Cgil: “Lavoro aumenta per fisco leggero non per Jobs Act”

11 agosto 2015 | 10:30
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Cgil: “Lavoro aumenta per fisco leggero non per Jobs Act”

Daniele Quiriconi, della segreteria Cgil Toscana, commenta i dati diffusi dall’osservatorio sulla precarietà dell’Inps nazionale, che hanno dato luogo ai commenti entusiasti da parte del presidente del Consiglio e del suo staff. E lo fa con molto meno entusiasmo: “Se analizziamo il dato toscano – dice –  emerge indubbiamente con forza l’aumento degli avviamenti al lavoro a tempo indeterminato, già rilevato dal rapporto Focus Economia di Ires e Cgil Toscana presentato il 13 luglio; tuttavia, l’occupazione complessiva pare in una linea di tendenza simmetrica a ciò che è avvenuto nel corso del 2014. Prima del Jobs Act, prima di Cristo per parafrasare Marchionne. Nei primi sei mesi del 2015, infatti, sono stati avviati in totale 192.175 lavoratori; nel 2014 erano stati 179.33 (+7,2% nel rapporto 2015-2014) ma nel 2013 erano stati 167.351 con una crescita quindi anche nel 2014 sul 2013 del 7,16%. La crescita del tempo indeterminato, in buona parte stabilizzazioni – se così si possono definire le assunzioni con l’articolo 18 ‘amputato’ – è il frutto, come più volte sostenuto, del doping della defiscalizzazione determinato dalla legge di stabilità, e scorrendo le stesse tabelle Inps si può agevolmente verificare come la gobba più alta si sia registrata nei mesi scorsi, e già in giugno si assista ad un ripiegamento. Senza voler esprimere valutazioni sul costo dell’operazione e sulle incertezze su durata e strutturalità della stessa, ci limitiamo a mettere in evidenza questo elemento”.

“L’andamento della cassa integrazione – prosegue Quiriconi – per correttezza analizzeremo la somma di cassa straordinaria e ordinaria, essendo la deroga poco comparabile a causa dei blocchi – ci fornisce qualche ulteriore elemento di lettura dell’economia regionale. La Cig scende nel primo semestre 2015 del 10,6 per cento, rendendo evidente che un positivo effetto di riassorbimento per quanto modesto dei lavoratori in Cassa esiste, sia pure attenuato dal dato di coloro che hanno esaurito gli stessi ammortizzatori e dall’aumento dei licenziamenti. E da quello che una volta si definiva ‘riduzione della base produttiva’. Tuttavia, questi stessi dati ci segnalano una Toscana a due velocità con un quadrante metropolitano centrale in cui la Cassa crolla (Firenze -24 per cento, Prato -55 per cento, Pistoia -17,3 per cento), e uno costiero in cui continua ad impennarsi (Livorno +58 per cento, Pisa +36,5 per cento). Il dato che più colpisce, però, è come continuino ad aumentare le cessazioni di lavoro ‘stabile’ ( +6,7 per cento): in altre parole, significa licenziamento di persone con tutele piene, a differenza dei nuovi ingressi che in prevalenza godono di minori protezioni. Per quanto riguardi i saldi totali tra avviamenti e cessazioni, sono positivi nel 2015 come lo erano nel 2014, prima degli interventi de-contributivi e del Jobs Act quindi anche qui nessuna rivoluzione. Tuttavia questa tendenza non pare incidere sostanzialmente sullo stock di occupati e disoccupati; anzi questi ultimi, insieme agli scoraggiati, aumentano. In altre parole, con un PIL per occupato calato di due punti e mezzo negli ultimi cinque anni, gli investimenti – sia privati che pubblici – al palo per le note politiche di contenimento della spesa , una crescita stimata anche per il secondo trimestre tra lo 0,2 e lo 0,3 per cento, appare improbabile riassorbire 1,1 milioni di disoccupati in più dall’inizio della crisi in Italia, 100mila dei quali in Toscana, da qui a un decennio. Con imprese ancor più piccole e sottocapitalizzate rispetto all’inizio della crisi, senza un maggior intervento pubblico anche transitorio nell’economia, con una politica di dismissione del patrimonio industriale italiano verso acquirenti esteri che produrrà e già produce razionalizzazioni e tagli all’occupazione, ci accompagneranno, nel futuro, alti livelli di disoccupazione a due cifre che le sole imprese esportatici o il turismo non potranno aggredire”.
“Tutto il resto – conclude la Cgil – è fumo propagandistico. Certo, magari una riforma delle pensioni più flessibile consentirebbe un ricambio generazionale, con l’ingresso di qualche centinaio di migliaia di giovani in attività con innegabili riflessi sulla produttività e la competitività, oltre a costituire una necessaria operazione di equità per milioni di lavoratori anziani. Ma di fronte a questa eventualità, più volte accennata dal Ministro del Lavoro, le cronache agostane paiono portare, insieme ai temporali, una vistosa retromarcia per ragioni di costo. Molto meglio – non rimane che il sarcasmo – abbattere in modo indiscriminato e non selettivo i redditi di impresa, dalla rendita immobiliare parassitaria a quella di chi reinveste, e vagheggiare di due sole aliquote contributive, copyright del duo Berlusconi-Tremonti , che supera la progressività dell’imposizione fiscale e mette i discussione uno dei capisaldi della Costituzione. In epoca di riforme, una linea di coerenza invidiabile”.