
Negli ultimi decenni i rapporti di coppia hanno subito una serie di profonde trasformazioni, divenendo meno vincolati da meccanismi socialmente prestabiliti come il matrimonio, sempre più libere e flessibili e quindi al contempo più difficili da gestire.
Anche gli stessi bisogni dei partner sono cambiati poiché non si esauriscono più nella procreazione, nell’acquisizione di un certo status sociale o nel guadagno di una determinata indipendenza dalla propria famiglia d’origine. Al contrario, diventa prioritario il raggiungimento di un benessere affettivo, sessuale e materiale che dipende molto dall’incontro delle personalità dei due coniugi. La scelta del partner, infatti, è motivata da parecchi fattori. All’inizio di una relazione è naturale che le persone tendano a mostrare la parte migliore di sé e a soddisfare tutte le aspettative dell’altro per cui spesso accade che il partner non è visto per quello che realmente è ma per come lo si vuole vedere. Nel momento della crisi è possibile che vengano meno alcune aspettative iniziali sulle quali è nata la coppia creando un disagio che influenza vari livelli: il rapporto intimo, la comprensione reciproca e le modalità di relazionarsi l’uno con l’altro.
Tali momenti di crisi solitamente possono insorgere in prossimità di grandi cambiamenti quali la nascita di un bambino, la perdita del lavoro di uno dei due partner, un lutto oppure possono essere legati a diverse idee rispetto all’educazione dei figli, al rapporto con le rispettive famiglie d’origine o, ancora, alla scoperta di un tradimento che può portare alla messa in discussione del rapporto.
Tuttavia essi non vanno considerati necessariamente in un’ottica soltanto distruttiva. L’etimologia del termine “crisi” deriva infatti dal verbo greco krino che significa letteralmente separare, dividere ma in senso più lato anche decidere, giudicare, valutare. Per questo motivo ogni momento di crisi porta con sé la possibilità di confrontarsi, riscoprirsi e trovare nuove affinità e nuovi modi per stare insieme.
A questo proposito la terapia di coppia costituisce uno strumento che permette di intervenire all’interno della relazione per permettere ai partner di prendere una decisione, appunto, rispetto al destino del proprio rapporto.
Ad oggi il modello sistemico relazionale è da considerarsi tra i migliori nel panorama degli orientamenti psicologici quando si tratta di terapia di coppia. La vasta letteratura che fa da base a questo approccio (da S. Minuchin a J. Haley, da P. Waztlawick a M.S. Palazzoli e molti altri) consente al terapeuta di osservare quali sono nella coppia le regole implicite ed esplicite che ne segnano l’esistenza e di studiare le manifestazioni osservabili nella relazione, dove il veicolo principale è la comunicazione. Il terapeuta è quindi in grado di intervenire nel sistema coppia considerando le relazioni così come si presentano e creando connessioni a più livelli, focalizzandosi sui rapporti e sui processi tra i partner.
In particolare, la terapia di coppia secondo l’approccio sistemico relazionale ha come obiettivo quello di dare un senso ed un significato alla crisi di coppia connettendola al contesto, alla fase del ciclo vitale in cui essa si è manifestata, alla storia individuale dei partner e a quella delle proprie famiglie di origine.
Il lavoro del terapeuta è quindi quello di introdurre elementi nuovi in grado di spezzare la rigidità e la ripetitività delle abitudini della coppia cercando nuovi modi per relazionarsi reciprocamente che consentano di trovare nuove modalità di stare insieme e di raggiungere un equilibrio che risulti per entrambi più funzionale.
E’ necessario tuttavia sfatare un falso mito legato alla terapia di coppia. Proprio per la varietà dei caratteri di ogni persona e per le diverse motivazioni che spingono due persone a stare insieme, non è detto che le premesse sulle quali due persone si sono scelte all’inizio, siano le stesse a distanza di mesi o anni: sarà quindi la coppia a decidere che strada intraprendere.
In altri casi, quando vi sono delle situazioni di separazione già in essere, la terapia può fungere anche da sostegno nell’attraversare tale momento e renderlo meno traumatico per i partner e per eventuali figli.
Più specificatamente la terapia si struttura con una serie di alcuni incontri preliminari di consulenza (circa 3) in cui il terapeuta effettua una valutazione della situazione che permette poi di stabilire un contratto con la coppia nel quale vengono concordati gli obiettivi su cui lavorare. Solitamente gli incontri successivi vengono svolti con cadenza quindicinale ed hanno una durata di circa 60 minuti. Possono essere previsti anche alcuni incontri individuali con ciascuno dei membri della coppia.
Nella nostra pratica clinica, la presenza di due terapeuti alla pari, un uomo e una donna, costituisce un valore aggiunto poichè rappresenta una garanzia di maggior neutralità offrendo una diversificazione dei punti di vista: “il maschile e il femminile”.
I partner della coppia possono immedesimarsi nel terapeuta dello stesso sesso e, nello stesso tempo, confrontarsi con una persona diversa dal proprio partner che è rappresentata dal terapeuta di sesso opposto. Tale opportunità li facilita nel parlare di “particolari argomenti” in seduta.
Inoltre la co-terapia garantisce una maggior attenzione ad aspetti che possono sfuggire all’osservazione di un solo terapeuta ed evita le possibili alleanze di un membro della coppia con un’unica figura.
Un percorso di questo tipo costituisce dunque uno strumento importante per affrontare momenti di crisi all’interno di una relazione in quanto è in grado di mostrare alla coppia mancanze relazionali su cui lavorare ma anche risorse interne preziose ancora non viste sulle quali fondare una nuova stabile relazione.
Dottor Daniele Filippi e Dottoressa Gaia Bullentini
Psicologo e psicologa