilito che la popolazione di lingua italiana che viveva nel territorio ceduto alla Jugoslavia avrebbe potuto scegliere se mantenere la cittadinanza italiana. In tal caso, però, la Repubblica socialista avrebbe potuto esigere il trasferimento degli italiani. Chi prima, chi dopo la firma del trattato la maggior parte degli italiani decise di partire. “Decidemmo di venir via per evitare l’oppressione del regime comunista. Perché restare voleva dire lasciare le nostre terre e affidarle alla gestione delle cooperative, voleva dire rischiare i lavori forzati. Non fu una scelta semplice, presa a cuor leggero: mio nonno si stava costruendo casa ma dovette mollare tutto per buttarsi verso l’ignoto, e come lui tutti quelli che son partiti”. Il viaggio e la vita nei campi profughi era ciò che li aspettava: “Le condizioni misere non furono una cattiveria dell’Italia – dice -. È che c’era la fame. A Migliarino accanto al campo profughi degli esuli c’era quello dei pisani sfollati, anche loro avevano perso tutto”.

Intanto negli ultimi anni si moltiplicano le iniziative per celebrare e riscoprire questo pezzo di storia. Ma ancora con un pizzico di amaro in bocca: “Ti invitano formalmente, ma spesso le modalità di organizzazione sono sterili, il minimo indispensabile – lamenta Giacometti-. La Regione, per esempio, organizza in maniera valida ad anni alterni iniziative in memoria della Shoah e la questione del ricordo. Da anni chiediamo di far parte dell’organizzazione, ma questo non ci è concesso. L’anno scorso sono stato invitato a parlare in consiglio regionale, in quello che ho scoperto essere uno spazio dedicato alla minoranza. Questo va benissimo, ma vorremo essere coinvolti a pieno titolo nell’organizzazione delle iniziative sui territori, come avviene per le altre occasioni. I colloqui con il presidente Giani e le lettere all’assessora Nardini sono state inutili. Ci scontriamo così con una modalità con cui viene trattata la vicenda che ci lascia perplessi: spesso durante le celebrazioni si ricordano le responsabilità italiane in Jugoslavia e i mali del fascismo. Giustissimo contestualizzare, ma il rischio, e qui riprendo le linee guida emanate dal ministero dell’istruzione per la didattica della frontiera adriatica, è quello di enfatizzare troppo il contesto per occultare l’evento, e questa si chiama manipolazione”.

“Per questa regione – conclude Giacometti – dobbiamo aumentare il numero di conferenze, moltiplicare il numero di iniziative e dilatare il giorno del ricordo non solo al 10 febbraio, ma a tutto il mese e tutto l’anno”.