Malato terminale costretto a passare un giorno e una notte su una barella al pronto soccorso

Un parente dell’uomo, deceduto dopo tre giorni un anno e mezzo fa, fa appello alla coscienza del personale sanitario e ricorda l’infermiera e il medico che si sono infine presi cura del malato
Un appello alla sensibilità e alla coscienza del personale sanitario che si trova a relazionarsi con i pazienti terminali. È quello lanciato da un cittadino che ha voluto condividere con Lucca in Diretta la sua dolorosa esperienza al fianco di un parente in fin di vita.
“Ho aspettato un po’ di tempo, dovevo elaborare, dovevo scrivere quello che scriverò con calma, senza farmi alterare dall’emotività. Se avessi scritto le stesse cose un anno e mezzo fa – osserva – forse avrei usato parole che spero oggi siano scomparse dai miei pensieri. I fatti risalgono appunto a circa un anno e mezzo fa quando un mio parente, malato terminale, è arrivato in fondo al suo percorso. Aveva scelto lucidamente di fare questo percorso a casa fra le sue cose e i suoi libri. Non è stato facile, checché se ne dica, per chi non è medico o infermiere, accompagnare un uomo nel suo ultimo viaggio, è un’impresa ardua, ma in un modo o in un altro ci siamo riusciti. Sapevamo tutti, ed anche lui, che proprio in fondo in fondo a casa non ci saremmo arrivati, che l’epilogo sarebbe avvenuto in ospedale e così è stato. Per un non ben chiaro motivo, un malato terminale che ha attivata l’assistenza domiciliare, quando chiaramente peggiora e deve essere ricoverato, deve passare dal pronto soccorso”.
Prosegue la lettera: “I fatti che vorrei provare a descrivere iniziano da qui. Una domenica mattina con l’ambulanza siamo arrivati al pronto soccorso della mia città, Lucca, e là, nel caos che oggi regna in ogni pronto soccorso in Italia, sono riuscito a ottenere di poterlo assistere in presenza con un pass. Naturalmente all’inizio la situazione non era chiara e veniva trattato come un paziente ‘normale’, e questo è più che logico, ma dentro di me pensavo che una volta chiarito lo stato di salute il percorso sarebbe stato diverso, ed era lì che mi sbagliavo”.
“Immagino per sciocche linee guida, essere malato terminale, e quando dico terminale intendo in senso letterale, tant’è che tre giorni dopo il suo percorso è finito, non cambia lo stato delle cose. A questo punto subentra l’unica cosa possibile in questi casi: la coscienza delle persone, medici e infermieri. Perché è vero che i pronto soccorso sono al collasso – dice il cittadino – che mancano i medici, che mancano gli infermieri, ma è anche vero che c’è modo e modo di fare il proprio lavoro, e finché c’è un medico, o un infermiere che il proprio lavoro lo fa con coscienza, anche tutti gli altri lo possono e lo devono fare“.
“È accaduto invece – continua – che la coscienza è andata a farsi benedire, e il peccato è stato che a mandare la coscienza a farsi benedire, sia stato un giovane medico, agli inizi della carriera che presumibilmente passerà in ospedale i prossimi trenta anni e oltre. Di conseguenza a ciò, un uomo che stava morendo è stato spostato da una parte all’altra del pronto soccorso, con la stessa assistenza che veniva riservata a chi si era rotto un piede o aveva un’eruzione cutanea tanto per capire, finche, alla richiesta di sapere se c’era la possibilità di ricoverarlo e toglierlo da lì, la risposta è stata che sarebbe rimasto in pronto soccorso almeno fino al giorno successivo, perché, le parole no ma il senso era questo, non si poteva togliere un posto in un reparto per ricoverare un paziente che tanto doveva morire. Stento anch’io a crederlo, ma i fatti sono quelli”.
“Ho chiesto successivamente un’altra informazione e naturalmente mi è stata data, ma mi è stato anche fatto notare che il tempo che quel medico aveva trascorso con me era stato parecchio e che in pronto soccorso non c’eravamo solo noi. Alla sera intorno alle 20, sempre in una barella, è stato spostato per l’ennesima volta in una stanza da solo, senza niente e lì è rimasto, in una barella appunto, per tutta la notte. Non sono un medico – prosegue – e non avevo capito la gravità della situazione, ci siamo salutati e l’ho lasciato lì. Non avrei dovuto farlo, quando sono arrivato da lui il mattino dopo, ho visto una scena che difficilmente dimenticherò: una barella con dentro un essere umano che stava soffrendo fisicamente e psicologicamente, che si sentiva tradito, che aveva passato una notte di inferno e piangeva“.
Continua il racconto del cittadino: “Ho chiamato l’infermiera, che aveva appena preso servizio, e abbastanza educatamente le ho fatto notare l’inumanità di quello che avevamo di fronte, ho chiesto come fosse possibile trattare un essere umano in quel modo, e lì, è accaduto quello che accade normalmente quando una persona fa il suo lavoro con passione e coscienza. L’infermiera, che ripeto aveva appena preso servizio, ha chiamato una collega e insieme mi hanno assicurato che si sarebbero occupate di lui“.
“Nel giro di mezz’ora – ricorda – lo hanno sistemato in un letto vero in una stanza più grande, un loro collega in maniera molto gentile lo ha accudito, lo ha lavato e gli ha sistemato per bene il letto, dicendomi di chiamarlo ogni volta che avessi avuto bisogno. Ma soprattutto è venuto da noi un medico, una persona un po’ burbera ma efficiente e soprattutto coscienziosa. Mi ha chiesto tutte le informazioni e non ha fatto commenti, se non quello di dire che un malato del genere avrebbe dovuto avere un percorso diverso, ma da quel momento fino alla fine del suo turno e oltre, si è adoperato affinché questo essere umano stesse meglio possibile, e ha cercato in ogni modo di sistemarlo”.
“Non voglio fare nomi, non è questo lo scopo delle mie parole. Nessuno mette in dubbio il fatto che la sanità in generale, e i pronto soccorso in particolare siano in affanno, che il personale lavori con immense difficoltà, ma la coscienza del proprio lavoro, l’importanza che hanno le tue parole e i tuoi gesti quando hai fra le tue mani la vita delle persone, questa non dovrebbe mancare mai, ed è un peccato che chi ha avuto meno coscienza e sensibilità, sia stata una persona giovane che invece dovrebbe affrontare quella missione, perché di quello si tratta, con entusiasmo e con la gioia di aver scelto forse il più bel modo di aiutare gli altri. Voglio ringraziare quel medico e quel turno di infermieri che, pur nelle stesse difficoltà degli altri – conclude – hanno usato il cuore e hanno saputo aiutare e confortare un uomo che da lì a tre giorni ci avrebbe lasciati. Credo di aver fatto bene ad aspettare per scrivere queste cose. Quei giorni e quelli successivi non sono stati facili e a mente fredda i pensieri e le parole fanno meno male”.