





Ancora 24 ore di tempo per avere qualche certezza in più per quanto riguarda la cassa integrazione straordinaria ma le speranze di tornare al loro posto di lavoro sono davvero ridotte al lumicino per i dipendenti della Panitaly (la ex Toscana Pane) di Altopascio. I lavoratori, 38 in produzione e 7 amministrativi, da oltre tre mesi non ricevono lo stipendio e per questo motivo questa mattina (11 marzo) hanno organizzato un presidio di protesta davanti ai cancelli dell’azienda.
Tre le richieste principali dei lavoratori: un piano di rientro per gli stipendi arretrati, certezze per quanto riguarda la cassa integrazione straordinaria e capire quali sono i progetti futuri della proprietà. Nel corso della mattinata una delegazione guidata dal sindaco di Altopascio Sara D’Ambrosio e da Giovanni Rossi della Flai Cgil è stata ricevuta dal nuovo proprietario, Salvatore Pattada, che si è preso 24 ore di tempo per dare indicazioni almeno per quanto riguarda la cassa integrazione.
La vicenda dello stabilimento di Altopascio inizia nell’aprile del 2018 quando, dopo il fallimento della Toscana Pane, il sito produttivo era stato acquisito dalla Panitaly, azienda detenuta da una holding che fa riferimento alla famiglia Colzi di Prato. Una notizia che, all’epoca, era stata salutata con grande entusiasmo perché avrebbe permesso ai dipendenti dello stabilimento di continuare a lavorare. L’idillio però è durato solo pochi mesi. Infatti, a partire dal luglio dello scorso anno sono iniziati i problemi con i lavoratori che hanno iniziato a non percepire più lo stipendio e la produzione che è stata quasi interamente azzerata. L’aria che si respira tra i lavoratori è di rassegnazione e tra molti serpeggia il dubbio che l’azienda stia solo prendendo tempo per cercare di scongiurare un’istanza di fallimento.
“Abbiamo chiesto alla persona che si è qualificata come il nuovo proprietario una piano di rientro delle mensilità arretrate – spiega Giovanni Rossi – che deve essere per forza complementare alla cassa integrazione straordinaria. L’azienda ci ha comunicato che a oggi disponibilità economiche non ce ne sono e si è presa 24 ore di tempo per presentare questo piano che dovrà essere condiviso con i lavoratori. Per quanto riguarda la cassa integrazione, tecnicamente si può fare ma comunque a ora mancano tre mesi di stipendi che non sono una cosa da poco e potrebbero passarne altri 5 prima che possa arrivare la cassa integrazione: una cosa improponibile. Dobbiamo quindi continuare un pressing nei confronti della proprietà”.
“Si tratta di una situazione molto problematica che abbiamo seguito sin da quando la nuova proprietà ha acquisito lo stabilimento – ha detto il sindaco di Altopascio Sara D’Ambrosio – Oggi la situazione è critica, con rammarico constatiamo che un’azienda storica di Altopascio oggi nei fatti è chiusa. Noi siamo vicini ai lavoratori e faremo quanto è possibile per un’amministrazione comunale: cercheremo di spingere l’azienda ad un incontro in Regione affinché possa essere attivata la cassa integrazione straordinaria. In Regione conoscono bene la situazione, la provincia è stata allertata e coglieremo l’occasione della presenza sul nostro territorio del ministro per le politiche agricole Gian Marco Centinaio e del sottosegretario Guglielmo Picchi per porre all’attenzione del governo questa vicenda. Loro, come gli altri parlamentari del territorio, devono interessarsi di questa vicenda e portarla a Roma”.
A ripercorrere la via crucis che ha portato al presidio di questa mattina è stato ancora Giovanni Rossi: “Negli scorsi mesi, c’erano stati diversi incontri in Regione per capire se c’era la possibilità di accedere da parte dell’azienda a fondi per imprese innovative e start up ma la cosa non ha avuto esito. Dal luglio scorso poi, l’azienda ha iniziato la pratica drammatica di pagare sempre più in ritardo gli stipendi, finché nel mese di dicembre lo stipendio non è stato erogato. I lavoratori sono entrati in sciopero e allora l’azienda ha pagato lo stipendio solo ai lavoratori (tre) che hanno deciso di non scioperare. Un atteggiamento discriminatorio nei confronti dei lavoratori che esercitavano i loro diritti. A febbraio c’è stato un nuovo incontro in Regione dove l’azienda annunciò che stava riorganizzando la produzione e che era disponibile ad aprire la procedura per la cassa integrazione straordinaria per ristrutturazione aziendale. Un passaggio molto importante perché avrebbe rappresentato un anno in più di ammortizzatori sociali, nella speranza nel frattempo che l’azienda potesse risistemarsi. Da quel momento, pur avendo fissato almeno un incontro in sedi istituzionali a settimana, puntualmente l’azienda non si presentava”.
“I lavoratori – prosegue Rossi – a quel punto hanno iniziato a muoversi per richiedere le loro spettanze o attraverso decreti ingiuntivi o con richieste dirette di fallimento. L’unico problema è che, a questo punto, molti dovranno dare le dimissioni per giusta causa perché in questo modo avranno almeno diritto a ricevere la Naspi”.
“Noi chiediamo all’azienda – conclude il sindacalista – non solo che metta in atto le pratiche per la cassa integrazione ma che prepari anche un piano di rientro degli stipendi arretrati”.
Luca Dal Poggetto