La qualificazione professionale degli operatori di gioco non salverà il loro posto di lavoro

Si è ormai allo sfinimento, forse perché si avvicinano anche le vacanze… ma ovunque si guardi per il gioco d’azzardo pubblico e per i siti dove giocare al casino è tutto un “distanziometro”, una diminuzione di orario, un aumento di tassazione. Non esiste qualche notizia positiva ed anche se ci sembrava una cosa interessante e molto qualificante che venissero effettuati dei corsi di formazione obbligatoria per i gestori di sala – in modo che professionalmente fossero più preparati nei confronti del gioco e del gioco problematico – chi andrà a dire ora a questi operatori che la qualifica che “hanno rincorso” non servirà a preservare il loro posto di lavoro?
Tutti quei provvedimenti restrittivi che si stanno mettendo in atto, in fretta anche per paura che arrivi prima un accordo in conferenza unificata e che “cambino le carte in tavola”, non avranno altro risultato, purtroppo, che obbligare imprese a chiudere i battenti ed a licenziare i propri collaboratori e dipendenti. Non sarà facile, quindi, per gli addetti ai lavori dell’Emilia Romagna “rimanere in vita (commerciale)” e seguire la legge regionale. O meglio sarà loro consentita l’opportunità di traslocare la propria sala dentro capannoni eventualmente dismessi lungo le provinciali… e questo non vuol certo dire avere una sana e proficua attività commerciale.
Come non sarà assolutamente comprensibile per chi si vuole formare alla legalità essere dichiarato incompatibile con i valori morali e giuridici consentiti dalla Regione ed ancora meno comprensibile lo sarà per coloro che hanno effettuato il corso di impronta sanitaria sul gioco problematico e che operano in location situate a 500 metri da un “qualsiasi luogo sensibile”, e questa è una percentuale che rasenta l’80%. Luoghi sensibili che raggruppano “aggregazione giovanile” dove, magari, esistono e vivono pusher, ma meritevoli di non beneficiare della visione di una insegna di un locale in cui i minori non sarebbero ammessi. Più incongruenze di così, si pensa sia proprio impossibile trovarne.
La delibera della Giunta dell’Emilia Romagna dello scorso 12 giugno non solo “cancella” dal territorio le sale dedicate, sale scommesse e sale bingo, ma stabilisce anche una “lenta agonia” di tutte le apparecchiature di gioco installate in bar e tabaccherie e circoli privati. Inoltre, statuisce l’impossibilità di sostituire un congegno obsoleto o guasto o superato da nuove disposizioni, all’interno di tutti gli esercizi situati nel “percorso pedonale sensibile”. L’agonia per il gioco lecito durerà qualche mese, non certo di più.
Se a questo, poi, si aggiunge una particolare eccentricità secondo la quale la lista dei luoghi sensibili può allungarsi di continuo, con delibera comunale, anche la sala già de-localizzata alla prima “ondata”, dovrà riprendere un altro camino di allontanamento sino a quando non sarà definitivamente espulsa. Forse chi compone il testo di queste normative quando sente parlare di gioco d’azzardo pubblico… diventa immediatamente sadico: questa potrebbe essere l’unica spiegazione.
Che si può aggiungere di più per quegli operatori legalmente formati per seguire meglio il gioco? Che dal centro delle grandi città ai bar dei piccoli paesi ci si può imbattere in una moschea emersa dalla clandestinità, od in una sala riunioni di una qualsivoglia confessione non cattolica, ma non in una sala giochi: e si avvererà così la liberazione da quel fenomeno dell’azzardo che, benché legale, con concessione pagata allo Stato, ligio alle leggi vigenti non è più gradito in Emilia Romagna.