Il racconto choc di una lucchese nell’inferno di Israele: “Sentivamo i razzi cadere attorno a noi”

13 ottobre 2023 | 16:13
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Maria Savigni si trovava a Gerusalemme al momento dell’attacco di Hamas: “Sono riuscita a prendere un volo per tornare a casa, adesso cerco di dare una mano alle tante persone che sono rimaste a vivere in mezzo a quell’orrore”

Crisi israelo-palestinese, la ripresa dei combattimenti in Medio Oriente coinvolge anche alcuni lucchesi che si trovavano in Israele al momento dell’attacco. Maria Savigni, consulente legale di 28 anni, nata a Lucca, si trovava Gerusalemme per motivi personali, durante l’attacco a sorpresa di Hamas. La mattina del 7 ottobre intorno alle 6, le sirene che annunciano l’arrivo dei razzi palestinesi, hanno iniziato a risuonare incessantemente in tutta Israele, contemporaneamente alcuni commando di terroristi hanno attaccato i kibbutz sul confine con la Striscia di Gaza, massacrando la popolazione.
Il bilancio dell’attacco terroristico è ancora incorso e attualmente ha raggiunto la cifra di 1.300 morti e circa 3.300 feriti. Ma il conteggio totale potrebbe ulteriormente aggravarsi.

Molti connazionali sono rientrati dalla zona di guerra, e tra questi c’era anche Maria che davanti alle nostre telecamere, ha raccontato la sua drammatica esperienza. Era il 7 ottobre e alle 6,30 e anche a Gerusalemme è scattato l’allarme anti razzi.

“Alle sei e trenta ero a letto, in dormiveglia, e ho sentito fortissimo il suono delle sirene, un suono che non avevo mai sentito prima di quel momento – ricorda Maria Savigni -. Io mi trovavo a casa di una mia amica e al suono delle sirene nella mia stanza è corso suo figlio per avvertirmi che sarebbero entrati nella stanza dove mi trovavo, perché era un rifugio, avendo pareti di cemento rinforzato anti missile. Abbiamo capito subito che era successo qualcosa di grosso e appena si interrompevano le sirene correvamo alla televisione per capire cosa stava accadendo. Ci siamo resi conto che stava avvenendo un’infiltrazione terroristica”.

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Maria si trovava a Gerusalemme a cento chilometri dalle zone di confine con Gaza, la distanza e il numero dei check point la teneva al sicuro dall’attacco di commando di terroristi: “Sapere di essere al sicuro dagli attacchi dei commando ci tranquillizzava solo in parte, eravamo comunque in ansia e ci devastava non avere delle notizie immediate”.

Gerusalemme è suddivisa in alcune aree separate, ad ogni area corrisponde una sirena anti razzo, quando l’allarme scatta significa che il razzo intercettato potrebbe cadere nell’area corrispondente. “Non eravamo comunque al sicuro dai razzi e quando abbiamo sentito la sirena sapevamo che c’era la possibilità che potesse cadere nella nostra zona – racconta -. Io ho sentito i missili che cadevano: anche stando all’interno di un rifugio non ci si sente affatto al sicuro. Ma la nostra preoccupazione si concentrava sull’infiltrazione terroristica, sapevamo che c’erano stati degli spari e dei morti”.

Maria racconta che in aeroporto ha incontrato una sua amica che si trovava proprio sul confine con Gaza e che è riuscita a sfuggire ad un commando: “Quando ci siamo visti in aeroporto ci siamo corse incontro e abbracciate, tutte e due eravamo contente di essere ancora vive – ricorda Maria -. Lei si trovava in una cittadina al confine con la Striscia di Gaza, ha sentito il rumore dei colpi di fucile dei terroristi ed è riuscita a nascondersi. Ho cercato di aiutare a far imbarcare i suoi figli in Italia, chiaramente non è che se la passavano molto bene. In Israele la popolazione è abituata al suono della sirena, sono molto organizzati, ogni casa ha il suo rifugio e sono disposti ad ospitare altre persone – spiega -. Però in questo frangente erano seriamente preoccupati anche loro, persone che mai avrei immaginato di vedere turbate. Ho lasciato molti amici in Israele, adesso che sono qui sto cercando di aiutarli, perché le persone bloccate in Israele sono tante”.

