Tra politica, proteste ed economia: ecco come la Nigeria è diventata il centro del trading in Bitcoin

L’annosa faccenda di come gestire il nuovo boom delle criptomonete è nell’agenda di diversi paesi in giro per il mondo, ma la Nigeria è in primis tra quelle a scontrarsi con questa (relativamente) nuova realtà. Da inizio anno infatti il paese africano ha deciso di imporre un veto pressappoco totale sul Bitcoin, ponendosi come uno dei principali nemici della prima e più importante criptovaluta al mondo.
Questo è dovuto come vedremo principalmente alla crescita esponenziale che BTC ha avuto non solo nel Paese, ma di fatto su scala mondiale grazie al moltiplicarsi di piattaforme di criptovalute come Bitcoin Prime, sito specializzato in bitcoin trading.
In Nigeria appunto, i numeri sono ormai da record. Secondo Paxful, la principale piattaforma di trading BTC in Africa, il traffico di criptomonete è seconda solo agli Stati Uniti. Per dare un’idea del fenomeno però, bisogna analizzare i dati: se nel dicembre 2020 il volume in dollari di trading in criptovaluta ammontava a 648 milioni, nel maggio del 2021 questa cifra è salita fino a 2,4 miliardi.
Numeri a cui bisogna aggiungere tutti quegli scambi non rintracciabili e perciò non inseriti nelle analisi dei ricercatori.
Il punto della situazione in Nigeria
Sono tanti i fattori che hanno portato a questa crescita senza controllo di Bitcoin in Nigeria a cui il governo sta cercando di mettere un freno.
Per poter comprendere a pieno il fenomeno bisogna partire da un dato di realtà: se per gli europei questa attività può sembrare alquanto lontana, per uno stato come la Nigeria in cui le rimesse dei migranti sono tra le principali fonti di sostentamento per le famiglie rimaste nel paese, lo scambio di valuta estera è letteralmente il pane quotidiano. L’utilizzo di Bitcoin quindi è un’evoluzione naturale, poiché questi aiutano da una parte ad ammortizzare i costi richiesti dagli enti finanziari per gli invii di denaro dall’estero, e dall’altra riducono sensibilmente i tempi di queste operazioni, praticamente istantanee.
Altro punto fondamentale è poi l’inflazione che pesa sull’economia locale, che infatti ha visto scendere del 30% il valore della propria valuta nazionale. Va da sé perciò che per molti nigeriani l’utilizzo di BTC sia preferito a quello della loro valuta o di altre valute straniere poiché, nonostante l’alta volatilità di questo asset, viene visto come un’accumulazione proficua sul medio-lungo periodo.
Infine, l’utilizzo di Bitcoin e delle criptovalute in generale è stato ampiamente utilizzato in seguito all’acuirsi delle proteste antigovernative cominciate nell’ottobre del 2020 (e ancora in corso) sia da privati che da organizzazioni di protesta.
Questo perché molti manifestanti e organizzazione legate al movimento #EndSARS (la SARS è l’acronimo dei servizi speciali di polizia nigeriani, famigerati per i loro metodi violenti) si sono visti chiudere i propri conti in banca di punto in bianco poiché le istituzioni finanziarie si sono dimostrate fortemente filogovernative, agendo di conseguenza in maniera repressiva e bloccando i fondi dei protestanti.
La risposta del governo
La reazione del governo contro Bitcoin non si è fatta aspettare e i regolatori sono costantemente a lavoro per far sì che ogni scambio in BTC venga bloccato sul nascere, partendo proprio dagli istituti finanziari.
La Banca Centrale della Nigeria ha infatti imposto da febbraio 2020 un veto per le banche riguardo qualsivoglia servizio di compravendita di criptovalute. Ciò ha reso di fatto il mercato delle cripto un mercato “illegale” in Nigeria, costringendo i nigeriani ad usare servizi terzi ed extra-finanziari per accedere a Bitcoin e compagnia.
Come visto dai dati prima illustrati, però, l’effetto non sembra affatto aver frenato il fenomeno. Anzi: Bitcoin è più vivo che mai, così come lo sono le proteste contro il governo e la brutalità poliziesca.