Natale, Coldiretti: “Si utilizzino alberi veri per migliore tutela del territorio”

Oggi (21 novembre), si celebra la giornata nazionale degli alberi, istituita per legge, per la valorizzazione del patrimonio boschivo esistente. Anche in Toscana, per iniziativa di molte amministrazioni comunali, si effettuano piantumazioni. Vale la pena ricordare, in questa occasione, che manca poco più di un mese alle festività natalizie e già nelle strade si comincia a respirare l’aria della festa. L’albero di Natale è ormai diventato un vero e proprio status symbol di questa festività. Nelle case, come nelle piazze cittadine, ci si misura con l’altezza degli abeti e, quelli più grandi, che trovano posto nelle piazze principali, sono di solito selezionati e seguiti dalla Forestale.
Anche in Toscana, la regione più boscata d’Italia, non mancano aree ad intensa coltivazione di abeti. In Garfagnana, nell’alto Mugello, sulle montagne pistoiesi, ma soprattutto in Casentino ci sono molte imprese agricole che hanno trovato nell’abete il modo di coltivare terreni che altrimenti sarebbero stati abbandonati. Soprattutto in Casentino, i due Comuni di Montemignaio e Castel San Niccolò, sono uno dei principali e più longevi distretti di coltivazione dell’albero di Natale d’Italia. Zone di montagna o di bosco, troppo impervie per ospitare colture tradizionali, ma perfette per far crescere gli abeti che da qui, da questo spicchio di toscana, arrivano attraverso la grande distribuzione in tutta Italia. In questa vallata è nato anche un consorzio, il Consorzio per la valorizzazione dell’albero di Natale del Casentino: conta una decina di aziende, per lo più a conduzione familiare, che coltivano 150 ettari di abeti per un giro d’affari stimato intorno ai tre milioni di euro.
“Per queste zone – dice Fabrizio Filippi, presidente Coldiretti Toscana – è un comparto fondamentale, non solo perché preserva una tradizione e dà visibilità, ma anche perché ci protegge in parte dal rischio idrogeologico: i problemi che si vedono a valle, spesso sono causati dallo spopolamento della montagna. Ecco che coltivare alberi di Natale significa anche controllare il territorio, preservarlo dall’abbandono. Si tratta di una attività non facile che oltre alle bizzarrie del clima anomalo deve fare i conti – continua Filippi – con gli ungulati, soprattutto cervi e cerbiatti, che recano danni mangiando le gemme”.
“Per anni una certa sensibilità ha preferito la plastica alla natura. È stata fatta una campagna pesante contro gli alberi di Natale – racconta Elena Bertini, Coldiretti donne impresa, che con la sua azienda produce 2500 abeti l’anno, di alta qualità -. Dicevano che eravamo usurpatori della natura, che andavamo nei boschi a tagliarli con la motosega – aggiunge – e che l’albero ecologico era quello di plastica: abbiamo dovuto combattere con armi impari, poi piano piano la sensibilizzazione ha portato dei frutti”.
“Per produrre un albero di plastica – spiega il Consorzio per la valorizzazione dell’albero di Natale del Casentino – si consumano circa venti chilogrammi di petrolio, si emettono nell’atmosfera ventinove chilogrammi di anidride carbonica e servono oltre duecento anni prima che si degradi nell’ambiente. Un ettaro di alberelli invece, secondo gli studi di The national Christmas tree association, produce ossigeno per quarantacinque persone: il consorzio, che ha in coltivazione circa 150 ettari, fornisce quindi ossigeno a circa 7000 persone e si prende cura delle montagne”.