Confindustria chiede l’apertura delle aziende dopo Pasqua: “Si rischiano conseguenze disastrose”

9 aprile 2020 | 13:54
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Confindustria chiede l’apertura delle aziende dopo Pasqua: “Si rischiano conseguenze disastrose”

Le richieste dell’associazione di categoria per il rilancio: liquidità immediata, ammortizzatori sociali e sospensione dei tributi

Riapertura il 14 aprile (con tutti gli accorgimenti del caso in termini di sicurezza dei lavoratori), liquidità effettivamente e rapidamente fruibile, fiscalità che tenga realmente conto delle condizioni delle imprese, differimento dell’entrata in vigore della nuova disciplina della crisi d’impresa, tutela delle filiere, ammortizzatori sociali.

Sono questi alcuni dei punti contenuti in un documento stilato da Confindustria Toscana Nord e trasmesso al mondo della politica e delle istituzioni in vista della cosiddetta fase 2 della pandemia in Italia.

Con questo documento, Confindustria lancia un grido di allarme e chiede al governo ed enti locali di poter riaprire al più presto, o – avvertono – le conseguenze saranno disastrose. Si parla infatti di una perdita in termini di fatturato di svariate centinaia di milioni di euro a settimana con il rischio, a lungo andare, di una contrazione di decine di migliaia di posti di lavoro.

Delle tre province che fanno capo a Confindustria Toscana nord, Lucca è quella con i numeri “migliori”: nella nostra provincia infatti, è attualmente attivo il 37% delle imprese manifatturiere ed il 54% degli addetti. Numeri che comunque restano preoccupanti, con molti settori che sono fermi o comunque fortemente ridotti. Tra questi, il lapideo, la meccanica, parte del settore plastica, il calzaturiero e la nautica. Per quanto riguarda la cassa integrazione, al momento sono 1500 le domande partite dalla nostra provincia. Numeri che però, avverte Confindustria, peggioreranno rapidamente se non si inizierà a programmare la riapertura degli stabilimenti produttivi.

“Il nostro territorio ha una fortissima connotazione manifatturiera, con la presenza di alcuni dei settori maggiormente penalizzati dalle chiusure – dichiara il presidente di Confindustria Toscana Nord, Giulio Grossi – Con una situazione sanitaria fortunatamente non altrettanto grave di quella di altre aree del paese, alle quali va tutta la nostra vicinanza e solidarietà, abbiamo il 78 per cento delle imprese ferme. Il nostro Centro studi ha calcolato che nell’area Lucca-Pistoia-Prato per ogni settimana di chiusura perdiamo 88 milioni di valore aggiunto, vale a dire di redditi da lavoro e impresa che, se non sono generati e distribuiti, cessano di essere il sostentamento di decine di migliaia di persone. Questo per tacere dei ricavi, stimabili in quattro-cinque volte tanto”.

“La nostra preoccupazione principale è per la salute pubblica, dei nostri dipendenti e dei nostri cari – prosegue Grossi – Le nostre imprese si sono adeguate con la massima cura e sollecitudine alle prescrizioni della legge, alcune delle quali onerose dal punto di vista organizzativo e dei costi. Adesso però chiediamo con forza di poter ripartire. Siamo disposti a farlo prendendo tutte le precauzioni del caso, con riaperture graduali e l’adozione di tutte le misure di sicurezza che si renderanno necessarie. Adesso però non è il momento delle contrapposizioni: dobbiamo lavorare tutti insieme per mettere le nostre imprese nelle condizioni di riallacciare i rapporti con i propri mercati. Altrimenti il rischio è quello di perdere molti clienti che andranno a rivolgersi ad imprese di altri paesi“.

Il documento stilato da Confindustria indica inoltre alcuni interventi ritenuti prioritari per la tutela e il rilancio del sistema produttivo dove si dà disponibilità anche a valutare, insieme alle organizzazioni sindacali, la possibilità di effettuare dei test sierologici a tutti i dipendenti non appena questi strumenti saranno disponibili e regolamentati. Nello stesso documento si indicano anche strumenti indispensabili per consentire la sopravvivenza delle aziende, commentando anche il Decreto liquidità appena pubblicato. Un decreto che soddisfa le imprese solo parzialmente. I finanziamenti sia del Fondo di garanzia Pmi che con garanzia Sace sono giudicati insufficienti come durata sia dei finanziamenti stessi (6 anni quando le imprese chiedono almeno 10 anni) sia dei preammortamenti (per le imprese occorrono almeno 2 anni). Nel caso del Fondo di garanzia Pmi vi è anche, nel caso della Regione Toscana, il vincolo del passaggio obbligato da Confidi che rallenta considerevolmente il percorso. Necessario inoltre neutralizzare i costi per accedere alle garanzie statali.

