Confartigianato: “Centri benessere chiusi, danni ingenti”

8 aprile 2021 | 16:57
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Confartigianato: “Centri benessere chiusi, danni ingenti”

A causa delle chiusure dovute alla pandemia il settore finisce per essere preda dell’abusivismo

Drammatico il bilancio 2020 relativo ai centri benessere, secondo i dati comunicati da Confartigianato imprese Lucca: i ricavi persi ammontano a più di 2 miliardi di euro a livello nazionale.

“Finalmente abbiamo alcuni dati dei danni che la pandemia ha causato agli operatori del benessere – dice Roberto Favilla, direttore di Confartigianato Lucca – Complessivamente in Italia operano oltre 149 mila imprese, che danno lavoro a circa 263 mila addetti, nella sola provincia di Lucca le imprese del settore sono quasi un migliaio”.

Il Centro studi di Confartigianato stima che a seguito del covid-19 c’è stata una perdita di ricavi, in Italia, per 2,1 milioni di euro, circa il 33,6 per cento in meno.
“La concorrenza sleale dell’abusivismo, ampliata a seguito del lockdown e la chiusura delle attività del benessere nelle aree a maggior rischio determina – prosegue Roberto Favilla – gravi effetti sulle imprese regolari del settore”.

Sulla base di dati Istat, si stima che nei servizi alla persona il tasso di abusivismo sia del 27,8 per cento, per cui la chiusura degli esercizi regolari nelle zone rosse, concede spazi a richieste di servizi irregolari caratterizzati da un vero e proprio esercito di abusivi costituito da oltre 42 mila soggetti. Dal 6 marzo 2021 ad inizio aprile, nelle regioni collocate in zona rossa, la chiusura delle attività regolari ha reso contendibile all’abusivismo il 57,2 per cento dei ricavi del settore del benessere sull’intero territorio nazionale.
“L’abusivismo, ci pare superfluo ricordarlo, genera un danno economico e sociale ingente e compromette la qualità e la sicurezza dei trattamenti – aggiunge Favilla – le imprese regolari, seguono i rigidi protocolli covid-19 per distanziamento, igienizzazione e per i servizi su appuntamento. Determina inoltre evasione di imposte dirette e indirette oltre che dei contributi sociali ed una concorrenza sleale nei confronti di chi opera regolarmente.

“La spesa effettuata dalle famiglie a novembre 2020 per servizi di cura della persona è stata inferiore al periodo precedente la pandemia per 2 famiglie su 3 (67 per cento) e il 37 per cento ha smesso di ricorrere a questo tipo di servizi o lo fa in maniera saltuaria – conclude Favilla – Che i nostri politici, a livello nazionale e regionale facciano pressioni sul Governo perché questi operatori possano lavorare anche se sono in zona rossa perché lo fanno in sicurezza. Questo ci sembra, dopo le misure adottate per prevenire i contagi e dopo quanto sopra detto, il minimo da fare per non far morire la legalità e legittimare il lavoro nero”.