L’associazione dei cittadini: “Serve più cura per il parco fluviale dell’Oltreserchio”
Uniti per l’Oltreserchio: “Una risorsa da valorizzare”
L’associazione Uniti per l’Oltreserchio, attiva dal Natale 2009 – quello dell’alluvione e della piena del fiume che ruppe l’argine in più punti portando sott’acqua Ponte San Pietro, Santa Maria a Colle e San Macario in Piano – chiede a gran voce una maggiore cura per il corso d’acqua e per l’ecosistema fluviale.
“Un tempo – ha spiegato Paolo Vannucchi – il fiume era vissuto come una grande risorsa per gli abitanti dell’Oltreserchio. Ricordo le mie estati da ragazzo, i bagni e la pesca alle anguille. Ricordo le donne che scendevano al fiume dalle scalette sull’argine realizzate da Lorenzo Nottolini a inizio Ottocento per lavare i panni. L’acqua era pulita e il letto del fiume più ampio”.
La lavorazione dei materiali inerti in golena ha modificato, nella seconda metà del Novecento, l’assetto del fiume. “Dal ponte San Pietro, volgendo lo sguardo a nord, si vede bene una lingua di terra oggi ricoperta di fitta vegetazione che qualche decina di anni fa non c’era. L’alveo più stretto – continua Vannucchi – rende più torrentizio il carattere del fiume e ancora più difficoltosa e pericolosa la balneazione”.
Se nel Dopoguerra l’ondata di piena dalle montagne impiegava circa 18 ore per giungere a Lucca e nel 1992 ne impiegava 10, oggi occorrono circa 7 ore. Un progressivo assottigliamento del tempo per gestire l’eventuale emergenza.
La situazione non migliora proseguendo il percorso in direzione sud, verso Pisa. La vegetazione cresce incontrollata persino nelle aree private lungo il poggio dell’argine all’altezza di SantaMaria a Colle e Nozzano. Fa eccezione soltanto un uliveto, tenuto come un giardino dal proprietario. Ne risente la qualità del percorso lungofiume, un tempo molto più frequentato per le passeggiate, per l’allenamento dei runner e per gli appassionati della mountain bike.


“Purtroppo – spiega ancora Paolo Vannucchi – il parco fluviale, nell’Oltreserchio, soffre una certa incuria. Sarebbe importante unire le forze per valorizzare questa risorsa anche dal punto di vista turistico. Penso, per esempio, a un convegno con tutti gli attori istituzionali e con le associazioni interessate a questo importante ecosistema. Il Serchio ha perso negli anni buona parte della sua popolazione ittica: c’erano dei molluschi a guscio, con conchiglie simili alle cozze, che depuravano l’acqua, e oggi non ci sono più. È un vero peccato”.
“Il fiume – conclude Vannucchi – non deve essere vissuto come un pericolo ma come una risorsa, anche culturale. I lavori che vennero fatti al tempo di Nottolini lo hanno reso un unicum. Penso, per esempio, alle scalette, che col tempo sono state ‘inghiottite’ dalla terra che si è sedimentata sugli argini durante le piene: sarebbero un’infrastruttura ancora oggi bella e di servizio per vivere il fiume e dovrebbero essere, laddove possibile, rese di nuovo fruibili”.