Gli amici che ospitavano Maria erano molto preoccupati anche per lei, perché c’era il rischio concreto che rimanesse bloccata in Israele e che tutti i voli venissero cancellati.
“La persona che mi ospitava, ad un certo punto mi ha preso da parte e ha confessato la sua paura che rimanessi bloccata lì senza poter rientrare in Italia. Lui vive in Israele dagli anni ’70, è una persona molto razionale, ma comunque ha ammesso che questa era una situazione mai vista e che poteva degenerare in una guerra su vasta scala. Mi ha portato subito in aeroporto e ho iniziato a prenotare voli a caso, per Cipro, per qualsiasi destinazione, ad un certo punto ho prenotato anche per Istanbul in Turchia e  ho anche pensato di dover andare a piedi in Giordania, completamente da sola, in mezzo al deserto, per raggiungere una frontiere che avrebbe potuto essere chiusa da un momento all’altro. I voli venivano cancellati uno ad uno, ho provato a contattare ambasciata e consolato, ma non riuscivo ad avere delle risposte. Su un gruppo online di italiani in Israele, sono riuscita a trovare una persona molto gentile che aveva prenotato il volo per suo figlio su più aerei, lui poi era riuscito ad imbarcarsi e ha ceduto a me il suo biglietto.Non mi hanno però consentito di imbarcarmi perché non hanno voluto fare il cambio nominativo del biglietto, praticamente hanno preferito far partire il volo con una persona in meno, piuttosto che farmi salire, nonostante fuori continuassero a piovere i missili. Alla fine sono riuscita a rientrare con un volo speciale organizzato dall’ambasciata. Ci sono molte persone ancora bloccate la che vogliono tornare, io sto cercando di dargli una mano”.

Maria studia arabo e ebraico, è stata più volte in Israele rimanendo anche per un periodo lungo. La ha molti amici che ha conosciuto ed è ancora preoccupata per loro.
“In Israele sono andata più volte, Gerusalmme per la maggior parte è un po’ come le nostre città europee e ad oggi rispetto alle altre volte ho visto come se chi abita qui fosse stato veramente toccato nel profondo. Con un attacco del genere c’è proprio, non soltanto la voglia di distruggere le persone, ma anche di terrorizzarle. Israele è un paese che ha sempre puntato sulla propria forza per dare sicurezza ai cittadini, oggi quel senso di sicurezza non ce l’hanno più”.

Secondo Maria le persone vittime dell’attacco terroristico di Hamas, sono molto giovani, più o meno hanno la sua età. “Anch’io avrei potuto decidere di partecipare ad una festa nel deserto. Non ci sarebbe stato niente di male, anch’io sarei potuta essere tra quelle vittime. Il pensiero è stato molto provante”.
Alcune delle persone coinvolte non erano di nazionalità israeliane, ma appartenevano a un po’ tutte le etnie. Non tutti gli arabi, secondo Maria, hanno partecipato all’attacco, alcune sono state delle vittime, altri dei veri e propri eroi.
I missili quando cadono non scelgono il bersaglio e non colpiscono soltanto gli israeliani – spiega Maria -. Ci sono anche persone che hanno cercato di dare una mano. Un arabo beduino autotrasportatore, che era in una città dove sono entrati i terroristi, ha capito cosa stesse accadendo e ha fatto salire quante più persone ha potuto sul suo camion per farle fuggire. Mettendo a rischio la sua vita ha salvato decine di persone e di casi come questo ce ne sono molti.Non voglio identificare Hamas con i palestinesi e con gli arabi”.

Nonostante questa esperienza, hai ancora voglia di tornare in Israele?
“Sembra assurdo ma io mi sono anche sentita in colpa per abbandonare la i miei amici – dice Maria -, nonostante abitassero la. Sicuramente ci tornerò, non so quando, non prima che questa situazione sia finita. Potrebbe essere tra pochi mesi come tra molti anni”.