Lavoro, Cgil: “Occorre riorganizzare i cicli produttivi delle aziende”

Lami: “Non si possono scaricare i costi del contagio sui lavoratori”
“Il coronavirus continua a colpire, i numeri dei morti, contagiati ed intubati sono ancora molto alti e la preoccupazione e la paura scavano dentro le persone. Dobbiamo pensare a come ripartire, con organizzazioni del lavoro nuove e diverse, con metodi fino ad oggi impensabili, dobbiamo farlo mettendo al primo posto la sicurezza dei lavoratori, nei luoghi di lavoro, nelle modalità per andare al lavoro, ed anche quando escono da questi luoghi per vivere la vita di tutti i giorni”. Questo il pensiero di Mirko Lami, segretario Cgil Toscana con delega al mercato del lavoro.
“Davanti a noi – sostiene Lami – abbiamo anche il rischio di entrare in una fase molto pesante, in un periodo di ‘carestia’ dovuta non tanto alla mancanza di derrate alimentari, quanto alla mancanza di soldi per fare la spesa. Nessuno scenario è escluso. Potremmo anche essere costretti ad acquistare derrate di bassa qualità e ritrovarci a fare i conti con malattie, di cui non avevamo conoscenza ma solo il ricordo tramandato, come lo scorbuto o la pellagra”.
“Ecco – insiste il sindacalista – di fronte a questi scenari che non possiamo escludere del tutto, troviamo sconcertante che anziché provare a rimboccarsi le maniche iniziando a fare un documento di valutazione del rischio per capire dove si può e si deve intervenire, Confindustria Toscana Nord riesca solo ad ammainare la bandiera italiana e quella europea, a mezz’asta, in segno di lutto per la mancata ripartenza delle attività produttive. Aggiungendo poi in un comunicato stampa che si augura di riaprire le attività quanto prima e nello stesso tempo chiede al Presidente del Consiglio riaperture graduali perché non sono pronti”.
“Sarebbe più utile che Confindustria Toscana Nord si adoperasse da subito su tre punti importanti anziché avanzate apocalittici scenari – spiega Lami -. Ne sono ben consapevoli i lavoratori e le lavoratrici, che ben prima della pandemia dovevano misurarsi con bassi salari, scarsi diritti e morti ed infortuni sul lavoro. Il primo punto: si metta a lavoro, anche insieme alle organizzazioni sindacali e utilizzi questo tempo di ‘fermo epidemiologico’ per pensare a come far lavorare meglio i lavoratori e le lavoratrici. Il secondo punto: spinga i consulenti a presentare ‘velocemente’ la rendicontazione delle aziende all’Inps, attraverso il modello SR41, in modo da far inviare la cassa integrazione ai lavoratori. Il terzo punto: si cominci a pensare a un sistema di paracadute per aziende e lavoratori che potrebbe assomigliare allo strumento che avevamo e che si chiamava Ceca, Comunità Europea Carbone e Acciaio, molto utile per tenere vive le aziende e tutti i loro dipendenti, tutelando i salari e costruendo case per dirigenti ed operai”.
“Bisogna – conclude Lami – riorganizzare il processo produttivo per lavorare in sicurezza senza scaricarne i costi materiali ed immateriali sui lavoratori”.