Imprese, Conflavoro alza la voce: “Serve liquidità immediata”

Il presidente Roberto Capobianco: “Le imprese sono già morte. Fermo immediato alla centrale rischi per tutto il 2020”
“Le nostre imprese sono già morte, non fatturano più. Ci aspettiamo che stasera il presidente Conte e il ministro Gualtieri annuncino un decreto che possa fornire agli imprenditori la liquidità necessaria per poter ridisegnare la propria azienda”. Non usa mezzi termini Roberto Capobianco, presidente di Conflavoro Pmi, per fotografare il momento di difficoltà dettato dall’emergenza Covid19. Non c’è già più tempo, insomma: le piccole e medie imprese non hanno alcun margine per resistere al cataclisma che si è abbattuto su di loro. Senza entrate, serve subito l’immediata sponda da parte dello Stato.
“Ci auguriamo – spiega Capobianco – che le nostre istanze e proposte vengano accolte. Al centro dell’azione politica, dopo la giusta priorità accordata all’emergenza sanitaria, ora deve essere messo un accesso al credito semplificato e garantito per le aziende, senza vincoli e garanzie, quelle deve fornirle lo Stato”. Per il presidente di Conflavoro una riforma nel merito del sistema creditizio abbinato alle imprese è fondamentale: “Prima di tutto – rinnova la proposta – serve un fermo immediato alla centrale rischi per tutto il 2020. Poi – prosegue – è fondamentale che in questa fase si monitori attentamente il pagamento tra privati. Infatti, se da un lato è necessario velocizzare e rendere più fluido il rapporto tra pubblico e privato, una criticità ancora maggiore si registra tra le singole aziende”. Ed il coronavirus, in questo senso, non può rappresentare una scusa per i lavori pregressi: “Le vecchie fatture devono essere saldate – il monito – perché non farlo equivale sostanzialmente a rubare ed a condannare a morte i privati. Chi si rende complice di questo atteggiamento, magari soltanto per tenersi un gruzzolo in tasca, deve capire che questa decisione finirà per ricadere a catena anche sulla sua attività. Se non succede, sarà come tornare di colpo alla crisi del 2010, con un paese in default perché le aziende, a partire dall’edilizia, smisero di pagare le altre aziende”.
Per Capobianco il malcostume dei cattivi pagatori deve finire sul nascere e chi oggi pensa di fare un nuovo ordine – una volta saldato il pregresso – deve assicurarsi di poterselo permettere. Per ripartire, però, serve immediatamente liquidità. “Non solo – specifica – perché ci sono altri fronti su cui è necessario intervenire. Penso a quello della giustizia: oggi, in Italia, moriamo di decreti ingiuntivi. Servono misure per una riscossione del credito celere da parte della aziende, lo abbiamo detto più volte al Ministro della Giustizia, presentando anche una proposta di legge: ora è tempo di renderla realtà”.
Il Covid19, detonatore di incertezze, non può tuttavia aprire la maniglia verso lo sprofondo: “Lo Stato deve far sentire la sua presenza – insiste Capobianco – deve far capire agli imprenditori che non sono soli. Se ci fermiamo noi, si ferma tutto il paese”. Cosa fare, nel frattempo? “Cerchiamo di prendere questo periodo di reclusione forzata come l’occasione giusta per ripensarci. Riflettiamo su come reindustrializzarci per ridisegnare noi stessi, la nostra economia ed il sistema normativo, dopo un vero e proprio big bang. Senza troppe illusioni: quando sarà il momento, ripartiremo tutti da zero. In questa fase però – specifica – non vogliamo assistenzialismo: non ci diano il pesce quando ci serve la canna per pescare”.
In tutto questo, Capobianco esprime la sua forte perplessità per la convenzione stipulata nei giorni scorsi da alcuni sindacati e l’Abi. “Abbiamo chiesto di partecipare – ricorda – ma non ci hanno risposto. Forse perché conoscevano bene la nostra posizione. Allora abbiamo letto l’accordo: si parla della possibilità di avere un anticipo per quanto concerne ammortizzatori sociali come la cassa integrazione e non soltanto. L’anticipo te lo dovrebbero dare le banche che hanno aderito alla convenzione, ma poi tutto si complica a causa di una serie di clausole contrattuali che tutelano queste ultime, mentre lavoratori e datori di lavoro rischiano molto”.
Il motivo, il presidente di Conflavoro Pmi, lo sintetizza così: “Nella convenzione si allude alla possibilità di aprire un conto corrente dedicato, con la possibilità di un plafond fino a 1400 euro. Su questa procedura, proprio ieri, è stata aperta un’interrogazione parlamentare su nostro impulso. Perché? Abi – argomenta – ha già previsto il coinvolgimento di fondi di garanzia regionali tesi a coprire l’eventuale mancato pagamento da parte dell’Inps. Ma come? Con tutto quello che abbiamo versato all’Inps per generazioni potrebbe profilarsi questa ipotesi?”.
L’affondo diventa però ancor più circostanziato: “Il lavoratore deve compilare un modulo di venti pagine per accedere a questo strumento, senza sbagliare una virgola. Questo significa, nei fatti, doversi rivolgere ad un professionista a pagamento. Se poi il suo istituto bancario non è tra i firmatari della convenzione, allora deve aprire un nuovo conto corrente con una delle banche aderenti, uscendo fuori e sbrigando ulteriori pratiche. Ma non finisce qui: se l’Inps non riconosce l’ammortizzatore sociale, il dipendente che ha incassato i 1400 euro deve restituirli entro 30 giorni. Se non lo fa, quella somma viene prelevata da ferie, permessi, tredicesima e via dicendo”.
Prima che la convenzione sia attiva, rileva ancora Capobianco, passeranno ancora settimane. Nel frattempo si profilano problemi anche per commercialisti e consulenti del lavoro: “Abbiamo chiesto – ricorda – l’esclusione delle marche da bollo da 2 euro per compilare la documentazione per la cassa integrazione in deroga. Pensate ad un commercialista che deve presentare centocinquanta domande: quei soldi li anticiperà tutti lui”.
I datori di lavoro, invece, saranno chiamati a rispondere in solido in caso di errate comunicazioni alla banca in fase di compilazione della modulistica: “In sostanza – conclude Capobianco – se non arrivano i soldi perché hai sbagliato una virgola il dipendente ha un debito di 1400 euro, ma se non lo paga lo dovrà fare il suo datore di lavoro. Mi chiedo come alcuni soggetti possano pavoneggiarsi di un simile accordo: serviva uno strumento più snello, che tutelasse fin da subito lavoratori e aziende. Invece, in tutto questo, l’unica associazione che ha tutelato i propri associati è stata proprio Abi”.