Grossi: smaltimento e acqua, cartario messo in crisi

Il cartario? Un settore “ecosostenibile” messo “a dura prova dai tatticismi della politica”. Non usa mezzi termini il presidente di Confindustria Toscana Nord, Giulio Grossi, per definire la situazione che attualmente attanaglia il settore, anzitutto sul problema dello smaltimento degli scarti di produzione e sugli approvvigionamenti dell’acqua.
“C’è un settore – osserva Grossi – che è in grado di acquisire ogni anno 1,2 milioni di tonnellate di un materiale che noi tutti buttiamo via ogni giorno e di farne prodotti nuovi, lasciando solo 120.000 tonnellate di scarto residuo; in un’altra tipologia produttiva che utilizza invece materie prime vergini, quello stesso settore si segnala per l’attenzione verso l’ambiente, con certificazioni e buone prassi all’avanguardia nella direzione dell’ecosostenibilità. E’ un settore che, fra Lucca e Pistoia, conta 250 aziende, di cui quasi la metà di profilo industriale, e 7.600 addetti, con un valore della produzione di 4 miliardi che per più di un quarto è dato dall’export”.
“Naturalmente parlo del cartario – prosegue -, con le sue aziende utilizzatrici di carta da raccolta differenziata o di cellulosa ottenuta esclusivamente da foreste certificate; quelli che cito sono elementi caratterizzanti così ovvi che qualche volta li dimentichiamo. Dovremmo invece averli sempre presenti, ma soprattutto dovrebbe tenerli sempre come riferimento chi ha il potere di decidere – attraverso la legislazione e gli indirizzi politici e amministrativi – su aspetti fondamentali e talvolta vitali per le aziende. Il caso rifiuti è emblematico. Citavo prima il riutilizzo della carta oggetto di raccolta differenziata: quello che le imprese fanno è indubbiamente un business, ma anche un servizio che rendono a noi tutti. E’ uno degli esempi più antichi di economia circolare, nato quando ancora questa espressione probabilmente non esisteva nemmeno o comunque era ben lontana dal diventare un obiettivo indicato come prioritario. Le imprese non chiedono la luna: vorrebbero semplicemente poter smaltire facilmente, in impianti di prossimità e in modo quindi sostenibile, gli scarti di lavorazione, vale a dire quel decimo di peso della carta da macero che residua dopo che loro ne hanno tratto prodotti nuovi, il cosiddetto scarto di pulper. Ebbene, quel decimo, quelle 120.000 tonnellate (a cui si aggiungono 80.000 tonnellate di fanghi e altri residui), sembrano essere viste non come l’inevitabile punto di caduta di un processo produttivo virtuoso come pochi altri, ma come un problema esclusivo delle aziende. E’ vero, si tratta di rifiuti speciali e sono le imprese a doverli smaltire: ma le cartiere del distretto oggi devono gestirli senza poter contare su politiche che le agevolino e affannandosi a remare controcorrente. A livello nazionale esistono evidenti lacune nelle norme che dovrebbero consentire di definire il passaggio da rifiuto a materia prima e di gestire i residui di produzione come sottoprodotti: norme che, se ben concepite, incentiverebbero il riciclo e ridurrebbero i rifiuti. A livello regionale, gli impianti di smaltimento e di valorizzazione energetica per i rifiuti non recuperabili sono quasi inesistenti. Lo abbiamo detto chiaramente anche in occasione della nostra assemblea, poco più di un mese fa: noi siamo aperti a tutte le soluzioni. Impianti pubblici; pubblico-privati impegnandoci a trovare gli investitori privati; impianti privati, ammesso che sia possibile realizzarli, perché attualmente i veti delle amministrazioni tendono a bloccare tutto. Altro caso, l’acqua. Alle cartiere, che lavorino carta da macero o cellulosa vergine, serve l’acqua; a loro volta, queste imprese producono reflui. Anche in ambito idrico le nostre aziende sono dei campioni: hanno, rispetto al quadro italiano ed europeo, i minori consumi idrici per unità di prodotto. Anche in questo caso, però, la loro eccellenza non viene premiata. Nella piana lucchese stiamo attendendo da anni che partano i lavori per la copertura del cosiddetto tubone, che reca acqua dal Serchio alle aziende allacciate, in modo da alleggerire i prelievi dalla falda. La copertura totale del tubone garantirebbe continuità e qualità dell’approvvigionamento idrico. Siamo inoltre ancora in attesa del grosso dei lavori di potenziamento della rete fognaria della piana di Lucca, obsoleta e insufficiente. I finanziamenti ci sono: cosa si sta aspettando? Sul lato pistoiese, poi, siamo in stallo da anni, con il depuratore di Pescia che ha proprietà pubblica ma gestione privata e con i privati che necessitano di garanzie sull’affidamento dell’impianto in modo da pianificarne il potenziamento. Ma anche lì, tutto fermo. Queste opere vanno fatte. E quando sono i privati a poterle e volerle fare, vanno messi in condizione di realizzarle davvero, senza essere ostacolati e osteggiati dalle amministrazioni pubbliche. Qua a Lucca abbiamo già il caso degli assi viari, di cui si cominciò a parlare decenni fa e che ancora non vediamo: vogliamo continuare così, sulla strada del non-fare? Quello che disturba di più è la sensazione che tutto questo dipenda da tatticismi politici e dalla convinzione che realizzare le infrastrutture non paghi sul piano elettorale. L’immobilismo invece paga? Non lo so. Temo però che quando i cittadini si renderanno conto dei danni che l’economia locale e nazionale riceve da questa linea, i problemi saranno ancora più gravi di quelli attuali”.