L’ascensore sociale e la geometria della ricchezza dopo la crisi del 2008



Il sistema bancario è paragonabile ad un organismo dinamico in continuo movimento ed evoluzione che si adatta in relazione sia alle forze interne che a quelle esterne, in particolar modo alla situazione sociopolitica internazionale. Sono da annoverare, come conferma il dottor Gronchi, dalla seconda metà del 900 ad oggi tre cambiamenti che hanno mutato il sistema bancario radicalmente.
Fino agli anni 60 l’attività principale che svolgeva la banca era la raccolta e gli impieghi sulla clientela con vincoli operativi imposti da Accordi interbancari che fissavano i tassi massimi da corrispondere sulla raccolta e minimi da percepire sugli impieghi. La formazione del personale era focalizzata sui crediti. Dal 62 avvenne una separazione tra il Tesoro e la Banca d’Italia. In questo periodo ci fu grande fermento, tanto che ci fu un aumento della concorrenza nel sistema creditizio, ma senza modifiche strutturali nei modelli, nel ruolo e nelle competenze del personale direttivo. Inoltre, era aumentata sia la complessità del lavoro che l’importanza della figura del tesoriere.
Il secondo mutamento avvenne con le prime due direttive bancarie europee (1977, 1989). In Italia la prima direttiva fu recepita otto anni dopo la promulgazione in Europa, mentre la seconda direttiva fu recepita nel 1992. I temi trattati dalle due direttive erano rispettivamente: libertà di stabilimento in Europa e la disciplina delle licenze bancarie, la competenza di vigilanza dello Stato di origine e la configurazione dell’Ente creditizio come operatore unico. Ci fu una riaffermazione del carattere imprenditoriale dell’attività bancaria, che fu ribadita nel testo unico del 93 assieme alla concorrenza, l’efficienza, la stabilità e la sana e prudenziale gestione, che ha messo fine a quella visione di pubblici ufficiali che si era creata attorno ai dipendenti delle banche pubbliche. Si assiste anche ad un’evoluzione operativa, in particolar modo l’istruttoria dei fidi, che dagli anni 30 non aveva particolari innovazioni, subì modifiche sia per l’accentramento decisionale che per il frazionamento della stessa e sia per la gestione dei crediti quale portafoglio unico o settorizzato. Dunque, fino agli anni 2000 il personale direttivo aveva ancora un ruolo importante anche se erano già operativi programmi informatici idonei a consentire il governo ed i controlli accentrati che affievolivano sempre più il potere dei titolari delle filiali.
L’ultima fase di questa serie di cambiamenti significativi all’interno del sistema bancario comincia all’inizio del 2000 dove nella Tesoreria venne rivoluzionata l’intero impianto, essa avrebbe dovuto rendere compatibili e coerenti i flussi derivanti dai depositi e dagli impieghi (sia a breve, a medio che a lungo termine) provenienti dalle filiali neutralizzando il rischio di interesse tramite i derivati e provvedendo piani di emissione di obbligazioni sui mercati finanziari internazionali. In questo periodo l’attività di gestione era caratterizzata da una normativa Bce e Bankit invasiva che incideva sulla governance, sui capitali minimi necessari e pesantemente sui controlli; da una riduzione dei costi, necessaria a far fronte alla carenza dei margini da interessi; da una carenza professionale del personale dovuta sia ai punti precedenti che alla inadeguata preparazione. Tutto questo portò alla nascita di nuove figure professionali come il Risk Manager e alla riduzione dell’operatività di altre, questi tra cui i titolari delle filiali. Quest’ultimi hanno avuto una riduzione dell’autonomia, limitandola all’assistenza creditizia delle famiglie e delle piccole imprese inoltre l’accentramento dell’analisi dei bilanci presso i laboratori fidi, il ritorno di flusso della Centrale Rischi e l’elaborazione del rating a livello centrale hanno ridotto il loro margine di valutazione e ridotto la loro operatività alla richiesta di fido e all’illustrazione dell’andamento degli affidati. Si può ben capire che l’operatività ha avuto un accentramento sempre maggiore, dove l’alta direzione guida attraverso procedure sempre più sofisticate lo svolgimento delle operazioni.