“Sostenere la base imponibile del paese in questo momento dovrebbe essere una priorità è va fatto senza tentennamenti perché ogni ritardo nell’erogazione delle misure può avere conseguenze drammatiche – aggiunge il vicepresidente di Confindustria Toscana Nord, Daniele Matteini – Non possiamo aspettare troppi passaggi né per il varo delle norme né per espletare le pratiche. È di stamattina la notizia che l’Abi si è impegnata a trasferire quanto prima alle banche le istruzioni necessarie per operare. Come abbiamo scritto nel documento, c’è un alto rischio che la potente iniezione di liquidità prevista dal decreto non arrivi nei tempi necessari alle realtà produttive, compromettendone la competitività o addirittura la sussistenza. Il Paese non può fare a meno di una fetta importante di imprese che rischia di chiudere per cause non imputabili alla loro gestione”.

“Essenziale – prosegue Matteini – anche l’allentamento dei requisiti in essere degli accordi di Basilea e la conferma del posticipo al 2023 di Basilea 3. Confindustria Toscana Nord ritiene insufficiente anche il differimento all’1 settembre 2021, previsto anch’esso nel decreto liquidità, della nuova disciplina sull’insolvenza e la crisi d’impresa che, a nostro parere, non dovrebbe entrare in vigore almeno fino al giugno 2022. Gli effetti della crisi dovuta alla pandemia infatti si faranno sentire non soltanto nei bilanci 2020: non facciamoci illusioni”.

Sul piano fiscale Confindustria Toscana Nord chiede misure speciali per le aziende che hanno dovuto chiudere e anche per quelle attive in difficoltà, attestata da cali di fatturato pari almeno al 20 per cento nel mese di marzo rispetto allo stesso mese del precedente periodo d’imposta o nei mesi successivi rispetto ai corrispondenti mesi del precedente periodo d’imposta. La richiesta è di sospensione dei versamenti e adempimenti tributari, inclusi quelli locali, e dei contributi previdenziali e assistenziali fino a due mesi dopo la dichiarazione di “fine emergenza”.

La diversa previsione nel testo del decreto liquidità, in questo senso, pare ancora inadeguata. Necessari anche interventi di ristoro e compensazione fiscale e garanzie statali a supporto dell’assicurazione dei crediti commerciali; da cancellare anche la plastic tax.

 “La riapertura per noi è il nodo fondamentale – conclude il vicepresidente di Confindustria Toscana Nord, Francesco Marini – Temiamo che il blocco produttivo e la stasi nei mercati che inevitabilmente seguirà la fase emergenziale possano danneggiare irreparabilmente le filiere. Non parliamo in termini di profitto ma in termini sociali, con tante persone che rischiano di perdere il proprio posto di lavoro. Abbiamo quindi chiesto agevolazioni a fondo perduto per le spese di consulenza e per i beni materiali e immateriali necessari allo scopo. Sempre nell’ottica di salvaguardare le filiere, in particolare le fasi ad alto consumo di energia che abbiano dovuto sospendere l’attività, abbiamo chiesto che il pagamento della quota fissa della bolletta energetica sia posticipato di almeno 6 mesi. Indispensabili poi risorse adeguate per la cassa integrazione sia in deroga che ordinaria e fondo Fis, anche perché gli ammortizzatori sociali specifici per la pandemia dovranno andare ben oltre le 9 settimane attualmente previste. Una cosa comunque è certa: se non potremo riaprire il 14 aprile rischiamo grosso, e con noi rischia l’intero paese. Siamo pronti per ripartire, le nostre aziende si sono organizzate per poter rispettare tutte le misure di sicurezza del caso. Inoltre, le aziende più strutturate hanno dato la loro disponibilità ad aiutare le realtà più piccole e poi possiamo contare anche sulla struttura che Confindustria ci mette a disposizione. Con le norme di sicurezza che adotteremo e con la responsabilità di tutti, venire a lavorare sarà meno pericoloso che andare a fare la spesa. Aspettiamo un cenno della politica affinché venga definita al più presto una exit strategy”.