Oggi il ruolo dei titolari delle filiali è sempre più spesso relegato a dirigere e sovrintendere il personale addetto alla filiera a cui sono addetti, a fare pressioni per il raggiungimento degli obiettivi assegnati. Per cui si è lontani dal ruolo imprenditoriale che si sollecitava negli anni passati. Questa tendenza in atto continuerà anche nel futuro, accentrando competenze e responsabilità sempre più nei manager delle direzioni generali.
Concludendo gli spunti forniti dal dottor Gronchi possono risultare utili per tutti noi, per meglio comprendere le attuali problematiche, con il contributo di analisi di una persona che ha vissuto “dal di dentro” e certamente da un osservatorio elevato i principali avvenimenti bancari degli ultimi anni. Rimane evidente che il problema ha anche altre sfaccettature, anch’esse importanti e fondamentali, non trattate nel contributo e che sono poi i temi delle banche più in generale e che vanno visti anche nella complessa evoluzione storica delle vicende economiche del nostro paese e non solo, oltre che degli avvenimenti politici italiani e internazionali caratterizzanti il periodo preso in esame. Crediamo che la banca e le persone che, a vario titolo e livello, hanno fatto e fanno la banca continueranno ad avere un ruolo non secondario nella gestione delle crisi e nello sperabile sviluppo economico del paese. Le condizioni strutturali della nostra economia reale infatti non consentono di marginalizzare il ruolo degli istituti di credito e dei responsabili che gestiscono il credito a tutti i livelli. Purtroppo, a livelli alti è stata fatta la scelta di arruolare venditori invece che formare professionisti del credito e della finanzia privilegiando il risultato a breve termine piuttosto che la creazione di valore nel medio lungo. Tutto questo ha portato le banche a diventare realtà che continuano a distruggere ricchezza invece di crearla, non per niente proliferano le cause da parte dei loro clienti sia per prodotti finanziari che per gli impieghi. Lo studio della Banca d’Italia che certifica il blocco dell’ascensore sociale in termini di istruzione e livelli di reddito e di posizione sociale è ancora più preoccupante della grave disoccupazione giovanile (femminile e soprattutto intellettuale) perché inibisce le speranze delle nuove generazioni, cristallizzando negativamente una “stratificazione sociale” quasi come un ritorno al passato delle cosiddette divisioni per nascita e censo (dove la restaurazione avvenuta dopo la rivoluzione francese aveva comportato, come scrisse Victor Hugo due secoli fa “un cambiamento di fronte dell’universo”). La nostra personalissima visione è che la stagione attuale oltre ad una crisi economica che tutti ben conosciamo è rappresentata da una crisi di valori e di professionalità diffuse: si può uscire dalla crisi non con soluzioni miracolistiche che purtroppo non esistono nemmeno nella “fantasia creativa” degli attuali politici governanti dell’Italia, dell’Europa e del mondo, ma con una forte diffusa e decisa assunzione di responsabilità, a tutti i livelli e fino in fondo. La stagione di una nuova assunzione di responsabilità in linea con i valori fondanti che non sono e non possono essere di parte (in un economia libera), almeno per le persone sinceramente ispirate e quindi in buona fede: le considerazioni e le conclusioni sono nella cultura e nella coscienza professionale di ognuno di noi, addetti ai lavori e no, ben sapendo che la struttura è governata da uomini che, con la loro coscienza professionale e cultura di impresa, debbono affrontare e gestire le sfide anche quando queste, per circostanze esterne ingovernabili, si fanno più complesse e difficili. Certamente se in generale “male tempora currunt” occorre però che ognuno faccia la propria parte con spirito di sacrificio ed anche un po’ di coraggio operativo. Una nuova stagione delle responsabilità sociale e del coraggio delle idee e delle proposte crediamo possa rappresentare la ricetta vera contro la crisi e soprattutto contro la rassegnazione che rappresenta a nostro avviso, la sconfitta più grande dell’intelligenza e della professionalità.
Articolo a cura di Gianfranco Antognoli e di Fernando Cruz